Avviso: la recensione comincia alla parte quarta… tutto quello che c’è prima è noia…
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PARTE PRIMA: KING AL CINEMA
Due premesse:
la prima è per sfatare le voglie campaniliste italiote: Muschietti potrà sì avere avuto antenati italiani (come decine di milioni di persone al mondo), ma è argentino…
la seconda è che io non ho mai letto un accidente di Stephen King: provai a leggere Christine ma mi fermai a pagina 10 perché lo trovavo noioso…
mi sono più volte confrontato con amici esperti kinghiani per guidarmi al “capolavoro” di King, e hanno espresso in merito opinioni discordanti, che si traducono in un ideale podio:
la medaglia di legno del quarto posto spetta a Carrie
quella di bronzo a Stagioni diverse
quella d’argento proprio a IT
quella d’oro alla Torre nera
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Io, ripeto, non ho letto nulla e ho solo visto i film… e gli stessi esperti mi hanno confermato che quando i film tratti da King sono belli risultano molto più belli dei romanzi… e i titoli sono sempre gli stessi: la Carrie di De Palma, lo Shining di Kubrick, la Dolores Claiborne di Hackford: libri carini (Carrie è perfino medaglia di legno!) ma niente di che, trasformati in capolavoroni al cinema…
seguono, nelle trasposizioni, i film solidi, molto imparentati con i libri, che fanno la bella figura di “versioni ufficiali”… i film di Rob Reiner (Stand by me e Misery), e soprattutto di Frank Darabont (The Shawshank Redemption e The Green Mile rappresentano per molti dei film molto belli: a me hanno fatto due palle tante… ma per questione di gusti: io li trovo troppo manichei)
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PARTE SECONDA: IT DI WALLACE (ATTORI E TECNICA)
In molti nati negli anni ’80 il ricordo dell’IT di Tommy Lee Wallace con Tim Curry del 1990 persiste moltissimo… e per moltissimi persiste in positivo!
Curry è un attore coi coglioni: il suo sguardo, l’espressione, la faccia e le movenze ferine hanno costruito un mostro impeccabile, che ancora oggi inquieta: la sua efficacia ci fa riflettere su molti aspetti della rappresentazione del fantastico/orrorifico:
come diceva il vecchio Richard Donner a proposito di Superman, nel 1978, «puoi avere tutti gli effetti speciali che ti pare per far volare un essere umano: ma se l’attore, con il suo mestiere, non riesce a trasmettere l’idea del volo, allora tutta la tecnica va beatamente a farsi friggere» (e lo diceva grato al dio del cinema di aver scritturato il povero Christopher Reeve)
e idem si può dire di Curry nell’IT del ’90: Wallace sapeva come fare: i suoi punti di vista erano giusti, la sua lavorazione con scene, costumi, obbiettivi, angoli di ripresa, effetti fotografici ecc. era quella dell’ottimo professionista, che proprio si vede conoscere tutti i meccanismi della tecnica, ma che senza Curry avrebbe portato a casa una “scatola vuota”… e infatti, quando Curry esce di scena, e Wallace si trova ad esprimere il mostro senza di lui, con solo gli effetti speciali del 1990 (il ragno gigante del finale), il “giocattolo” smette di funzionare: la tecnica (comunque manchevole di un adeguato budget) si rivela insufficiente…
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Il dramma è che a Hollywood sono pochi quelli che fanno i discorsi di Richard Donner e di Tommy Lee Wallace… a Hollywood, specie in quest’era digitale, molti sono convinti che la tecnica faccia tutto… ma in quel caso la tecnica deve essere supportata anche da sguardo…
sto complicando le cose: gli ingredienti sono 3: tecnica, attore, sguardo
se ci sono tutti e tre, evviva… se uno manca gli altri possono supplire (se manca l’attore, tecnica e sguardo reggono la rappresentazione), ma se a mancare sono due ingredienti, allora la cosa va in vacca!
e a Hollywood, invece, spesso, sono convinti che basti la sola tecnica a fare il film…
e la “colpa” di questo atteggiamento è del buon risultato al botteghino di film fatti solo con gli effetti speciali (vedi La mummia di Summers del 1999) e dell’atteggiamento permissivo verso l’eccessiva tecnica di certi registi mainstream, da Cameron a Zemeckis (colpevole di aver fatto troppi ridicoli film in motion-capture), da Jackson a Lucas…
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PARTE TERZA: WARNER VS NETFLIX (BLOCKBUSTER, HYPE E MERCHANDISING VS OPERAZIONI NOSTALGIA “ESTETICHE” PER LA RINCORSA AL PUBBLICO BAMBINO)
ed eccoci qui…
dal 1990 la TV e Netflix hanno rubato molto pubblico al cinema, e Hollywood ancora non sa come reagire, e va a tentoni sfruttando pochi filoni andando sul “sicuro”: i supereroi e le operazioni nostalgia (vedi Starkiller), tutte cose per cui Hollywood non ha comunque per niente l’esclusiva, ed è anche in questi aspetti tallonato da Netflix, che rappresenta la vera regina delle operazioni nostalgia (se Hollywood può sfornare uno stupido reboot anni ’80 all’anno, Netflix elargisce stupidi reboot anni ’80 ogni due mesi!), e, grazie agli accordi con la Marvel, si insinua spesso e molto bene (cioè con ottimi risultati di abbonamento) anche nei supereroi
(e ricordiamoci che supereroi e operazioni nostalgia sono facce diverse dello stesso filone, e cioè L’INFANTILIZZAZIONE ETERNA DEL PUBBLICO; un fenomeno iniziato ormai 25 anni fa e basato sulla immaturità e bimbominkiezza eterna della gente dovuta alle pessime congiunture politico-social-culturali di questo post-capitalismo: senza un lavoro, la gente sembra regredire a gusti e voglie pre-puberali di rifuggita dalle responsabilità, e questo è cavalcato e insieme causato dall’industria dell’entertainment: ma qui è bene che mi fermi, perché il livello di blaterazione alla Fusaro è già altissimo: e io odio Fusaro)…
siamo, quindi, in un regime di estrema concorrenza ad acchiappare più pubblico pagante tra Hollywood e Netflix: una battaglia che Hollywood sembra perdere sempre di più…
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L’IT di Muschietti è figlio di questa sconfitta hollywoodiana nei confronti di Netflix…
Pompato da un grande battage pubblicitario (se ne parla da quasi 2 anni), che lo ha da subito spacciato come super-capolavoro inarrivabile… anabolizzato da una campagna mediatica stampa e blog che lo ha comunicato come una vetta del cinema, come un qualcosa di fenomenale, di supersonico… l’IT di Muschietti era già un déjà vu prima che uscisse…
Il pubblico normale era già così tempestato di informazioni sull’IT di Muschietti che quasi era inutile vederlo!
Una cosa simile accade con i fenomeni televisivi nazional-popolari: con Sanremo, con X-Factor, con Amici di Maria, con serie di gran cosumo come Game of Thrones: ne parlano tutti, ne parlano altri programmi televisivi, ne parla Twitter, ci sono meme su Facebook a riguardo… finisce che la totalità dei prodotti derivati da Sanremo, X-Factor, Amici e Game of Thrones SUPERA e CONTIENE l’effettiva visione di Sanremo, X-Factor, Amici e Game of Thrones… finisce che tu puoi anche NON VEDERE mai Sanremo, X-Factor, Amici e Game of Thrones, ma li avrai comunque visti in maniera derivata proprio a causa dell’eco mediatica che questi hanno su altri agenti in rete…
e il prodotto derivato è un prodotto idealizzato, un prodotto di fan accaniti: non è un prodotto “informato”, è un prodotto esso stesso “pubblicitario”: mai critico, qualche volta benevolmente parodico, ma sempre atto a ingigantire il fenomeno, sempre frutto di “amore” e di promozione del fenomeno… quei prodotti derivati sono pubblicità gratuite, studiate e provocate dalla major per reclamizzare il prodotto sfruttando proprio i fan…
Va a finire che per forza si rimane delusi dall’IT di Muschietti, perché quando lo vai a vedere davvero, proprio effettivamente, e con la testa riempita dalla promozione fan online, verifichi davvero di che si tratta, e si tratta spesso di un film normale, che senza dubbio avrebbe meritato sì una adeguata campagna pubblicitaria ma non di sicuro quest’hype infinito…
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Questo hype è stato montato ad arte dalla Warner, dai ragionieri della Warner, che hanno cercato in tutte le maniere di battere Netflix nelle operazioni nostalgia… con la logica che l’hype e il merchandising avrebbero comunque attecchito in ogni caso, anche, virtualmente, SENZA il film stesso!
E questo è ancora il grande potere che ha Hollywood nei confronti di Netflix, quello di sfruttare immaginari “pompati” di universi in effetti inesistenti…
Guerre stellari e la Marvel campano di giochini e tazze vendute nei negozi, giochini e tazze che non hanno nulla a che vedere con i film effettivi: ninnoli e paccottiglie che fanno palate di miliardi solo per “moda” o “abitudine”…
Netflix ancora non ha questo potere: non ha ancora accordi con le fabbriche di giocattoli e tazze, né ha negozi specializzati… e Hollywood questo lo sa benissimo! Hollywood sa che se lavorerà con i blockbuster grossi batterà Netflix sempre, proprio sul terreno del merchandising!
Per cui ecco IT…
IT è il prodotto produttivo del blockbuster da manuale, il blockbuster sistematizzato dal Batman di Tim Burton (nel 1989)… il blockbuster tale per cui il film è solo un ente, e neanche il più importante, di una miriade di altri enti messi su al solo scopo di fare soldi (enti che vanno dai DVD alle mutande, dalle tazze alle matite)… grazie all’hype sull’IT di Muschietti, alla Warner sapevano che l’IT di Muschietti avrebbe comunque fatto successo anche SENZA FILM!
e per questo, sul film effettivo, la Warner si è concentrata poco e niente… ha invece fatto l’hype, sicura che col solo hype avrebbe fatto più soldi di Netflix… e per quel che riguarda il film, invece, l’estetica poteva benissimo essere quella di Netflix, perché il conflitto tra Hollywood e Netflix non è “estetico”, ma solo economico…
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E noi, poveracci, che subiamo tutto questo conflitto, al cinema che vediamo?
Vediamo un film che non è frutto di decisioni rappresentativo-estetiche, ma vediamo un film di pura industria, di puro pretesto giocattoloso, di mero accompagnamento accessorio di un processo commerciale già in atto anche senza film…
un film, per così dire, inutile…
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PARTE QUARTA: IT DI MUSCHIETTI
per capire cosa ho visto nell’IT di Muschietti farò un elenco di alcune sue caratteristiche, specificando se sono un pro o un contro del film…
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PRO: IL TARGET E LA TRAMA
I film tratti da King che ho detto all’inizio erano comunque film “per grandi”… spesso erano vietati ai minori di 14 anni all’epoca di uscita… Shining di Kubrick, Carrie di De Palma, o anche l’IT di Wallace sono film che potrebbe guardare benissimo anche un 60enne senza provare disagio: i film kinghiani di Kubrick, De Palma, Reiner, Hackford, Darabont che ho detto prima si rivolgono, hanno un target, che si può benissimo definire adulto…
…Muschietti e la Warner hanno invece deciso di dedicarsi esclusivamente ai dodicenni…
l’immaginario è assolutamente infantile, e si rifa ai Goonies e a Wes Craven’s New Nightmare, precedenti che, però, erano comunque ANCHE film da grandi (poiché riflettono su quanto dell’infanzia rimanga nell’età adulta), mentre l’IT di Muschietti, almeno in questo primo capitolo, si rivolge esclusivamente ai bambini…
l’IT di Wallace mescolava le vicende degli adulti e quelle dei bambini con flashback appropriati, Muschietti invece tiene separato tutto: questo primo capitolo narra solo dei bimbi e quindi è un film per bimbi, che parla della sconfitta di It come metafora dei riti di passaggio (tra cui l’accettazione del lutto) e della crescita…
se avessi avuto 12 anni non mi sarebbe dispiaciuto affatto, perché gli archetipi del raggiungimento dell’età adulta ci sono tutti (dai baci della Bella addormentata all’affrontare le paure in stile Barbablu), e ho riso tantissimo alla battuta «Adesso mi tocca uccidere questo clown di merda!»
certo, però, che il soggetto è praticamente identico a The Hole di Joe Dante, che fece stra-flop nel 2009: e la cosa dispiace, perché Dante aveva fatto un filmetto ugualmente per 12enni ma ricco di idee visive sicuramente migliori di quelle tirate fuori dal vacuo Muschietti… forse era da recuperare The Hole piuttosto che sorbirsi l’IT di Muschietti…
e ugualmente certo è che il soggetto archetipico di crescita è stato affrontato molto meglio da 38 miliardi di altri film… ma vabbé, come detto tante volte, l’originalità non è di questo mondo…
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CONTRO: IL TARGET E LA RESA VISIVA
questa di essere un film per 12enni e solo per 12enni è anche un punto debole, perché compromette la resa visiva del film: siccome si rivolge ai “bambini” non deve turbare troppo (anche se si tratta di un horror) per compiacere i tanti MOIGE americani… finisce che il film è laccato e saponoso con l’immagine sempre così pulita che finisce quasi per fare schifo… queste immagini troppo pulite risultato assai finte, e hanno un “odoraccio”: sono il corrispettivo del puzzo di disinfettante, certo pulitissimo ma non così piacevole…
il mostro è sempre al centro del frame (cosa di cui parleremo dopo), e ha un aspetto per lo meno “baloccoso” — Bill Skarsgård sembra aver prestato solo qualche espressione alla motion-capture, poiché Muschietti, o la Warner, hanno deciso che la tecnica poteva reggere da sola senza un attore (vedi supra la seconda parte)… è stata una grave decisione, perché questo mostro sembra più un peluche, una bambolina, un affare che si monta e si smonta, un meccano invece di un mostro… — la colpa non credo sia di Skarsgård, ma è dell’idea infantile della pellicola… — oppure risente del merchandising, e della volontà Warner di fare non un film ma un catalogo di ninnoli da vendere: forse la major ha già pronta la bamboletta snodabile di Pennywise che Muschietti non ha fatto altro che promuovere in un mega-spot formato lungometraggio…
Non solo: certe ambientazioni e scenografie è evidente che sono state progettate più per un parco giochi che per un film (un difetto già bello grosso anche in Animali Fantastici, ugualmente targato Warner), su tutti la casetta dei fantasmi, identica alla Manor House di Disneyland e già pronta per ospitare una Dark Ride nei parchi a tema della major…
Oltre ad avere il difetto di sembrare uno spot, il film per giunta sembra ignorare di essere stato girato per un grande schermo… le cose sempre al centro del frame che si diceva prima non innescano una poesia del senso diegetico e del «contorno sfuocato che piano piano si rivela» dei film belli (per esempio Mad Max: Fury Road), ma denuncia solo pochezza immaginativa, e denuncia il fatto di essere stato pensato per un piccolo schermo: la TV, il PC, il Tablet, ovvero quelle piattaforme in cui la Warner sa di vendere il film (con Google Play, iTunes, Amazon), dato che in sala si sa che non ci va più nessuno e che gli Home Theatre ce l’hanno in pochissimi, così come pochissimi comprano i Blu-Ray o i DVD, visto l’attecchimento massiccio dello streaming o del download…
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CONTRO: GLI ANNI ’80
L’ambientarlo negli anni ’80 è davvero un gravissimo errore…
La Warner, dicevamo, era sicura di battere Netflix con l’hype: era sicura di batterla economicamente e non esteticamente, poiché la questione estetica non è negli interessi della Warner…
il lato debole di questo disinteresse estetico si vede tutto nell’ambientazione anni ’80, poiché andando lì è proprio a livello estetico che Netflix ritorna in auge: Netflix è la regina assoluta di queste scemenze revival…
Con gli anni ’80, non solo la Warner porta il conflitto là dove non può vincere, ma perde anche il target: il 12enne odierno, per il quale la resa visiva e la trama sono state concepite, NON SA UN ACCIDENTE DEGLI ANNI ’80… questo significa che gli anni ’80 ci sono per COMPIACERE I 35ENNI!!!
MA COME PUÒ UN 35ENNE COMPIACERSI CON UN FILM CHE HA UNA RESA VISIVA E UNA TRAMA PER 12ENNI!!!???
Questo è l’errore più idiota fatto dalla Warner…
Muschietti salva il salvabile dell’operazione nostalgia, cercando di farla nel modo più professionale possibile (dei Goonies s’è già detto, e nel cinema di Derry proiettano Arma Letale 2, Batman e Nightmare 5; inoltre ci sono un paio di sequenze graffe, quelle scene videoclippare di cui si parla in La famiglia Fang [le chiama sintagmi a graffa Christian Metz§], che sono l’emblema degli ’80s), ma come competere con i colossi Netflix???
Netflix è la maestra nell’elargire al pubblico eterno-bambino (che dicevamo supra nella terza parte) tutti gli strumenti per la sua autocompiacenza! In questo non la batte davvero nessuno… come si diceva in Starkiller, Netflix è proprio una fonte inesauribile di stronzate nostalgiche per 35enni, e ne fa proprio tante, e con tutta una serie di strizzate d’occhio cinefile d’annata che fanno davvero pietà ma che sono la crème de la crème per il pubblico bimbominkia for life (vedi anche Valerian) assetato di queste balordaggini…
In operazioni del genere Netflix ha dalla sua anche la grande intelligenza di non confondere i target: Netflix sa che quella mezza caata di Stranger Things è appannaggio esclusivo dei 35enni, e non commette quindi l’errore di tentare di acchiappare i 12enni! Un errore in cui la Warner incappa del tutto…
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PRO: IL METACINEMA
Si cerca di fare meglio d Netflix incorporando alcuni temi metacinematografici:
- una volta il mostro si palesa da un proiettore di diapositive che cambia diapositiva a un passo molto veloce, diventando quasi cinema, e il mostro *esce* da quelle immagini proiettate, esce quindi *dal cinema*, come se il mostro fosse il cinema stesso…
- un’altra volta si palesa in TV, tra i pixel della trasmissione: il mostro, quindi, è per lo meno “immagine” oltre che “giocattolo” o “bambola” come dicevamo prima…
- il mostro ha anche un “apparato proiettivo” al suo interno, nella sua bocca, alla cui luce la gente si immobilizza/terrorizza/va in trance, come tutti facevano alla vista delle prime immagini in movimento all’alba del cinema: il mostro è quindi un cinématographe Lumière vivente! [anche quando esce dalle diapositive/cinema sembra fare la funzione del Treno alla stazione di La Ciotat]…
- quando i ragazzini vogliono neutralizzare il mostro lo colpiscono spesso negli occhi, l’organo della visione, l’organo del cinema…
- il mostro si muove in un circo/fiera, che era il luogo d’elezione del cinema nascente ottocentesco (vedi anche Miss Peregrine), sfoggiando anche una certa maestria nella gestione del suono (i rumori ritornano quasi come Leitmotiv del mostro)
…sono aspetti non brutti, e so che qualche teorico di bocca buona per il genere ci caverà qualche spunto intelligente (gente tipo Casetti o Canova ci scriveranno senz’altro un saggio), ma a mio avviso sono cosette all’acqua di rose (come quelle di Animali Fantastici), rare all’interno del film, così tanto da far pensare che siano più casuali che pensate, e senza dubbio non sono sistematiche… benché nella mia conclusione saranno decisive…
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CONTRO: LA FRAMMENTAZIONE
Un aspetto forse derivato dall’estetica Netflix a cui la Warner commette l’errore di incappare è la frammentazione di tutta la prima ora del film… i personaggi si incontrano, e quindi l’azione volge al suo vero inizio, solo a metà film: prima ci sono sequenzine separate, una per ogni personaggio! Il risultato è solo l’allungamento del brodo… Un allungamento di brodo che forse ha un senso nei prodotti seriali (quelli di Netflix), che guardi in poltrona, mentre cucini, la sera dopo il lavoro, quando sei stanco, e che non abbisognano di attenzione, anzi, nei quali si apprezza fortemente quella mezz’oretta (su 45 o 55 minuti) in cui non succede una beata fava durante la quale rilassarsi, farsi due risate, dormicchiare, lavare i piatti, inforcare il boccone… Ma al cinema, in un film della durata enorme di 2h 25′, quelle frammentazioni ti rompono assai gli zebedei…
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PARTE QUINTA: CONCLUSIONE
Tirare le fila di tutto questo è difficile…
visto come film per bambini è apprezzabile: la storia archetipica insegna comunque molte cose…
ma il dramma è che ha anche tanti ingredienti che non lo rendono un film per bambini…
è un film così ansioso di accontentare tutti che finisce per non accontentare nessuno: i 12enni non capiranno le cinefilie, e per i 35enni quelle cinefilie sono invece poche (Netflix ne ha di più: perché quindi scomodarsi ad andare in sala???)…
scontenterà anche i 17enni, i 15enni, i 14enni: come ho constatato in sala, i rappresentanti di tutte queste età hanno avuto da ridire, visto che il film vorrebbe parlare solo ai 12enni…
e scontenta tutti perché compete con Netflix uscendone a brandelli: Netflix fa cose già per il tablet, e quindi non ha il fastidio di essere un’opera di cinema girata come un’opera di tablet… Netflix è per statuto frammentario in quanto seriale, e quindi non si percepisce il frastidio che invece si avverte nell’IT di Muschietti…
le trovate metacinematografiche, però, pur miserrime, potranno forse entrare nella mente dei 12enni e farli un po’ riflettere… e questo è forse l’unico aspetto che me lo fa tornare simpatico: come dico in Starkiller, già tante volte citato, quello di non avere un discorso metacinematografico è il difetto più grande di Netflix, per cui Muschietti ha il merito di aver fatto *cinema*, anche se lo ha fatto in momenti piccolissimi, affogati nella pastura tablet-televisiva, e quindi troppo poco per salvare il tutto… ma comunque già il fatto che ci abbia provato rende il film *guardabile*…
e se Muschietti, per solo quelle 5 idee meta-filmiche dette si può “salvare”, la Warner non ha proprio nulla a cui appigliarsi per non finire tra i “condannati”: il basarsi sull’hype, sulla logica del blockbuster, sulla pubblicità gratuita dei fan e dei prodotti derivati sono tutti atteggiamenti che rappresentano il peggio dell’industria… La Warner ha usato IT per tutto tranne che per *cinema*… e Hollywood fa così da sempre: anche con IT di Muschietti Hollywood si è autorappresentata come fa ogni volta…
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Leggersi Sam Simon, con cui sono completamente d’accordo…
Ringraziamenti: a Nicola Stefani per le illuminanti conversazioni feisbuccose sul rapporto tra il film e Netflix a livello di trama e visione (gli sproloqui a livello economico sono sproloqui tutti miei)…
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§Christian Metz, Langage et cinéma, elaborato con articoli dal 1964, poi Paris, Albatross, 1971, tradotto da Alberto Farassino e Gianfranco Bettetini come Linguaggio e cinema, Milano, Bompiani, 1977
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Il secondo capitolo, ugualmente problematico nel target e nel messaggio ritrito di elaborazione dell’infanzia/lutto, forse è più meritevole per via di una fotografia migliore, un senso meta-cinematografico molto più consapevole, e una molto meno insistita aura hype… ma comunque, nelle sue 3h, “rimane lì”…
Guarda alla fine sono d’accordo, però secondo me si fa guardare senza troppi fronzoli. Terra terra, l’errore più palese è mettere tutti quei jumpscare a fava che rovinano la tensione. E si, metacinematograficamente parlando è una sconfitta del cinema alle mode chiamate dalle masse, vedi Thor nuovo, però secondo me come film stringi stringi non è costruito male: i bimbi sono simpatici, e qualche scena horror è costruita bene come quella del quadro.
l’ IT televisivo era un trauma per molti bimbi di 11-12 anni me compreso.
Era l’unico che funzionava anche nella realtà della provincia, con lui non potevi pensare “ehi un momento, siamo in Toscana, si dice boia deh, questo mostro è totalmente implausibile”.
No, nella cacionaggine della miniserie TV, in cui appunto tutta la paura veniva da Tim Curry vestito da pagliaccio senza particolari effetti speciali, c’era questa semplicità inquietante (del fatto che fosse ambientata negli anni ’50 o altrove manco ci si faceva caso), proprio l’orrore messo a nudo di un clown che d’improvviso si rivelava un mostro (anzi, non si rivelava, ERA esso stesso un mostro) nell’indifferenza o incomprensione del mondo (un mondo di fatto ancora degli adulti) circostante.
Un pagliaccio normale comunissimo ovunque, pure a Piombino, ma che a te (e solo a te in quanto bimbo quasi adolescente) mostrava la sua vera terribile natura.
E quindi quando nel ’93 lo passavano su Italia Uno era la fine: interi autobus di bimbi delle medie terrorizzati al mattino seguente. IT era lì, lo vedevi di sfuggita in quel palazzo dell’ IACP in costruzione da anni dove sicuramente aveva stabilito la sua dimora, oppure ci poteva stare tranquillamente che “sortisse” da una fogna ai Ghiaccioni o a Montemazzano.
Nessun altro Horror ha credo mai potuto tanto, se non altro per la quantità di persone traumatizzate.
Del nuovo IT ho visto solo vari pezzi su Youtube….nulla già il Pagliaccio è un’altra cosa, irreale già per come si presenta, un essere “fantasy” sovrannaturale grazie agli effetti speciali, fuori posto se non nel film, che ti può far paura solo con una colonna sonora appositamente calibrata.
Magari mi sbaglio perchè non l’ho visto tutto ma mi sembra tutt’altra roba rispetto al vecchio, non c’è proprio la voglia perversa di far paura sul serio ma solo la voglia del fare marketing.
Boja! commento spettacolare!
Non so perché ma nonostante pure il tuo link alla mia recensione mi ero perso questo post!
Interessantissimo, tra l’altro, ma non è una novità. Bello anche leggere Pietro qui sopra di cui confermo ogni parola, anche a me faceva tantissima paura l’It di Tim Curry (super attore)!
La cosa tragica è che questi film fatti per 35enni ma senza nessuno spunto di interesse per gente di quell’età… piacciono ai 35enni! Ma ormai siamo in un’epoca in cui praticamente ogni serie su Netflix o altro mezzo piace a milioni di persone e le poche critiche rivolte alle serie stesse sono quasi sempre fatte per motivi sbagliati (tipo le critiche a Game Of Thrones per chi diventa re alla fine. Chissenefrega! Sarebbe come criticare Star Wars perché Darth Vader uccide l’Imperatore invece di Luke. Che senso avrebbe?).
Tra parentesi, non ho manco visto Game Of Thrones ma è impossibile schermarsi da questo continuo hype per tutto e tutti (specialmente le cose nostalgiche anni 80 tipo It di Muschietti)!
Bada, ‘sta cazzo di nostalgia io l’ho a noia come poche cose… forse quanto ‘st’accidenti di serie TV (o para-TV) che affollano l’immaginario e l’orizzonte di attese di un pubblico definitivamente non più critico, ma solo fan sfegatato, proprio livello “squadra di calcio”, o livello “attesa del nuovo modello di iPhone”… un pubblico che si entusiasma fino al delirio e, come dici tu, si affloscia per sciocchezze… citando (in modo, ammetto, molto paternalistico) i Baustelle: se nei sogni della gente c’è questo cianuro qui (a livello di metodo, certo, non di contenuti, che anche io, ovvio, ignoro: non ho visto né GoT né Stranger Things), per forza la visione si sgonfia e cade giù… giù fino a questa viscerale e anti-razionale società che costruiamo (e di cui abbiamo già parlato a proposito di von Trier)
Eh sì, sono con te in questo mare di noia per la nostalgia. Di Stranger Things ho visto la prima stagione (in un weekend di binge watching convinto dal mio amico Orodromus che scrive pure lui sul blog), mi ha annoiato (è una specie di Super 8 di JJ: uno scopiazzamento senza scopo di roba tipo E.T. e The Goonies con musiche alla Carpenter) e ho detto “mai più”.
Certo scoccia essere d’accordo coi Baustelle! ;–)
Ihihihi!
Un “amen” per la terza parte.
(Sulla seconda e la quarta non posso esprimermi, ‘ché ancora non l’ho visto.
Sulla prima, da devota di King e insoddisfatta di troppi film tratti dai suoi libri, sono in profondo, esistenziale disaccordo ;) ).