15 (e più) pezzi di musica colta (e non solo) ispirati alla luna

Nonostante abbia i post Operas fermi al 1890, e in lavorazione un’altra colossale serie sugli anime (oltre al Papiro di questa stagione cinematografica, che riassume in 6 voti di giudizio quanto accaduto, con link ai post di recensione estesa), troppo ispirato dal sempre stimolante Ultimo Spettacolo, che sta dedicando una serie al cinquantennio dell’allunaggio, ho deciso di rintracciare 15 episodi nella storia della musica colta occidentale (più un paio di bonus “altri”) ispirati al nostro satellite, in modo da celebrare anche io quell’evento…

1 – Il mondo della luna – libretto di Carlo Goldoni, 1750
Goldoni scrive il testo con uno dei suoi più geniali partner creativi, il compositore Baldassarre Galuppi, per il Teatro San Moisé di Venezia…
L’intreccio si basa su una beffa, una sciarada, fatta apposta per organizzare un matrimonio mal visto dal padre della sposa: l’aspirante sposo fa credere al voluto ma avversario suocero, con l’ausilio di una buona dose di vino spacciato per elisir, di essere finito sulla luna, con tutti i servitori e amici coinvolti nella burla, vestiti da seleniti…
L’opera ebbe molto successo e il libretto fu musicato da dozzine di altri compositori, tra i quali troviamo i più grandi professionisti musicali del secondo Settecento, come Gennaro Astarita (che lo fece nel 1774), Marcos Portugal (nel 1791), Michele Neri Bondi (1790), Pedro Avondano (nel 1765), e anche il top di gamma Franz Joseph Haydn, un super fan di Galuppi, che musicò il libretto nel 1777 (è l’Hoboken XXVIII:7) su ordine del principe Nikolaus Esterházy per il teatrino del suo palazzo, Esterháza, a Süttör, oggi Fertőd in Ungheria…
Ad avere una vera predilezione per la storia fu Giovanni Paisiello: la musicò per lo meno quattro volte (nel 1768, 1774, 1782, 1783), l’ultima delle quali riadattandola con Marco Coltellini, uno dei più grandi intellettuali del secondo Settecento…
Come si diceva al numero 6 di Operas I o a proposito dell’Elisir d’Amore, nessuna di queste opere ha scalfito il repertorio udibile in un numero fruibile e “disponibile” di volte, ed è rimasta negli esclusivi interessi degli specialisti, che hanno effettuato registrazioni integrali della versione di Galuppi e rappresentazioni complete della musicazione di Haydn e di quella del 1783 di Paisiello

2 – Mondschein SonateSonata al chiaro di luna – con questo titolo si intende la sonata per pianoforte n. 14 (op. 27 n. 2) di Ludwig van Beethoven, pubblicata nel 1802…
Beethoven non dette mai alla sonata il sottotitolo lunare con cui oggi è conosciuta, quindi l’includerla qui è assolutamente azzardato, così come interpretare la sua musica come direttamente connessa a qualsivoglia descrizione o ispirazione della/dalla luna… Sulla prima edizione (del viennese Giovanni Cappi, 1802, che include anche la sonata n. 13, op. 27 n. 1) c’è sì un sottotitolo, che però cita «Sonata quasi una fantasia» (da attribuire anche alla op. 27 n. 1), forse da intendere come «sonata quasi improvvisata»…
Il primo tempo è uno dei pezzi più ambigui di Beethoven: non c’è formalmente niente nella musica scritta che induca a pensare a intimismi o tristezze: l’accompagnamento sciorina paratatticamente semplici arpeggi quasi elementari, simili quasi a un’esercizio o a un esperimento (tipo il Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach), e la melodia diafana, scarna e disadorna, quasi basilare, sembra perfino priva di vero “centro” o di vero mordente… ma la sequenza delle tonalità prese dagli arpeggi e la loro concatenazione successiva, supporta quella melodia lineare generando uno degli effetti più struggenti della musica occidentale, che è del tutto psicologico, soggettivo e per nulla scientificamente provabile e riscontrabile nella effettiva musicazione: perché la concatenazione di semplici hertz sonori dovrebbe farci quell’effetto? non si sa! e l’autore intendeva davvero intristirci o voleva solo “catturarci” senza implicazione emotiva? boh…
Certo non priva di precedenti (vedi, oltre a Bach, il secondo movimento del concerto 23 di Mozart, KV 488; e anche la scena della morte iniziale del Don Giovanni, KV 527), è diventata essa stessa mattone indispensabile per molta musica successiva, dello stesso Beethoven (il secondo movimento della sinfonia 7, la numero 5 di Symphonies) e di altri ben più lontani nel tempo (vedi le Gymnopédie di Erik Satie)…
È la musica che i ragazzini suonano prima di andare a fare strage nella loro scuola in Elephant di Gus Van Sant (2003)…
Tra i tanti audio disponibili, vi propongo quello di Claudio Arrau

3 – Norma – opera di Vincenzo Bellini, 1831
È la numero 9 di Operas I, quindi non c’è tanto da perderci tempo…
L’aria «Casta diva», famosissima, è dedicata proprio alla luna… Vi posto la lettura di Riccardo Muti e Jane Eaglen invece delle tante Callas e Sutherland famosissime…

4 – Nocturnes – 21 pezzi musicali scritti da Fryderyk Chopin, indipendentemente l’uno dall’altro, dal 1827 al 1847
Mai direttamente connessi alla luna, la loro valenza “siderale” è però senz’altro riscontrabile nella pensosità quasi onirica delle elucubrazioni musicali, che raggiungono vette di complessità armonica da cui gente come Hector Berlioz, Franz Liszt e Richard Wagner, agenti in tempi paralleli, non faranno altro che “attingere”, direttamente o indirettamente, oppure “eguagliare”… [attenzione all’uso del termine notturno: prima dell’Ottocento era usato in maniera assai diverse da come lo usò Chopin]
Ognuno ci trova il suo preferito: il mio, per esempio, è l’ottavo, ossia l’op. 27 n. 2 (stesso numero di Beethoven, che coincidenza!), pubblicato per la prima volta nel 1837 da Maurice Schlesinger a Parigi… e mi piace fatto da Maurizio Pollini

5 – Mondnacht – quinto dei 12 Lieder che compongono il Liederkreis op. 39 di Robert Schumann, 1840
Schumann scrisse insieme a questo un altro Liederkreis, l’op. 24, che Breitkopf & Härtel a Lipsia pubblicarono subito nel 1840 (i testi erano di Heinrich Heine)… per l’op. 39, invece, su testi di Joseph Eichendorff, si arrivò alla stampa solo intorno al 1842, da Tobias Haslinger a Vienna…
Il ribattuto del pianoforte dà l’idea di raggi lunari nebulizzati che giungono a circondare il pensieroso cantante… unico…
Uno dei primi risultati su YouTube è quello di Barbara Bonney con Vladimir Aškenazi

6 – Le Voyage dans la Lune – operetta di Jacques Offenbach, 1875 e 1877
Offenbach (ai numeri 18 e 20 di Operas II) fu il genio musicale numero uno del suo periodo storico e non perse tempo a ispirarsi a (e prendere in giro) Dalla terra alla luna di Jules Verne (1865) che tanto scalpore aveva suscitato in Francia e in Europa…
Zeppa di sottotramette e sotterfugi discolo-amorosi, non è l’operetta offenbachiana più rappresentata oggi, ma ai suoi tempi riempiva i teatri ogni sera!
Méliès non l’ha mai citata come fonte del suo film (presentato solo 25 anni dopo il revival del 1877 e trattato da Ultimo Spettacolo qui), ma il tono “teatrale” del suo lavoro somiglia molto a quello usato da Offenbach…
Gli specialisti offenbachiani non l’hanno ancora registrata in studio e occorre attingere al video che Jean Bovon fece dello show di Jerôme Savary a Ginevra con l’Orchestre de la Suisse Romande condotta da Marc Soustrot nel 1983: eccolo qua, in tutto il suo problematico “stampaggio”…

7 – La Bohème – opera di Giacomo Puccini, 1896
Non così “lunare”, anzi del tutto terrena di povertà e malattia, ha comunque la prima scena del tutto “selenita”: i protagonisti Mimì e Rodolfo si conoscono in una freddissima vigilia di Natale nella soffitta di lui, e si innamorano, de abrupto, alla luce della luna (lui dice di lei di avere un «dolce viso di mite, circonfuso alba lunar»)… Una scena davvero amorosissima, anche se del tutto improbabile: gli allestimenti che vedono l’innamoramento come frutto di droghe varie mica sbagliano così tanto…
Sentita solo in audio, in ogni caso, quella musica visualizza immediatamente una gigantesca luna piena (simile a quella di Somewhere Out There di An American Tail di Don Bluth) benevolmente “invasora” della scena tra le finestre della soffitta… così l’ha usata Norman Jewison nel suo capolavorino Moonstruck del 1987…
Vi faccio sentire Nicolai Gedda e Mirella Freni con Thomas Schippers nel 1963: eccola; e Carlo Bergonzi e Renata Tebaldi con Tullio Serafin nel 1959: qua

8 – Claire de Lune – terzo tempo della Suite Bergamasque per pianoforte di Claude Debussy, 1890 e 1905
Scelta ovvia e pusillanime, e ancora di più da quando compare in Twilight di Stephanie Mayer (2005) e nel susseguente film di Catherine Hardwicke (2008)…
In origine, però, era qualcosa di molto serio: riprendeva le “nebulizzazioni” di suono di Schumann e Chopin eludendo sempre soluzioni facili e scontate (l’inciso “tematico” è riproposto sempre in modi diversi)… era super-avanguardia all’epoca!
Per l’ascolto prendo a caso Daniel Barenboim

9 – Rusalka – opera di Antonín Dvořák, 1901
Più consona alle acque (è una sorta di remake della Sirenetta di Andersen), ha però una melodiosa “canzone alla luna”, che piace a tutti: dolciosa, carina e deliziosa!
Vi posto Renée Fleming e Charles Mackerras

10 – Salome – opera di Richard Strauss, 1905
Ascoltandola la prima volta, nel suo lussureggiante giardino zoologico di orchestra sterminata, forse viene in mente poco l’asciuttezza della luna, ma è un’opera che invece si svolge del tutto all’ombra di un maliziosissimo satellite, che illumina una decadentissima ed estetizzante vicenda turpe di sopraffazioni psicologiche, di sguardi lubrichi e di sessualità repressa nella scopofilia, che giunge perfino al delitto più assurdo!… [vedi anche quanto si è detto di una rappresentazione alla Scala]
All’inizio, soprattutto, proprio nelle primissime battute, possiamo forse intravedere una luna piena prima che Narraboth ci dica quanto «è bella la principessa Salome stasera», in una sorta di messa a fuoco stramba alla Carpenter: il regista, in Prince of Darkness, alternando il fuoco all’obbiettivo della macchina da presa, fa trasformare il ramo d’albero, in primo piano, nella luna (che è in secondo piano), e Strauss fa quasi lo stesso all’inverso, facendoci vedere prima la luna e poi, cambiando fuoco, il volto di Salome… è un attimo che acchiappa…
Posto a caso la lettura di Georg Solti

11 – Pierrot Lunaire – ciclo vocale di Arnold Schoenberg, 1912
Del tutto atonale e quasi anarchico, esprime l’idea di luna dal punto di vista più “folle”: più «lunatico» che «lunare»…
La sua stramberia è sempre affascinante…
Vi posto la lettura di Giuseppe Sinopoli

12 – The Planets – suite orchestrale di Gustav Holst, 1918
Nei sette movimenti, ognuno per un pianeta (composti tra il 1914 e il 1916: Marte, Venere, Mercurio, Giove, Saturno, Urano, Nettuno), la luna non c’è, ma c’è tanta idea di spazio come lo si pensava allora (Albert Einstein rende pubblica la Relatività Generale proprio nel 1915): tanto ritmo per movimenti “regolari” e tante armonie “inusitate” per rendere il non terrestre… Forse pacchiano, ma interessante, e praticamente padre di tutti i John Williams, Jerry Goldsmith e Hans Zimmer immaginabili! Williams ha anche registrato la suite con la Boston Pops Orchestra!
Ero indeciso se mettere The Planets o la sinfonia Harmonie der Welt di Hindemith: ho scelto il primo perché la seconda è al numero 29 di Symphonies!
Tre le tante proposte di YouTube vi propongo la lettura di John Eliot Gardiner

13 – Výlety páně BroučkovyI viaggi del signor Brouček – opera di Leóš Janáček, 1920
Scritta tra il 1908 e il 1916 come parodia alla Offenbach (che Janáček adorava) di ambiente lunare, poi, con la Prima Guerra Mondiale e l’attivismo di Tomáš Masaryk, spalleggiato da Janáček, si accrebbe con una seconda parte “politica” che si svolge nel XV secolo…
Janáček cercò di rappresentarla in tutti i modi (solo la prima parte, solo la seconda, tutta insieme), ma ci riuscì solo in vecchiaia dopo la proclamazione dello stato della Cecoslovacchia, il cui presidente fu proprio Masaryk (che fu presente alla prima!)…
Nella prima parte siamo nel 1888 a Praga, e il protagonista Brouček, un anonimo possidente, dopo una notte passata in taverna, si trova a consolare Málinka, innamorata di un suo fittavolo, lo squattrinato Mazál. Un po’ alticcio, Brouček accetta di sposare Málinka al posto di Mazál, ma, ritrovata la lucidità, si rammarica di dover sposare una donna molto meno ricca di lui. Cerca Málinka e la convince a ritornare da Mazál. Infastidito dal suo coinvolgimento nelle storie personali dei suoi fittavoli, Brouček torna a bere e sogna di vivere in una fantastica nuova società sulla luna. I seleniti sono sereni e buoni ma, con grande orrore di Brouček, sotto tutti artisti squattrinati che amano la poesia e la musica. In un tempio, Brouček vede che il cantore ha le fattezze di Mazál, ma dice di chiamarsi Blankytný, e si dichiara servo della dea Etherea. Il canto di Blankytný è un’invocazione alla dea, che si manifesta, e Brouček si accorge che è identica a Málinka. Ritenendola la più ricca tra i seleniti, Brouček si mette a fare la corte a Etherea, che ricambia, preferendo lui all’aedo Blankytný. Etherea e Brouček spiccano insieme il volo sul cavallo alato Pegaso, arrivando al grande tempio delle arti, in cui Brouček è salutato come un ospite d’onore e come l’avventore più moderno e alla moda. Nel tempio gli artisti fanno sfoggio di poesia e di talento pittorico, e, nonostante abbiano tavole imbandite con polli allo spiedo e invitanti arrosti, non mangiano nulla, preferendo annusare i fiori. Si aspettano che anche Brouček si comporti allo stesso modo; questi però si dimostra infastidito dal profumo, e irritato dalle arti, che lui considera inutili. Si mette a mangiare un maiale arrostito, provocando la furia degli artisti seleniti che si avventano contro di lui, costringendolo a fuggire in groppa a Pegaso. A quel punto, Brouček si risveglia nella taverna di Praga, sollevato di non essere inseguito da nessuno, e sentendo in lontananza il duetto d’amore tra Málinka e Mazál tornati felicemente insieme.
Nella seconda parte, Brouček, ancora in taverna, parla con gli avventori dei tunnel medioevali di Praga. Ubriaco, si ritrova nel 1420, durante la rivolta di Jan Hus (1369-1415) contro il Sacro Romano Impero. Tra i rivoltosi hussiti, Brouček riconosce Málinka e Mazál nei popolani Kunka e Petřík. Viene sospettato di essere una spia germanica, visto che non conosce i modi di dire cèchi e usa molti vocaboli tedeschi. Riesce a convincerli che è dalla loro parte, ma una volta vista nella piazza di Praga la legione imperiale armata contro di loro, fugge via, disertando la battaglia. Gli hussiti ottengono una faticosa vittoria e condannano Brouček per tradimento: sarà bruciato vivo in una botte di birra. Rinchiuso nella botte, Brouček si lamenta, cercando di uscire, e quando ci riesce, si ritrova tra le botti della sua taverna di Praga.
Un’opera sciocchezzuola ma ricca del piglio satirico e sardonico del Janáček politico, che sferra a destra e a manca frecciate ai borghesi ignoranti, arruffoni e per nulla interessati alla politica, neanche quando coinvolge la loro nazione in prima persona!
L’unica edizione davvero disponibile è quella registrata da Jiří Bělohlávek e la BBC Symphony nel 2008: eccola in playlist

14 – Peter Grimes – opera di Benjamin Britten, 1945
L’opera che consacrò Britten come super-operista e, con Michael Tippett, maggiore compositore inglese, è una tremenda storia di violenza sui bambini (il protagonista è un pescatore che tratta male i suoi apprendisti), dalle terribili implicazioni spettegolanti di un piccolo villaggio dove la gente vuole farsi giustizia da sé… una gran bella brutta storia che Britten, pur alle prime armi (aveva composto per la scena solo Paul Bunyan nel 1941: si vocifera che il “teatro” lo apprese da Leonard Bernstein durante il loro convivere da bohémiennes a New York, con gente come Aaron Copland e Wystan Auden, mentre in Europa imperversava la Seconda Guerra Mondiale), struttura in modo certosino, caratterizzando i cambi scena con 6 interludi (Alba, Tempesta, Domenica, Passacaglia, Luce di Luna, Mare), quattro dei quali adattati da Britten a suite orchestrale (Four Sea Interludes)…
Quello lunare (il quinto dell’opera e terzo nella suite) è una sorta di sintesi tra le atmosfere estetizzanti di Strauss e quelle astratte e pazzoidi di Schoenberg… presenta uno “scollamento” tra melodia e accompagnamento tutto da ascoltare!
Ve lo propongo nella versione di André Previn: eccolo qui

15 – Street Scenemusical di Kurt Weill, 1947
Anche questa è un’opera tristissima, lunga e densa, vissuta nei blocks popolari dell’East Side di New York, tra convivenza di lingue e modi di pensare opposti, tra mariti ubriaconi gelosissimi e tra ragazzini speranzosi e bellissimi “insediati” da ricconi che vogliono ridurli alla prostituzione: è ovvio che tutto va a finire malissimo, e le piccole storie d’amore iniziate nell’illusione ottimistica svaniscono nel nulla… la commozione, specie nelle scene in cui si sogna un avvenire migliore, è garantita per tutti!
La ragazzina, quasi una protagonista, oggetto delle voglie del ricco puttaniere, riflette sulle sue offerte lubriche di ricchezze, gioielli e bella vita a Broadway, e conclude che nessuna ricchezza materiale potrebbe mai essere paragonata all’amore vero, nella canzone What Good Would The Moon Be?: la luna è la vita tutta lustrini di Broadway rifiutata dalla ragazza in una delle song più azzeccate del musical, vero grande capolavoro del Weill americano (ci sarebbe anche la song intitolata appunto Moon Faced, Starry Eyed, più leggera e divertente, cantata da una coppia di sidekicks di contorno: un’opera, quindi, molto “lunare”)…
Su YouTube si può sentire la versione di John Mauceri e il davvero ottimo revival del 1992 della English National Opera

Per bonus non c’è che da andare *in là*, in territori assai altri, e citare La Noche de los Mayas, una musica che Silvestre Revueltas scrisse per un film messicano del 1939 ispirato ai Maya e ai loro riti astronomici…
Nel 1946, Paul Hindemith si fece convincere dalla sorella del compositore (morto nel 1940) a trarre dalla colonna sonora una suite da concerto in due movimenti…
Poi, nel 1959, onde recuperare una porzione più corposa della musica di Revueltas, il direttore José Limantur preparò una nuova suite di una mezz’oretta, in quattro movimenti, usata anche (nel 1967) come musica per un balletto dalla coreografa Amalia Hernandez…
Soprattutto il finale di questa seconda suite, descrivente la notte dell’incantesimo, ci restituisce le musiche più telluriche e allucinate mai ispirate dalla notte!
Vi faccio sentire la versione tranquilla di Semën Byčkov e quelle, molto più vive, di Alondra de la Parra e Gustavo Dudamel

Concludo con l’accenno a una cosa forse non “colta” ma molto suggestiva, e cioè la famosissima Memory da Cats di Andrew Lloyd Webber, 1981…
Melodiosa, e ritornante spesso nello sconclusionato musical come fil rouge di elegia di passato perduto, cantata non solo da Grizabella (che la presenta tutta solo verso la fine) ma anche da diversi altri felini estatici verso il disco lunare, ha scalzato del tutto molti pezzi qui proposti nell’immaginario collettivo, quasi eguagliando, in celebrità, Beethoven e Debussy…
Questa è la versione del film di David Mallet, autorizzato da Lloyd Webber, filmato all’Adelphi Theatre di Londra nel 1997 e uscito l’anno dopo in home video… per il film Lloyd Webber ispessì parecchietto l’orchestrazione…

ADDENDA:
Molto notturno e molto lunare è il Lago di Cigni di Čajkovskij (numero 29 di Operas IV), ma non l’ho mai davvero associato alla luna: cioè, mentre lo ascolto vedo più “notte”, “bosco” e “acqua” che “luna”… così come vedo più “stelle” (e di nuovo “acqua”) che “luna” in Pikovaja Dama (numero 42 di Operas VII)

Poca luna anche in altri compositori che amo: Verdi (si potrebbe forse ambientare alla luce della luna «D’amor sull’ali rosee» del Trovatore, numero 15 di Operas II, un lavoro che però vedo assai privo di qualsiasi fonte di luce nella sua notte nera), Stravinskij, Mascagni (che ha composto perfino, in somma antitesi, un inno al sole!)… ma vabbé, chissà che in essi non si trovi tessere lunari in futuro!

ADDENDA 2:
Senz’altro è lunare l’opera Der Mond, scritta da Carl Orff nel 1939… Parla del popolo di un villaggio dove la luna non si vede mai e quindi decide di andarla a *rubare* a un altro villaggio! Non sapendo dove metterla davvero la “posizionano” in una sorta di Ade, di al di là, popolato dagli ancestrali antenati morti del villaggio… però interviene San Pietro in persona a rimettere il satellite al suo posto nel cielo!
Le sonorità di Orff sono uniche e il suo stile è inconfondibile: così semplice da risultare quasi enigmatico, elusivo, quando non addirittura ironico o sarcastico…
Der Mond fa parte di un secondo ciclo creativo di Orff, che si avvita insieme a quello principale, battuto durante tutta la sua vita, ispirato a una riimmaginata “classicità” (anche traslata in atmosfera romanza: vedi Carmina Burana [nelle Musiche per l’Estate], Catulli Carmina, Trionfo di Afrodite, Antigonae, Oedipus der Tyrann, Prometheus, De temporum fine comoedia, Orpheus, Klage der Ariadne): un secondo ciclo che attinge alle fiabe e ai racconti popolari (oltre a Der Mond sono fiabe anche Die Kluge e Ein Sommernachtstraum)… Un terzo ciclo, meno frequentato, è quello sacrale e cristologico (Comoedia de Christi Resurrectione, Ludus de Nato Infante Mirificus)…
Der Mond è quasi infantile, spesso scacciapensieri, perfino bambinesca, quasi “instupidita”, ma ha nuances che rendono bene la suggestione magica, misteriosa e immaginosa delle situazioni…
Nel 1957, Orff supervisionò una registrazione agli allora nuovi Abbey Road Studios di Londra: Wolfgang Sawallisch dirigeva la Philharmonia… c’è tutta su YouTube
Nel 1965, Orff allestì l’opera al Theater am Gärtnerplatz di Monaco di Baviera col regista teatrale Arno Assmann: a dirigere l’orchestra chiamò il suo allievo Kurt Eichhorn (lo show fu trasmesso in TV con regia di Karlheinz Hundorf)… dopo quelle performance, nel 1970, Orff apparecchiò una nuova registrazione integrale con la RCA, con la Münchner Rundfunkorchester condotta di nuovo da Eichhorn, oggi su YouTube

ADDENDA 3:
naturalmente l’invocazione alla luna della Turandot di Puccini (1924-1926)… stramba e quasi swing nei suoi clarinetti tremolanti alla Stravinskij, alla Debussy o alla Schoenberg (Puccini vide il tour italiano del Pierrot Lunaire, promosso nell’aprile del 1924 da Alfredo Casella nella Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze, e con Schoenberg si complimentò di persona, lusingandolo, benché alcuni testimoni abbiano riferito, dopo molti anni passati dai fatti, una ricezione pucciniana più perplessa), o perfino alla Duke Ellington… come Schoenberg è in effetti una musica lunatica più che lunare, che descrive la luna in peculiari termini allucinati: è una musica riferita più al popolo folle rimbecillito dalla dittatura, in delirio collettivo, più che davvero ispirata alla luna… ma c’è da dire che colpisce e in un certo modo sconcerta ogni volta! — è qui nella classica registrazione di Zubin Mehta e la London Philharmonic del 1972…

Sulla musica leggera “lunare”, vedi Cose Preziose

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8 risposte a "15 (e più) pezzi di musica colta (e non solo) ispirati alla luna"

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  1. Vedo che la luna è grande fonte di ispirazione ultimamente 😂
    La tua cultura musicale (e cinematografica) è impressionante. È sempre stimolante leggere i tuoi post.

  2. interessantissimo (e grazie per la plurima citazione)…
    bello che questa cosa della Luna prenda piede e francamente ai collegamenti con la musica colta non ci avevo pensato, me ne sarebbero in ogni caso venuti pochissimi…
    la sonata di Beethoven… hai fatto bene a citare Elephant: purtroppo dopo aver visto quella scena non riesco più a non collegare le due cose… ahimé…
    p.s.: il notturno n. 8 eseguito da Pollini: mamma mia!

  3. Bravo, ottimo e stimolante lavoro. Io, molto modestamente, sto pubblicando in 4+1 parti le mie “canzoni lunari”, ma attingendo al versante rock-pop. Sulla parte “colta” ne so molto poco, ma durante il mio percorso al Dams mi toccò un esame proprio su Schoenberg…

  4. Ciao. Vorrei proporti una collaborazione per un articolo che ho in mente diciamo “interdisciplinare”… Non avendo un contatto mail ti scrivo qui, dimmi se per te va bene parlarne qui o se ci scambiamo le mail. In attesa, buon (quasi) appetito!

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