«Tutti gli appuntamenti mancati» di Alice Zanotti

Io avevo solamente letto gli studi di John Rosselli sugli impresari d’opera italiani, soprattutto riferiti ad Alessandro Lanari (il producer che ha reso possibile roba come l’Attila o il Macbeth di Verdi), scritti nel 1984 per la Cambridge University Press (lo stesso Rosselli curò l’edizione italiana per la EDT di Torino nell”85)… e non avevo idea che John fosse figlio di Carlo Rosselli…

Ho anche visto Il conformista di Bertolucci, e non avevo idea che il delitto immaginato da Alberto Moravia (autore del libro da cui è tratto il film) e “illustrato” da Bertolucci e Storaro fosse ispirato al delitto di Carlo Rosselli…

Non conoscevo affatto Amelia Rosselli… se non per sentito dire…

Tutti gli appuntamenti mancati di Alice Zanotti, della Bompiani (editore milanese ma oramai parte della fiorentina Giunti), l’ho conosciuto solo perché ha vinto il Premio Fiesole (e io sono perfino andato alla cerimonia di premiazione)…

Il Premio Fiesole spesso anticipa l’attenzione letteraria (è successo, per esempio, per La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano e per Un giorno verrà di Giulia Caminito, molto più ficcante rispetto all’Acqua del lago non è mai dolce, addirittura vincitore del Campiello ma che io trovai blando), e quindi mi ha molto innescato la curiosità…

Leggo Tutti gli appuntamenti mancati e apprendo della famiglia Rosselli, apprendo di Amelia e di John, apprendo del brutale assassinio di Carlo e Nello (i famosi Fratelli Rosselli) rappresentato da Moravia e Bertolucci, con molta più forza rispetto alle nozioni scolastiche…

…e apprendo tutto questo grazie al racconto baudelairiano e simbolico-subliminale di Zanotti, che racconta per corrispondenze e per onirismi, mantenendo sì uno sguardo che appare oggettivo, ma che invece si perde (dato il soggetto sarebbe bene dire si *immerge*) nelle immagini mentali, nella schizofrenia paranoide di Amelia Rosselli, arrivando non tanto a certi radicalismi di David Lynch, ma lambendo molto bene il Martin Scorsese delle “peculiarità mentali”, di Shutter Island o The Aviator (o, forse, di Bringing Out the Dead)…

una narrazione in cui si vede il positivo ma anche il negativo mentale della patologia, attraverso immagini non esatte, quasi ipnagogiche, stralunate, saturnine e strambe; e anche attraverso un andamento impressionista di situazioni ed episodi a frammenti ritornanti, simile forse ai racconti dello Specchio nello specchio di Michael Ende, o, molto più probabilmente, simile alla poesia del Novecento, di cui Amelia Rosselli si è fatta seria protagonista…

Zanotti segue le immagini pennellate degli eventi mentali di Amelia Rosselli, che come tessere di mosaico surreale e psichico (oniricamente ipnagogico, sognante), ricostruiscono un’anima infranta dalla tragedia della guerra e soprattutto del fascismo, dalla tragedia dello spionaggio della polizia politica, che si imprime e segna tutta l’esistenza di Amelia, vittima di quelle tragedie e figlia di vittime…

Tutti gli appuntamenti mancati disvela quanto i lutti e le paure, strazianti, della persecuzione spionistica e dell’omicidio fascista dei genitori marchino completamente la vita di Amelia, e non con una marchiatura e fuoco che, come una cicatrice, si può perfino sfoggiare, ma la marchiano di continuo, come acqua che scorre, che continua a bagnare, o come polvere che continua a cadere, o vento che continua a soffiare: l’acqua è il simbolo più ricorrente dei tanti che Zanotti usa nel romanzo per alludere alle diverse paure di Amelia, come il vento (simulacro dell’ictus preso a Marion, la madre di Amelia), la polvere o la cenere (della guerra o della paura della nonna di Amelia, anche lei Amelia, di cognome Pincherle), o le formiche alate (segno di certi amori immaginati più che vissuti da Amelia, con Mario Tobino, Rocco Scotellaro o Pier Paolo Pasolini)…

il marchio luttuoso di acqua, vento o polvere non passa mai, non finisce mai di scorrere, di tramortire e di sorprendere, e non può essere additato come “passato” da osservare o menzionare (forse anche per “giustificazione”), perché vento, acqua e polvere appartengono solo ad Amelia, li vede solo lei, e la vista peggiora, di anno in anno, perché polvere, acqua e vento sono la malattia di Amelia, curata o non curata anche con diversi ricoveri a Bellevue, in Svizzera (il manicomio dove fu ricoverato anche Vaclav Nižinskij)…

non curata perché quella malattia, soprattutto quell’acqua, e quei fantasmi del passato, balenanti e rivisti per tutta la vita, sempre a darle fastidio (come Pavolo, Giacomo, Girolamo, Francesco e Fulvio che vedeva Torquato Tasso a Sant’Anna), sono anche la dimostrazione che chi ha vissuto quelle tragedie, chi è stato reciso nel profondo dal fascismo, dall’omicidio politico e spionistico, non potrà mai davvero guarire…

come Amelia non riescono a guarire né sua nonna (a cui il fascismo uccise i due figli che le rimasero [il primo era morto nella Prima Guerra Mondiale]) né sua madre Marion (divenuta ectoplasma dopo l’omicidio del marito, e poi paralizzata a una mano dopo l’ictus)…

e ad Amelia pare che quella disgrazia, quella maledizione di essere guardata dalle spie che seguirono e ammazzarono suo padre quando lei era bambina (aveva 7 anni), la insegua sempre: le spie ritornano come fantasmi in tutte le persone che incontra, e i dolori e i lutti, come acqua, vento o polvere, la travolgono sempre: le recidive della schizofrenia arrivano in conseguenza di enormi dolori che continuano ad attanagliarla, sia privati (le morti di Rocco Scotellaro e Pier Paolo Pasolini) sia civili (la strage della Stazione di Bologna nel 1980)

…l’acqua, la polvere e il vento travolgenti Amelia, e simbolo di ciò che le è successo, ci dimostrano quanto gli omicidi politici perpetrati dal fascismo non siano stati fatti passeggeri, dovuti a contingenze di guerra, ma siano stati scardinamento totale di tutte le anime colpite da quegli omicidi: siano stati tragedie collettive psichiche più che omicidi episodici… tragedie collettive simboleggiate nello strazio di una vittima diretta di quegli omicidi, il cui lutto ha però riecheggiato in tutta la Storia d’Italia (Amelia è vissuta tra il 1930 e il 1996 tra Firenze e Roma), forse d’Europa e del mondo (Amelia è vissuta in esilio anche in Francia, Inghilterra e Stati Uniti, e la clinica dove le facevano l’elettroshock era in Svizzera), e non si è risolto, ha continuato sempre, a scorrere e a bagnare e impolverare ogni cosa… ha continuato a mettere in disordine e a disturbare come i fantasmi visti da Amelia, per sempre…

e questo è il fascismo ancora oggi: la tensione del lutto, il dolore che non passa mai: la persecuzione incessante del caos che inonda la libertà: la malattia paranoica dell’umanità…

Alice Zanotti scrive un libro breve e che acchiappa immensamente nelle prime pagine, perché narra il quotidiano dell’antifascismo, e rimpicciolendolo in privato rende ancora più colossale lo strazio del fascismo e dell’esilio a causa della persecuzione…

Le descrizioni dei primi anni di lutto sono tragicamente entusiasmanti: Zanotti riesce a incuneare il nostro sguardo-lettore in quello della piccola Amelia con una perizia tranciante: non solo lo sguardo del narratore coincide con quello della piccola (o adolescente) Amelia, ma sembra coincidere anche tutto lo stile, in maniera però genialmente obliqua: quasi alla Brecht (o, se vogliamo, alla Tolstoj), Zanotti riesce nel miracolo di riuscire a mantenere SIA l’oggettività narrataria, capace di non farci mai dimenticare cosa e dove noi lettori stiamo guardando, SIA la soggettività diegetica del personaggio, grazie a un impagabile mix di descrizione realistco-ottocentesca (oggettiva) e di rendiconto mentale a focalizzazione zero (soggettivo, del personaggio)…

Via via che si va avanti i simboli diventano tanti e non è facile enumerarli, o tenerli a mente, tutti, e finisce che un po’ ci perdiamo…

…ma la cosa è voluta, perché fa sì che anche noi lettori ci si perda come si perde Amelia nella schizofrenia e nelle sue paure: anche noi cominciamo a non capirci più niente, come succede ad Amelia… si ha spesso la sensazione di galleggiare anche noi tra i tanti rimandi che ci sfuggono [e qui la croce e la delizia è che ci si perde un po’ nello “sfarfallio”: termine tecnico della pellicola cinematografica fuori dalle guide dentellate, come succede alla fine dell’Ultima tentazione, guarda caso di Scorsese, o come in tanti film di Marcel L’Herbier in cui volutamente il passo della pellicola non è sincronizzato con quello dell’otturatore: cosa molto affascinante ma che però a livello diegetico può produrre effetti un po’ alla Ovunque sei di Michele Placido: cioè il galleggiamento può anche risultare poco sostenibile]

anche la verve poetica di Zanotti vorrebbe ricalcare quella di Amelia, e la cosa forse riesce solo in parte, ma chi ha presente i poemi di Amelia Rosselli seguirà le corrispondenze baudelairiane tra Zanotti e Rosselli molto meglio di me…

Rimane intatto, invece, per tutto il romanzo, il magistrale senso alla Scorsese di caratterizzazione mentale delle immagini che compongono le scene del libro: un miscuglio fantastico di onirismo e realismo stupefacente, che migliora anche dopo una rilettura, capace di farci apprezzare sempre più dettagli, Leitmotive e allusioni concentriche…
Le visioni, gli spettri, le suggestioni soprannaturali e sognose arrivano improvvise in contesti realistici, e stiamo quasi per liquidarle come visioni schizofreniche quando invece si rivelano essere proprio effettive!
Un impasto godurioso di sogno e realtà che, oltre a Lynch e Scorsese, fa pensare al Werner Herzog migliore (più che a Ibsen)…

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