Roald Dahl’s The Witches

PRODROMI

Quando, dopo Allied, Zemeckis riuscì a fare Marwen, mi stupii moltissimo…

Zemeckis, quello che dopo il 2000 s’era abbonato alla ciofeca di Motion Capture, e che anche quando “ritornava”, con Flight (2012), non faceva benissimo, e poi continuava la sua ‘zienda di film vomitevoli con The Walk (2015: è nei meandri di Let’s go get some payback e al numero 6 di Jiminy Cricket), riusciva a fare bene due film di fila!
Davvero incredibile e davvero da rallegrarsi, in un periodo in cui, proprio nel 2015, un altro grande del passato, George Miller, ce la faceva anche lui a salvarsi alla grande, con Mad Max: Fury Road, dalle sabbie mobili del Motion Capture e dell’animazione bimbettarda (anche se, almeno, molto più significante)…
Zemeckis era un autore che tornava e che un po’ c’era mancato…

Dopo Marwen, quindi, lessi le premesse di questo film, cioè che Guillermo del Toro affida la sua idea di fare del romanzo di Roald Dahl uno stop motion a Zemeckis, con molta gioia…
E la gioia travalicò il mio sempiterno sospetto nei riguardi di Roald Dahl, che io ho sempre ignorato a favore di Michael Ende…

Di Dahl conosco solo i film da lui tratti (i vari Willy Wonka, Matilda e i vari BFG), dove ho sempre intravisto una morale certa per me molto poco comprensibile, anche se i film (specie Matilda e il primo Willy Wonka) sono film bellissimi…

Delle Witches non sapevo niente (per me, da bimbo, esistevano solo Momo e Jim Bottone, cioè Jim Knopf, che adesso non mi ricordo una cippa: Dahl, ripeto, per me era sconosciuto): non avevo visto il film di Roeg del ’90, non sapevo niente: mi immaginavo fosse una storia su una comunità di streghe che lottava contro i pregiudizi: figuratevi!

SPROLOQUIO che si può saltare

Al momento della release leggo molto interessato i commenti degli idolatranti MERDflix buttare cacca su Disney Plus e HBO (della Warner Bros.) che *osano* far uscire i loro film top di gamma (la Mulan di Niki Caro e questo Witches di Zemeckis) direttamente in TV…
che scandalo…!
che sacrilegio…!
c’è anche il video di un gestore di una multisala francese che spacca a colpi di mazza il gigantesco cartonato promozionale di Mulan posizionato in bella vista nel suo cinema onde far vedere a Disney il grave danno che impone agli esercenti…
…quando fai notare che MERDflix ha fatto tutto questo per anni, cioè ha pressoché “annullato” la distribuzione in sala da sempre, facendo uscire i suoi film su grande schermo solo per poche ore, cioè fai notare che senza il precedente di MERDflix Disney non avrebbe mai avuto un retroterra culturale adatto a una release televisiva di un suo film costato molti soldi (e che quindi *richiederebbe* gli incassi del grande schermo), quando, per ribadire, dici che senza MERDflix a cominciare, Disney non sarebbe mai riuscito a finire la ideale “demolizione” della fruizione nei cinema, questa gente si incazza…
…questa gente, anche il gestore francese, così a suo agio con MERDflix, *difende* MERDflix contro Disney, e non si sa perché *percepisce* Disney come unico responsabile del boccheggiamento delle sale… si difende MERDflix per quello che fa, dicendo che fa “diversamente” da quanto stanno facendo Disney e Warner, ma è proprio quello che finora ha fatto MERDflix che ha determinato ciò che fanno Disney e Warner, complice la scusa della Pandemia…
L’assottigliare l’offerta sugli schermi e rendere lo schermo un “subordine” rispetto a ciò che viene visto (e pagato) in TV sono stati gli ingredienti, inventati da MERDflix nell’ultimo decennio, sui quali adesso Disney e Warner si poggiano e si giustificano

…ma MERDflix, per i suoi clienti, è sempre “buona”…

grazie a un fantastico incantesimo aziendalista, corporativo, forse senza precedenti (anche se con diversi prodromi, vedi quanto narrato in Dark Waters), MERDflix, esattamente come Amazon o Deliveroo o Uber o come fu Napster, riesce a peggiorare la nostra fruizione culturale (e commerciale) proprio quando comunica, pubblicizza e illude di starcela migliorando, di starla trasformando in meglio…
e la poetica della “libera impresa”, del business, ammanta il suo discorso di un’aura di ineluttabilità, di giustizia, di lotta per la libertà da un “monopolio” immaginario (la Hollywood cattiva come le regole burocratiche di protezionismo statale), che, esattamente come fu Windows o come fu Google o come fu il Movimento 5 Stelle, è un inganno per veicolare un suo proprio monopolio…
MERDflix riesce a spacciare per liberazione la costruzione di una gabbia monopolistica “diversa” ma ugualmente stringente, quasi quanto quella contro cui lotta…
e nell’inganno ci siamo cascati tutti…
e ora sarà uno spasso vedere chi si è rinchiuso volontariamente nella gabbia, presa erroneamente come libertà, incazzarsi di essere rinchiuso e, anzi, dare la colpa alle corporation di averlo imprigionato…
è bellissimo vedere chi blatera della Disney, una “cattiva” che vieta il cinema, continuare a considerare MERDflix come unico futuro del filmmaking, più “libero” e più “estraneo” alle major solo perché, ogni tanto, e senza distribuirle, produce le fumisterie di alcuni “autoroni”…

Già 40 anni fa si parlò della TV Fininvest come liberatrice rispetto al monopolio della RAI, e se ne parlò come possibilità di espressione per tanti autori bistrattati dalla RAI: Pippo Baudo, Mike Bongiorno, che erano finalmente liberi di fare programmi per le casalinghe a mezzogiorno (fascia oraria esclusa dai palinsesti RAI di allora), o Lucio Fulci e Lamberto Bava finalmente capaci di produrre cinema di genere horror preclusi dalla messa in onda RAI… oppure si diceva che, finalmente, si potevano vedere, importati e doppiati, tanti bei film e tante belle serie di qualità americane (e.g. Dallas) o cartoni animati belli (e.g. gli anime) in Italia, sempre esclusi dalla RAI (cosa falsissima, visto che la RAI importò tantissimi anime dal Giappone dopo il 1975), cosa che migliorava la “cultura” mediologica italiana…
…è finita che i film di Fulci e Bava fatti con Berlusconi non uscirono mai, se non a mezzanotte su Rete4, e la loro ghettizzazione fece sparire il cinema di genere in Italia…
…che le maestranze composte dai praticoni poco esperti, ma, con i numeri della TV capaci di sfornare miliardi di titoli in più del cinema, squalificarono la qualità dell’industria audiovisiva…
…che le serie importate (e rubate grazie al gioco delle scatole cinesi delle holding aziendali berlusconiane), distribuite in numero massiccio senza alcun contrappeso, abituarono il pubblico alla cacca…
…che gli anime arrivarono censurati e postprodotti, asessuati e con le ragazzine sempre prive di ciclo mestruale…
…ma tutti furono convinti di stare vedendo qualcosa di molto meglio della vecchia RAI “bigotta”…

anche col digitale terrestre si fu tutti convinti di vedere *di più*, anche se si vide (e stiamo ancora vedendo) solo l’«industria delle repliche» che ha comportato meno soldi per ogni cosa, anche per via della miopia con cui il digitale terrestre sottovalutò internet: si vedono canali interi, sempre e solo delle solite RAI, Mediaset, Cairo, Dplay e Sky, impegnati solo e soltanto a replicare quanto fatto in passato o a ripassare, doppiati male, i soliti reality americani, e che, se producono, lo fanno con una penuria di mezzi ed espressione davvero notevole…
…ma al digitale terrestre tutti esultammo, anche se oggi è più facile guardare qualsiasi cosa su roba come YouTube e Vimeo, o, appunto, su MERDflix e Disney Plus, invece che in TV…

eh oh

è proprio vero che il marketing plasma la vita (tutto questo che dico è metaforizzato benissimo dalle vicende del personaggio Milo Minderninder in Catch-22, soprattutto nel romanzo di Joseph Heller, ma anche nel film di Mike Nichols)

ma la morale di tutto questo è non essere polemici e radicali, visto che il mondo in cui viviamo è capitalista e non ci si può fare niente… ma è l’essere consapevoli…

e se si butta merda su Disney Plus o su HBO perché distribuiscono solo streaming, allora che si butti merda anche su MERDflix che è stata la prima a farlo, a dare l’esempio, e a rendere possibile, accettabile e di massa la squalifica, l’imbarbarimento e l’impoverimento della qualità, e della quantità, della fruizione…

e non solo: è bene avere la consapevolezza che affidarsi alle multinazionali per promuovere la ripresa del COVID, senza che quelle multinazionali aiutino una cippa nella costruzione dell’erario economico condiviso (i.e. senza che quelle multinazionali paghino le tasse), dicendo sciocchezze come «il teatro muore ma facciamo una joint venture con MERDflix così facciamo pagare salati gli streaming di prosa e opera lirica», porterà a far guadagnare la multinazionale e mai il teatro…
e che affidarsi a boiate come Deliveroo o Uber, senza sfruttare l’evidente “domanda” a livello “sistemico”, non farà mai guadagnare i ristoratori ma sempre e solo Deliveroo (che di tasse non ti pagherà mai un cacchio)…
e dire che «così è, e per digitalizzare o snellire l’unica è affidarsi a loro, è appaltare a loro, perché loro simboleggiano la libera impresa e la libera impresa va idolatrata» è in realtà fiancheggiare odiosi monopoli quando invece sarebbe, per quanto possibile, da rendere, a livello burocratico (agevolando davvero un piano di digitalizzazione delle imprese), facile per ogni teatro, ogni ristorante e ogni tassista *concorrere* (nella logica terribile proprio del libero mercato) con quei monopoli con il proprio Deliveroo o con il proprio MERDflix: o roba così (sto evidentemente sognando)…
Io vedo che la Digital Concert Hall dei Berliner Philharmoniker funziona, e che funziona, peggio ma comunque funziona, anche l’on demand della Metropolitan Opera House di New York: e per farle non si sono appoggiati a MERDflix… [vedi anche il post sugli streaming della musica colta in pandemia]

RIPRESA

e dopo questa polemica inutile, che HBO abbia distribuito le Witches di Zemeckis solo in TV è un bene immenso, perché nelle Witches Zemeckis torna a ribadirci che le puttanate infantili in cui tutto è finto non le fa perché “gli vengono male”, non le fa perché “sbaglia”: le FA PROPRIO PERCHÉ LE VUOLE FARE…

Con la scusetta un po’ tirata per i capelli di rendere tutto il film una narrazione visiva (con le diapositive) di Chris Rock, Zemeckis fa quel film laccatissimo e traslucido (con Don Burgess a garantire una imperiale gestione luminosissima degli shots, che brillano come una glassa a specchio di Damiano Carrara, o come la buccia di una mela di serra: è tutto *splendido* e brillante senza però mai essere davvero “disinfettato”, come succede all’IT di Muschietti, anche se l’aria di fintissimo è, a questo punto volontariamente, preponderante: e la cosa può dare un immenso fastidio se, come in questo caso, non è supportata da nulla se non da un appiglio metacinematografico stavolta esilissimo e insufficiente per reggere il senso di phony che le immagini recano al 100%) che ha fatto in massa tra 2000 e 2017, quel film giocattoloso, bimboso, di plastica e vetroresina, di CGI e di animaletti 3D incollati male nella ripresa master, che dimostra ogni volta di *voler fare*, determinando Allied e Marwen come fortunate eccezioni alla sua idea di cinema, che è l’idea del film Coccolino, l’idea del film fasullo, l’idea del film consacrazione della finzione e di nient’altro…

S’è detto tante volte (anche nel Rigoletto di Micheli) che la risacca di finto e fasullo consapevole (una branca del postmoderno che Zemeckis incarnò al massimo da subito: si dice in Allied) non l’ha inventata il cinema e che gente come Richard Strauss, nel teatro musicale, contribuì tantissimo a definirla…
…ma quando quella risacca è, come al solito, consapevole, e tratta proprio di quella componente fasulla che il rapporto tra finto, vero e autorappresentazione deve avere e processare, quella risacca è anche utile e salutare nella tematica del vedere, del conoscersi e del rappresentarsi (e la cosa aveva molto funzionato in Marwen)…
…ma quando quella risacca è veicolata solo e soltanto da un prodotto targhettizzato, a uso e consumo solo dei ragazzini di 10 anni… quando è solo pubblicità di una storia risicata, poco appetibile e afflitta dal solito manicheismo incomprensbile e scatologicamente imbarazzante di Roald Dahl (a cui, non si sa perché, piace sempre giocare con le scorregge e le flatulenze: poi si parla male di Massimo Boldi e di Alvaro Vitali: alle trombette fatte col culo del Grande Gigante Gentile e delle Witches invece c’è da ridere: boh!), beh, allora, quella risacca di finto, quella fasullaggine è solo tediosa se non fastidiosa…

La cura ottimale delle inquadrature (sciocche ma molto più sapienti di quelle Marvel nell’amalgamare gli effetti speciali e nel dar loro dinamismo: Zemeckis e Burgess, come Tim Burton, sono indubbiamente più bravi di gente come Condon, Yates e i Russo a “impepare” i loro shots coi topi finti con grandangoli messi bene, con angolazioni intelligenti e con movimenti e stacchi prodigiosissimi, segno di un know how effettivamente ingente) diventa fine a se stessa, così come l’intenso lavoro di trucco e parrucco (di Gary Freeman, della sempre spettacolare Joanna Johnston e del sempre ottimo Alan Silvestri, impegnato anche in ben voluti calchi čajkovskiani: la Ouverture 1812 giunge a sorpresa nella scena della zuppa), e la recitazione molto ben fatta degli attori (Anne Hathaway è davvero molto efficace nell’equilibrare il suo essere, insieme, veicolo di spaventini e di risate)…
e finisce che il packaging di know how e la chiarezza recitativa non riscattano di un bel nulla un filmetto che ha la grana complessivamente scadente di uno special di Halloween da vedere in famiglia dopo trick or treat e dopo il Moscato, abbastanza briachelli e di bocca buona per ciò che propina il broadcasting poltronoso…

e per fortuna, quindi, The Witches è rimasto lì, nella TV per cui è fatto, e non è arrivato nei cinema a spargere la sua solita dahliana moraletta soldosa (alla fine, ovviamente, il vero premio dei personaggi di Dahl, almeno quelli che conosco io, e cioè nessuno, è quasi sempre arricchirsi): una morale che è bene appartenga alla TV invece che a un grande schermo oramai avviato verso un futuro che lo costringerà a trasformarsi in qualcosa di molto diverso da quello che è stato dal 1989 in poi…

Riassumendo: se non si ha 10 anni, questo film è una cacchetta su un piattino di plastica… brillante, colorata e posizionata su un bel piatto di plastica scenografato benissimo onde sembrare argento, ma pur sempre una cacchetta su un piattino di plastica…

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12 risposte a "Roald Dahl’s The Witches"

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  1. Io, al contrario di te, sono proprio cresciuta coi libri di Roald Dahl, che adoravo e da cui raramente hanno tratto dei film all’altezza (giusto la fabbrica di cioccolato – a me piacciono entrambi – e così così Matilda sei mitica). Per parlarne più consapevolmente me li dovrei di sicuro rileggere, perché non lo faccio appunto da quando ero bambina, ma quello che mi piaceva era che il bambino protagonista in genere se la cavava da solo, perché gli adulti, in un modo o nell’altro, erano tutti inutili se non pericolosi. Mi piaceva anche quella che tu invece non ami “orgia di flatulenze varie” perché mi piaceva essere allo stesso tempo divertita ma anche un po’ impressionata a un po’ spaventata, proprio come succede per le streghe, che sono sia divertenti che terrificanti. Con Tim Burton è simile ma diverso: alla fine Burton racconta una favola classica (stile Disney) ma con un’ambientazione visivamente (ma solo visivamente) spaventosa e macabra; Dahl invece fa accadere delle cose spaventose come se fossero normali (la preside della scuola che lancia i bambini, le streghe che li mangiano se sono troppo puliti, Willy Wonka che non batte ciglio nel vederli sparire in un tubo o diventare viola) e ti fa capire che, se sei un bambino, sei solo e sei in pericolo, quindi ogni mezzo vale per salvarti la pellaccia e magari guadagnarci qualcosa. Però, ripeto, per un’analisi narratologica più precisa dovrei rileggerli. Per quanto riguarda il film non posso dire nulla, perché non lo visto, e se lo facessi sarei forse accecata dal mio odio per Anne Hathaway, ma ricordo che il libro mi piaceva tantissimo, anche se il mio preferito era La Magica Medicina, in cui un bimbo eliminava con una pozione assurda la nonna antipatica e dispotica.

    1. Ah, ma io, più che un Dahl vs Burton intenderei fare un Dahl vs Michael Ende…
      ma penso anche di non avere alcuna onestà intellettuale in proposito: certe cose, se viste a una certa età, acquistato dei sensi che poi rimangono…
      L’altra volta si diceva di «Zardoz», che tu, giustamente, non riuscivi a “fartelo piacere”, ma che io vidi *prima* del concepimento dell’imbarazzo, perciò non posso comprendere le ottime recensioni imbarazzate di chi l’ha recensito oggi senza averlo “acquisito” nell’età in cui l’ho acquisito io, e quindi ci ha visto, giustamente, tutti gli imbarazzi che ci sono, e che solo io, adesso, proprio perché a quell’età l’ho visto, *non posso più riuscire a vedere*… [è come, per me, cercare di giudicare “oggettivamente”, da studioso, le “dissonanze” di Gesualdo da Venosa dei primi anni del ‘600 a 30 anni proprio quando da studioso, dai 10 anni in avanti, ti sei dedicato, e hai sentito come profondamente “potente”, l’Accordo di Tristano del 1865: è ovvio che Gesualdo, in confronto, ti sembra una fanfaluca scioccarella! È, credo, un discorso *relazionale* tra ciò che uno “già sa” (la sua “enciclopedia personale”) e ciò che vede che determina il giudizio: se quella “enciclopedia”, per ragioni biografiche, ha certe basi, allora, per quella enciclopedia, includere “altri basi” è molto difficile, anche se ci si prova: le storie di Willy Wonka e Matilda le ho comunque adorate, pur essendo di Roald Dahl: segno, forse, o che erano state adattate meglio, o che forse si adattavano loro meglio alla mia enciclopedia…
      anche perché non so se, adesso a 40 anni, riuscirei davvero a godermi un libro di Roald Dahl, anche considerando che io non riesco a leggere un libro di Harry Potter!
      così come, forse, non riuscirei a godermi «Zardoz» se lo avessi visto dopo i 18 anni…
      e così come *non riesco*, colpevolmente, a godermi né «Animal House» né «The Blues Brothers» né «On the Road» di Kerouac, perché li visti/letti molto dopo l’età dell’immaginario sex, drugs & rock ‘n’ roll!]
      Altra parentesi:
      è come quando, a mia moglie, cerco di far vedere Guerre Stellari o Indiana Jones oggi, a lei che non li ha ma vissuti a 10 anni…
      è impossibile: l’imbarazzo dell’adulto non la fa penetrare nella logica profonda di quelle saghe, come io non penetro nelle saghe di Harry Potter (che è uscito quando io avevo già 20 anni), né in quelle del Lord of the Rings (che ho provato a leggere a 30 anni schifandomi)…
      La stessa cosa succede quando mia moglie tenta di farmi appassionare a Grey’s Anatomy o Streghe (Charmed con Alyssa Milano): io le guardo oggi ma, avendo io sempre visto Buffy, mi sembrano scemenze, mentre lei le vedeva negli anni dell’adolescenza che, pur riconoscendo come condizione di fallacia nel giudizio, non la fa che reagire come allora con lacrime scolpite nel vissuto! [quelle che vengono a me rimembrando «È quasi magia Johnny», che capisco non essere il capolavoro che io esageratamente stimo per vissuto, ma che mi fa commuovere ogni volta!]

  2. Concordo con te, certe cose si possono apprezzare solo ad una certa età: io adoro Tolkien, ma lo ho letto a 13 anni, leggendolo ora forse sarebbe diverso. Harry Potter l’ho letto che ero già grande e ne ho visto tutti i difetti, anche se alla fine non mi è dispiaciuto (anche se è calante con il progredire dei libri) da piccola forse sarebbe stata un’altra cosa. Per Zardoz non so, mi riesce così difficile pensare che esista davvero una fase per apprezzarlo… :)
    La Storia Infinita l’ho letto da grande (per l’esattezza quando ero incinta, consigliavano di leggere storia al bambino già quando era nella pancia…), scoprendo che la storia del film (che ho visto tante volte da piccola ma non è mai stato tra i miei preferiti) è appena l’inizio… Non l’ho apprezzato molto alla fine: forse leggendolo da piccola sarebbe stato diverso. Ora vado a recuperare i libri di Dahl e vedo come reagiscono i miei bambini, poi ti faccio sapere :)

    1. Lo vedi?
      Poi intervengono naturalmente i gusti personali, e qualche “magia”: sulla Storia Infinita, io, per esempio, pur avendolo letto non così presto (ero comunque già ‘teen’), ho basato gran parte della mia “costruzione personale” e lo rileggo quasi come un prontuario (come, per me toscanaccio, certi film di Nuti o Benvenuti, per esempio)…
      E un altro che, pur avendolo visto che avevo 25 anni, ma che mi è entrato ‘under my skin’, è David Lynch: Twin Peaks, Inland Empire e Wild at Heart, per me, benché tutti visti dopo l’età dell’immaginario, sono “mattoni della mia personalità”!
      O anche Sendak, Carroll, Barrie, Tolstoj, le “Notti bianche” di Dostoevskij, Gogol’: li ho tutti letti da grande (Gogol’ è “nuovo”, “scoperto” addirittura negli ultimi 5 anni!), ma sono “mattoni d’identità” pure loro…
      Forse vale il luogo comune che certa Arte non la scegli ma ti sceglie!
      Fammi sapere come reagiscono i pargoli!
      E grazie della bellissima chiacchierata!

      1. Molto simile a te con Lynch, scoperto tardi ma entrato sotto pelle :)
        O con la Recherche di Proust.. letto per la tesi di laurea e, come si capisce facilmente, diventato parte di me…

        Grazie a te, in ogni tuo post scopro cose nuove e rifletto anche in modo diverso su quelle che già conosco… wow!

  3. Applausi a scena aperta sia per le tue parole (non saltabili! Sono imperdibili!) su Netflix e soprattutto sulla maledetta Fininvest! A 25 anni di distanza posso dire che facevano bene i miei genitori ad impedirmi di guardare la roba Fininvest, c’avevano visto lungo! :–D

    Povero Zemeckis però, che brutta fine. Non che guardassi a lui come faro di moralità (il messaggio politico di Back to the Future è orripilante, per quanto ami quel film!), ma tra Flight e i filmacci con la motion capture non si capisce cosa stia facendo degli ultimi anni della sua carriera…

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