Musiche per la primavera

Tante musiche primaverili sono già contenute in Musiche per le stagioni

Qui, a caso, si dirà di altri pezzi famosissimi, e si farà anche presto (forse), perché di tanti abbiamo già parlato…

1) In primis, senza dubbio, ci vuole la prima sinfonia (op. 38) di Robert Schumann, detta proprio Primavera, Frühlingssinfonie, 1841…
È la numero 31 di Symphonies

2) Il primo intensissimo atto della Walküre di Richard Wagner, seconda giornata del Ring des Nibelungen (numero 27 di Operas IV), 1870…
In esso, l’amore più irrazionale (così tanto da coinvolgere perfino due gemelli!) giunge a sfracellare una situazione domestica fatta di prevaricazione e violenza (prima dell’arrivo di un fatale ospite, chiamato Siegmund, uomo spiccio, affascinante, eroico e travolgente, che si rivelerà essere, si diceva, suo gemello, la povera Sieglinde vive quasi segregata e afflitta dalle violenze del preverbale marito, Hunding), con una energia davvero liberatoria e spettacolare e uno dei finali d’atto più coinvolgenti di sempre (animato, perfino, da una spada magica da estrarre da un albero!)…
Siegmund e Sieglinde, durante l’atto, approfittando delle assenze di Hunding, per avvicinarsi e “coccolarsi” sempre di più, e in qualche modo si riconoscono come gemelli (uno spera di intendere la cosa metaforicamente, come anime gemelle, ma purtroppo non è così!)…
Per rendere questo amore che si sviluppa piano piano e progressivamente, Wagner usa stralci di un tema, durante l’atto, stralci che, via via, si ricompongono, e giungono a formare il tema vero e proprio e completo giusto nel momento in cui il vento primaverile irrompe nella stamberga di Hunding, “manifestando” (anche aprendo le porte della stamberga) la notte tiepida agli ormai amanti: l’amore si disvela del tutto, in musica, in scena e in ambientazione della scena (con la primavera che si scatena): strappacuore!
Sciolto dal brodo di giuggiole sentimentale, Siegmund pronuncia il tema d’amore, compatto e intero, nella sua “aria”, Winterstürme wichen dem Wonnemond, tutta scritta scimmiottando le allitterazioni del Nibelungenlied, e come si fa a non andare in brodo di giuggiole anche noi (pur sapendo che siamo di fronte a deliranti incestuosi e che il Ring è una cosa pazzoide come si dice in Operas IV)?

La stamberga di Hunding fu ricostruita da re Ludwig II von Wittelsbach (colui che praticamente manteneva Wagner a spese del regno bavarese) in una delle casette dependance del palazzo di Linderhof

3) Frühlingsstimmen, op. 410 di Johann Strauss II, 1882
Leggero valzerone che fanno tutti gli anni al concerto di capodanno viennese… come molti altri pezzi degli Strauss, a un primo tema sfolgorante ne segue un secondo assai lungo, ripetitivo e lezioso… ma la primavera è così: ti acchiappa, ma poi diventa caldo!

4) Kaščéj Bessmértnyj di Nikolaj Rimskij-Korsakov, 1902
Ha il sottotitolo Raccontino d’autunno (Osénnjaja skázočka), ma la cosa non deve ingannare, perché finisce a primavera…
Kaščéj (il “Sempre Morto”, o “Non Morto”, o “Immortale”), è una figura tipica del folklore slavo, una sorta di Skeletor russo che fa continui pasticci: molte Fiabe russe di Aleksandr Afanas’ev lo vedono protagonista (vedi A mille ce n’è): è un orco cattivo che imprigiona bellissime principesse o che chiede odiosi tributi ai suoi sudditi…
L’opera di Rimskij è una piacevole fiaba, che racconta con più lungaggini la stessa trama dell’Oiseau de feu di Stravinskij (di meno di 10 anni dopo) di cui stiamo per parlare…

5) Její pastorkyňa e cioè Jenůfa di Leóš Janáček, 1904
Una delle opere più “divertenti” (si fa per dire) e acchiappanti che si possano ascoltare!
Jenůfa è la bella del villaggio, un villaggio sperduto nella campagna morava della fine dell’Ottocento… Sta insieme, naturalmente, al nerboruto “palestrato” più aitante del villaggio, che si chiama Števa, e ha messo in friendzone il romanticissimo Laca (si legge Látsa)…
Jenůfa non ha fatto un bell’affare, perché il comportamento di Števa nei suoi confronti non è dei migliori: l’ha messa incinta, fuori dal matrimonio e con la promessa di sposarla subito… un matrimonio che invece tarda ad arrivare: tutte le volte che Jenůfa entra in discorso, Števa nicchia, temporeggia e posticipa…
Demoralizzata per l’ennesima procrastinazione (e presto la pancia si vedrà rendendo il suo disonore palese, condannandola per sempre presso i compaesani bigotti se uno sposalizio non giungesse a ripararle la reputazione), Jenůfa cerca di svagarsi scherzando con Laca sotto al mulino a vento (il cui girare metaforizza il destino, reso in musica da un ciclico ribattere dello xilofono), senza però dirgli nulla in proposito…
Dopo gli scherzi, però, Laca si mette a dire che Števa sta con lei solo per il suo bel faccino e comincia a ironizzarci su in modo un pochino malsano, prendendo il coltello e avvicinandolo alla guancia di Jenůfa: solo un graffio sulla guancia e Števa lascerebbe Jenůfa!
In un lampo, Laca, senza volerlo, il graffio a Jenůfa glielo fa! E per un soffio non le porta via un occhio!
Laca è disperato e inconsolabile, ma il danno è fatto: a salvare Jenůfa arriva la sua matrigna (il titolo dell’opera Její pastorkyňa si riferisce a questa donna, significa La sua figliastra), che urla improperi contro Laca mentre porta a casa una Jenůfa sanguinante…
Passa del tempo, il gelo è arrivato, e Jenůfa è chiusa in casa perché oramai è prossima al parto: per evitare lo scandalo la matrigna l’ha tenuta nascosta fingendo una malattia…
La matrigna tenta di tutto per organizzarle il matrimonio, richiamando più volte Števa al suo dovere: ma Števa rifiuta… con il graffio sulla guancia che la “sfigura”, Števa non riesce più a guardare Jenůfa e tanto meno ad amarla… sa che il figlio è suo ma non può accettare di passare la vita con una donna che ritiene un “mostro”…
Disperata, la matrigna chiama Laca, puntando sul suo senso di colpa per averla sfregiata: Laca ama Jenůfa e accetterebbe a mille di sposarla, ma non riuscirebbe mai ad allevare il figlio di Števa…
La matrigna è disperata, e Jenůfa (tra deliri e vaniloqui evidentemente provocati da certi decotti che la matrigna le ha dato per tenerla chiusa in casa) sta per affrontare un parto difficile, di un figlio che sembra l’unico ostacolo a un vero matrimonio con Laca…
La matrigna, folle come una strega dei Grimm (la musica è eloquentissima), prende una decisione allucinante: dice a Laca che il bimbo di Jenůfa e Števa è nato morto! Laca accetta, quindi, di buon grado di sposare Jenůfa… ma il bimbo non nasce morto… appena da sola, con Jenůfa dormiente esausta dal parto, la matrigna seppellisce vivo il neonato nella neve!
Passa un po’ di tempo, Jenůfa si riprende e le viene detto che il suo bambino è morto, che Števa non la vuole più, e accetta di sposare Laca…
Il matrimonio di Jenůfa e Laca, però, arriva col disgelo, che fa ritrovare il corpo del neonato morto…
La matrigna si dichiara subito la colpevole, e nella sua confessione dice che l’ha solo fatto per la figlia, per salvarla dal mondo bigotto… i gendarmi la portano via e sulla scena rimangono solo Jenůfa e Laca…
Laca è sconvolto che tutto questo sia stata colpa sua, ed è sicuro che Jenůfa non lo vorrà con sé… invece Jenůfa ha capito che il vero amore era quello di Laca e non quello superficiale di Števa, che l’ha ingannata e abbandonata…
Nel finale, in un tramonto di primavera, Jenůfa e Laca si promettono di amarsi in modo nuovo, lontano dal bigottismo, e supportato dal perdono, circondati dalla vita nuova del mondo primaverile, ricco di speranza e possibile nel futuro di redenzione…
pianti massimi di gioia!

Janáček scrisse Jenůfa in due tempi con in mezzo la morte dell’unica figlia rimastagli dopo la dipartita di un maschietto, vissuto solo due anni… per avere i diritti del soggetto della romanziera Gabriela Preissová dovette anche penare alquanto!
Dopo la prima nel teatrino di Brno nel 1904, Jenůfa fu rappresentata fuori dalla Moravia solo nel 1916, a Praga (in Boemia), in una pesante riorchestrazione di Karel Kovařovic, sopportata da Janáček solo grazie al denaro… A Praga la versione di Kovařovic fece comunque successo e permise l’esportazione dell’opera, non solo nella riorchestrazione ma anche in traduzione tedesca, niente meno che a Vienna, nel 1918: e nella Staatsoper di Vienna, appena riaperta dopo la Prima Guerra Mondiale, il messaggio di speranza e redenzione di Jenůfa fece un trionfo sorprendente… la carriera internazionale di Janáček, già 64enne, cominciò da lì… e anche una sua seconda vita: coi soldi dei proventi di Jenůfa si poté permettere soggiorni alle lussuose terme di Luhačovice, dove un giorno incontrò una donna, Kamila Stösslová, con la quale inizierà una tormentata love story
Aber das ist eine andere Geschichte!

6) Žar-ptíca, L’oiseau de feu di Igor’ Stravinskij, 1910
Scritto da Stravinskij su un carinissimo soggetto del coreografo Michail Fókin (che lo ritenne sempre un suo lavoro: secondo lui Stravinskij prestò solo la musica, per lui una cosa del tutto secondaria!), naturalmente tratto dalla stessa materia fiabesca dell’opera di Rimskij-Korsakov, è un balletto adorabile!
Non sarebbe di per sé “primaverile”, ma i protagonisti vengono a un certo punto salvati dall’Uccello di Fuoco (che il principe era riuscito a catturare ma che poi liberò mosso a pietà, cosa che fece esprimere all’Uccello di Fuoco gratitudine promettendo al principe di ricambiare aiutandolo quando ce ne sarebbe stato bisogno) dalle grinfie di Kaščéj, che li tiene prigionieri…
L’Uccello di Fuoco li salva facendo danzare, col suo canto magico, Kaščéj e la sua corte infernale, una danza sfrenatissima di tutti quanti che fa praticamente crollare il palazzo di Kaščéj e lascia abbastanza storditi i protagonisti…
Dopo la “danza di fuoco”, i protagonisti ritrovano la felicità come la primavera ritorna dopo un tremendo inverno, ed ecco servita la valenza primaverile del balletto, che si è cementificata in Fantasia 2000, e che Rimskij aveva molto più palesato nella sua opera; e Stravinskij era allievo di Rimskij e in Oiseau de feu ricicla parecchia musica del maestro (vedi anche qui)…
Molta della musica dell’Oiseau de feu è stata molto utile (insieme a tante altre) a Jerry Goldsmith per il Legend di Ridley Scott

7) Petruška di Igor’ Stravinskij, 1911
Anche lui non è un cacchio primaverile, ma è proto-primaverile perché è ambientato a carnevale…
Non è una storiella così edificante (parla del povero Petruška, cioè Pierino o Pierrot, marionetta vivente innamorata della ugualmente marionetta Ballerina, bullizzato dal Moro, che tutte le volte che si avvicina alla Ballerina lo picchia, e giunge anche a ucciderlo, sconvolgendo gli avventori della fiera del martedì grasso, che chiamano anche la polizia per quello che sembra un omicidio, ma si tratta solo di marionette, il cui carro si allontana, con sopra una sorta di “fantasma” di Petruška), ma è trascesa nel puro divertimento ritmico della musica, che illustra tutta la gioia del carnevale e tutto il brulichio della popolazione (le scene principali sono ambientate sulla piazza dell’Ammiragliato a San Pietroburgo)!

8) Das Lied von der Erde di Gustav Mahler, 1911
Di interessatissima e lussuosissima scrittura post-wagneriana, piena, come tutto Mahler, di gradevolezza quanto di complicatezza “pesante”, che ha mandato in visibilio gli allora giovinastri Schoenberg e Berg, il Canto della Terra esprime tutta la voglia di Mahler di “ricominciare” dopo l’infarto, la morte della figlia Maria (di 5 anni) e il licenziamento dalla Staatsoper di Vienna (e c’aveva anche altre paturnie esistenziali, se non direttamente nevrotiche)… Lo finì di scrivere ma non riuscì a sentirlo eseguito: la prima fu diretta da Bruno Walter a Monaco (in una sala distrutta nel ’44) sei mesi dopo la sua morte (aveva 51 anni)…

9) Vesná svjaščénnaja, Le sacre du printemps di Igor’ Stravinskij, 1913
Va inclusa per forza…
Se n’è un po’ parlato qui
Fu la prima coreografia del grande ballerino Václav Nižínskij [vátslav nigínski]: un esordio imposto dal capo della compagnia di balletto (i Ballets Russes), l’impresario Sergéj Djágilev [diághiliv], che con Nižínskij aveva un rapporto tutt’altro che “sano”: i due erano “amanti”, anche se già allora c’erano numerosi indizi che Nižínskij avesse dei problemi neurologici, che lo rendevano, in qualche modo, «incapace di intendere e di volere»: si dice che Djágilev lo “manovrasse” come se fosse una marionetta (è probabile che Stravinskij e Fókin abbiano pensato a lui e alla sua vicenda per Petruška, che Nižínskij ballò alla creation al Théâtre de Châtelet di Parigi del 13 giugno 1911: il Moro, allora, sarebbe Djágilev; si dice che Djágilev fosse talmente geloso di Nižínskij da non permettere mai una ripresa cinematografica di una sua performance, che oggi avrebbe fatto molto comodo per capire la sua tecnica, di cui ci restano solo foto immobili e resoconti verbali tutt’altro che qualificati)…
Stravinskij racconta che come coreografo Nižínskij era un incapace, che i suoi passi erano infantili, che era già allora “matto da legare”, che non parlava, o che sbraitava a caso…
Mah…
Vedendo la coreografia di Nižínskij (per anni data per persa e poi certosinamente ricostruita vagliando un inferno di testimonianze documentali e iconografiche da Millicent Hodson & Kenneth Archer per la stagione 1987 del Joffrey Ballet di Chicago) si evince che la sua idea era più di spettacolo che di balletto: non ci sono gli assoli classici, né danzatori di fila sullo sfondo di una prima linea: i ballerini sono tutti partecipanti, alla pari, di un medesimo organismo coreografico che è la scena… è ovvio che la cosa sconvolgesse uno Stravinskij abituato al modernista ma ancora “classico” Fókin… [vedi cenni anche in Regia regia]
In ogni caso la coreografia non piacque, e spiazzò il pubblico; la musica, si sa, destò uno dei tanti succès de scandale di quei tempi, e il soggetto (cioè il sacrificio umano di una povera verginella) depresse tutti…
Una volta finita la Belle Époque degli scandali facili, portata via dalla Prima Guerra Mondiale, il Sacre trionfò a mille, anche se, in massima parte, grazie alle performance in concerto…
Le vite dei protagonisti di queste vicende furono diverse:
Stravinskij campò tranquillo fino al 1971, osannato dalla metà del mondo classico come il più grande compositore del mondo (l’altra metà osannava per le stesse ragioni Arnold Schoenberg) e andò diverse volte in rotta con il dispotico Djágilev…
Nižínskij, proprio nel 1913, per sfuggire a Djágilev, assistito dalla sorella Bronisláva, si sposò con una nobildonna e ci fece anche 2 figlie (Tamara e Kyra, anche lei ballerina): Djágilev ne fu sconvolto!
Molto provato dall’abbandono del ballerino, Djágilev si consolò con numerosi altri amanti (Sergej Lifar, Leoníd Mjásin, Igor’ Markévič ecc.) e morì di diabete nel 1929: è sepolto a Venezia… accanto a lui volle essere sepolto anche Stravinskij, dimenticando, in morte, le divergenze che ebbero in vita… Dal connubio tra arte, follia, prevaricazione e sublime estasi del ballo che si respirava nei Ballets Russes intorno a Djágilev, Michael Powell ed Emeric Pressburger hanno tratto il capolavoro The Red Shoes, nel 1948…
Nel 1917 il comportamento di Nižínskij divenne molesto: la moglie lo portò da uno dei primi psichiatri che diagnosticò quella che oggi si chiama schizofrenia: nel 1919 fu ricoverato nel manicomio Bellevue a Kreuzlingen (un istituto vecchio stampo, con l’elettroshock, ma assai lussuoso, solo per pazienti con tanti soldi: ebbe come pazienti anche Amelia Rosselli), e in altri istituti (diversi) da dove, con alterne lucidità (pare che dopo il ricovero sviluppò un gravissimo mutismo che non lo abbandonò quasi più), è entrato e uscito per 30 anni. Dopo periodi stabili in villette tra Ungheria e Austria (durate la Seconda Guerra Mondiale) e in una simil reggia a Londra (tutto pagato dalla moglie), è morto nel 1950 ed è sepolto a Montmartre a Parigi…

10) Shakespeare Songs: Springtime da As You Like It di Mario Castelnuovo-Tedesco, 1923
I Shakespeare Songs sono un ampio ciclo di canzoni in due volumi, canzoni tutte tratte dai drammi di Shakespeare…
Springtime è It was a lover and his lass, scena 3 atto V di As You Like It
È interessante confrontarla con la musicazione che ne ha fatto anche Patrick Doyle nel film di Branagh (2006): entrambi non possono fare a meno di rendere il girotondo delle parole onomatopeiche di Shakespeare…

11) Příhody Lyšky Bystroušky di Leóš Janáček, 1924
Mentre nel bosco danzano libellule, zanzare e cavallette, un Guardiacaccia un po’ burbero e rozzo, col fucile in spalla, fa un pisolino prima di tornare a casa dalla moglie, e viene svegliato da una ranocchietta che gli salta sul muso… appena sveglio, il Guardiacaccia vede una volpetta, Bystrouška (significa “orecchie aguzze”), e la cattura sperando di addomesticarla… ma la volpe è simbolo di libertà, di notte si sogna di essere una bellissima donna, emancipata e indipendente, e al risveglio rompe la corda dell’aia dov’era legata, prende in giro l’abominevole e antipatica moglie del Guardiacaccia, ammazza tutte le stupide galline felici di essere schiave, scaccia il bigotto tasso, che insozza la foresta col fumo atroce della sua pipa e con le sue pretese di proprietà privata, e sposa un bellissimo maschio volposo, Zlatohřbítek (ossia “pelo d’oro”), in barba ai pettegolezzi della civetta (ciarliera come la moglie del Guardiacaccia)! A celebrare le nozze viene chiamato un picchio…
Intanto il Guardiacaccia ha a che fare con i problemi futili dei suoi amici di osteria: con il barbarico prete (bigotto e prevaricante come il tasso: fumano anche la stessa pipa!) e con il maestro di scuola fastidioso e petulante come una zanzara, sempre lamentoso che la bella del villaggio non ricambia il suo amore…
Passa del tempo e il Guardiacaccia continua a cercare Bystrouška, anche sparando a caso nel bosco ogni volta che vede qualcosa di rosso (e rischia perfino di colpire il prete e il maestro!), ma è un bracconiere, Harašta, che la trova… Bystrouška sta portando a passeggio i volpacchiotti nel frattempo avuti da Zlatohřbítek, e li ammonisce di non cadere nelle trappole del perfido bracconiere… Harašta la vede e vuole catturarla per farne un manicotto, e Bystrouška lo affronta dicendogli: «tu mi uccidi e mi percuoti solo perché sono una volpe, solo perché sono quello che sono, e non è giusto!»… Impegnato nel cercare di afferrare Bystrouška, Harašta non vede che i volpacchiotti, nel frattempo, gli hanno mangiato tutta la selvaggina fino ad allora cacciata… Quando se ne accorge, Harašta non ci vede più dalla rabbia e spara due colpi di fucile contro Bystrouška!
In un giorno come tanti, durante un temporale, il Guardiacaccia torna all’osteria, ma non c’è nessuno: il prete è stato trasferito in un paese lontano e sperduto, e il maestro è inconsolabile perché la bella del villaggio sua amata ha sposato Harašta; al matrimonio ella indossava un bel manicotto di volpe…
Il Guardiacaccia sdrammatizza, ma anche lui è provato e si sente vecchio… dopo l’osteria, col suo fucile, va nel bosco: il temporale è cessato e le nuvole si aprono, mostrando un tiepido sole di inizio primavera che fa abbandonare il Guardiacaccia ai ricordi: si ricorda della felicità di quando si è sposato (siccome la moglie non la nomina davvero esplicitamente, alcuni pensano che la donna a cui si riferisce sia un’altra, benché, nel primo atto, nella scena gemella corrispondente, la moglie si nomina senza equivoci) e la rapporta ai fiori che risbocciano in quel periodo dell’anno…
Nell’estasi del momento, il Guardiacaccia è distratto dalla vista di una volpetta, identica a Bystrouška… di nuovo è preso dalla voglia di addomesticarla e le dice anche che stavolta farà le cose per bene, e nessuno si permetterà di scrivere su di lui romanzi o opere liriche! Salta per acchiappare la volpe ma quella scappa e il Guardiacaccia si trova tra le mani un ranocchio… Lo scambia per quello che lo svegliò all’inizio della storia, ma il ranocchio gli risponde che quel ranocchio era suo nonno, che gli ha raccontato un sacco di leggende sul Guardiacaccia!
Se finora, nonostante Bystrouška parlasse, animali e uomini non si comprendevano, stavolta il Guardiacaccia comprende benissimo il ranocchio!
Comprende di essere parte della Natura, anche lui “animale” tra gli animali (mica per niente i suoi amici e la moglie avevano controparti nel regno animale, e mica per niente la stessa Bystrouška aveva un alter ego umana nei suoi sogni), anche lui compartecipante al medesimo divenire del tempo e dello spazio…
Deliziato da questa epifania, il Guardiacaccia lascia cadere il suo fucile, abbandonandosi al panismo

Vista solo a Brno, come Jenůfa anche Příhody Lyšky Bystroušky (che suona “le avventure della volpe Bystrouška”), basata su un romanzo uscito su una rivista a sola circolazione morava (di un autore che in Moravia è quasi come Gianni Rodari o Italo Calvino, la cui biografia è una girandola di traumi e tristezze), è circolata praticamente per niente in Europa nella versione voluta da Janáček, che anche per lei “sopportò” riorchestrazioni e traduzioni (stavolta li sopportò molto poco volentieri: all’opera teneva molto: volle che l’ultima musica panica che chiude l’opera fosse suonata al suo funerale), che sarebbero da chiamare pesanti adattamenti, alteranti di molto la trama: nella versione tedesca di Max Brod al centro della scena si pone la bella del villaggio sposata da Harašta, anche se è un personaggio che non si vede mai [è Brod a suggerire che alla fine il Guardiacaccia non parli della moglie, ma della bella del villaggio; e Brod tentò di implicare che nel finale il Guardiacaccia muore e per questo lo si vede parlare con le bestie invece di obbedire alla interpretazione panica che invece Janáček ha supportato in lettere varie; che Janáček poi abbia scelto quella musica per il suo funerale descrive come intendeva la morte Janáček, una morte panica, ma non avalla minimamente lo storpiamento del senso dell’opera fatto da Brod]! E i doppi ruoli tra uomini e animali (moglie/civetta, tasso/prete, zanzara/insegnante: era abbozzato anche un animale “cattivo” per Harašta bracconiere, ma Janáček non lo ha concretizzato, forse non sentendo nessun animale come cattivo), così efficaci nel comunicare come consustanziali uomini e natura, scompaiono del tutto!…
È in questa versione di Brod che l’opera viene “intercettata” da Walter Felsenstein, regista della Komische Oper di Berlino, nel 1965… la Komische Oper era baluardo culturale della DDR e distribuisce l’allestimento di Felsenstein (che rende Zlatohřbítek un tenore quando sarebbe un soprano e usa una versione orchestrale edulcorata da Vaclav Neumann) in una edizione filmata in studio (da Felsenstein e da Georg Mielke, allo studio Adlershof di Berlino), nei cinema e in VHS…
Dalla scoperta di Felsenstein, la versione di Brod arriva in Italia (alla Scala, in traduzione italiana di Fedele d’Amico), in Inghilterra (al Covent Garden diretta da Colin Davis), e da lì gira in tutto il mondo, sempre nella riscrittura orchestrale di Neumann…
Nel 1972, Bohumil Gregor registra la versione di Brod ritradotta in céco, e nel disco usa una sua speciale riorchestrazione invece di quella di Neumann…
Si è tornati a sentire Příhody Lyšky Bystroušky, nell’orchestrazione di Janáček e nel libretto di Janáček in moravo, solo nel 1981, in un disco Decca eseguito dai Wiener Philharmoniker diretti da Charles Mackerras…
In teatro la Příhody Lyšky Bystroušky di Janáček ha attecchito davvero solo dopo la caduta del Muro di Berlino, ma ha convissuto con la traduzione di Brod (e con l’orchestrazione di Neumann o Gregor) fino addirittura al 2010, quando la Universal Edition di Vienna (editrice anche delle versioni alteranti di Brod e Gregor) ha finalmente promosso l’edizione critica di Jiří Zahrádka…

12) Perséphone di Igor’ Stravinskij, 1934
Meraviglioso “melodrammino” (il mélodrame, in francese, è un genere di prosimetro, in cui il parlato è assieme al cantanto; a questo genere Stravinskij, come al suo solito, aggiunge performers danzatori a “doppiare”, in movimento, gli attori/cantanti: in questo caso il narratore Eumolpo è un tenore che canta, Persefone è un’attrice che parla e anche una ballerina che balla, poi c’è il coro che canta e un sacco di ballerini che ballano!), concepito con Ida Rubinstein che, in un’oretta, racconta il mito dello sposalizio Ade-Persefone e il conseguente alternarsi delle stagioni a seconda che Persefone risieda negli inferi col marito o sulla terra con la madre Demetra, in tre episodi (il Ratto di Persefone, Persefone agli inferi, Persefone rinasce), con una prosodia medievaleggiante (con Eumolpo che è un raisonneur), simile a esempi analoghi di altri (Le martyre de Saint Sébastien di D’Annunzio/Debussy del 1911, Jeanne d’Arc au Bûcher di Honegger del ’38) o dello stesso Stravinskij (Oedipus Rex del ’27, nelle Musiche per le epidemie, o Les noces del ’23, o Renard del ’22, o la stessa Histoire du Soldat del ’18, nelle Opere per Halloween), ma con in più ritmi giocosi, azione lesta e felice, e una fantasia musicale davvero splendente!

13) Spring Symphony di Benjamin Britten, 1949
Numero 8 di Symphonies

14) Turangalîla-Symphonie di Olivier Messiaen, 1949
Numero 13 di Symphonies

15) Earth Dances di Harrison Birtwistle, 1986
Ostinata di un ritmo sotterraneo e costante (al contrario delle sfaccettature ritmiche del Sacre di Stravinskij), esprime parecchio bene l’idea di un pianeta “boscoso”, della Terra come di una giungla semovente, molto simile alle foreste maya di Carlos Chávez o Silvestre Revueltas (vedi le addende alle musiche “lunari”)

Dei Carmina Burana di Carl Orff, che sarebbero primaverili a mille (si canta la primavera nel secondo episodio e si celebra l’amore nell’ultimo), si parla però, chissà perché, nelle Musiche per l’estate!

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