Rigoletto dal Circo Massimo in TV

Di Rigoletto s’è parlato tantissimo…

È il numero 14 di Operas II;
se ne parlò tantissimo quando lo allestì Francesco Micheli nel 2018;
è anche nei 10 album

Per cui si sa che io ritengo il film di Jean-Pierre Ponnelle e l’allestimento “mafioso” di Jonathan Miller, entrambi del 1982, gli oggetti in cui si tornò a comprendere la natura buia e violenta del Rigoletto che l’edizione critica di Martin Chusid del 1983 “giustificò” anche a livello filologico e musicale… Edizione critica che animò le letture discografiche di Giuseppe Sinopoli (1984) e Riccardo Muti (1988)…

Senza “riconoscere” quanto fatto dal 1982 in poi, e mantenendosi nelle letture splendide ma più “morbide” degli anni precedenti o anche in quelle degli anni successivi che hanno fatto perdurare la “morbidezza” (vedi l’allestimento scaligero di Gilbert Deflo del 1994, solo per fare un esempio), con Rigoletto col cappellino a sonagli, il Duca signorile ed elegante, le parrucche e i tessuti damascati finto-cinquecenteschi, ciò che oggi fa Damiano Michieletto in diretta TV, alla ripresa delle opere live dopo il lockdown, sembrerà un qualcosa di estremamente audace e disturbante…

Se invece si “riconosce” quanto fatto dal 1982 in poi, allora si apprezzano molto gli sforzi produttivi di Michieletto e dell’Opera di Roma (il palco grande, la sinergia con i video prodotti apposta, la complicatezza audio dovuta agli strumenti e ai cantanti tra loro lontani), ma si pongono le sue idee in un orizzonte registico che ha quasi 40 anni di sperimentazioni alle spalle…

Tanto per rimanere nel recente, senza scomodare i soliti Vick, Lehnhoff, Audi, Guth, McVicar (solo per rimanere a quelli di cui è più facile reperire un video), il Rigoletto nel Luna Park proposto da Michieletto ricorda molto quello allestito da Federico Grazzini al Macerata Opera Festival del 2015
In esso si trova la solita roulotte, la solita idea di far apparire Gilda come un fantasma nel finale, il solito codazzo di cortigiani ritratto come banda armata di crimine organizzato (roba già in Miller e Ponnelle), e il solito trattamento di comparsine e figuranti coreografici di contorno…
E si trova, anche, il riferimento al clown malefico: in Grazzini sintagma scenografico onnipresente e simbolico che in Michieletto si trasforma in citazione cinematografica del Joker di Batman, in salsa soprattutto nolaniana (il Joker di Heath Ledger più di quello di Joaquin Phoenix, che comunque, a livello iconografico, è presentissimo)…

Parliamoci chiaro: Michieletto fa bene…
I video preparati funzionano bene da flashback (anch’essi forieri di citazioni: la Gilda finale, nei sogni/video, sembra wrapped in plastic come la Laura Palmer di Twin Peaks);
le luci sono suggestive;
l’idea delle steadicam in scena, per garantire le immagini di maxischermo, ma anche per suggerire che tutto è filmato nella società dell’immagine e nella vita autorappresentativa del narcos, è ottima: a favore di steadicam i figuranti creano specialissime “composizioni” danzanti davvero ficcanti;
il far morire Monterone all’inizio e il farlo riapparire come fantasma immaginato da Rigoletto nel secondo atto è fantastico;
la corte di Mantova come zona “sudamericana” di spacciatori regge molto bene…

…è solo che, dopo 40 anni, tutto quanto sa di eccellente professionismo più che di idea geniale, come invece in TV è stato comunicato…

A livello musicale, Daniele Gatti ha la buona idea di attenersi all’edizione critica priva di acuti e di cadenze I-V-I sensazionaliste e inopportune, ma per andare dietro all’idea filmica di Michieletto ha optato per dei tempi velocissimi…
…tempi che hanno stragiato completamente tutte le melodie e i ritmi previsti da Verdi…

parliamoci chiaro anche qui: un Rigoletto più recitato e attivo non è da accogliere male (vedi Sinopoli, Muti e anche Lanzillotta nello spettacolo di Grazzini a Macerata)…
…ma Gatti esagera…
a tutto ha impresso un ritmo perfino prestissimo, che ha reso la musica del tutto priva di senso…
gli abbracci coccolosi tra padre e figlia, Gatti li ha stritolati in andamenti fulminei che li rendevano quasi ridicoli, meccanici…

Che Verdi sia “difficile”, e che debba essere “interpretato”, dato che nella mera superficie musicale sembra non aver composto altro che un imperante 3/4 di um pà pà, è una cosa che si sa tutti, e che sanno dappertutto…
In quelle melodie dolciose e languidose, Verdi scrisse poco e niente (vedi anche quel che si dice nella Traviata di Micheli o in quella degli Specchi a Macerata), perché sicuro di innervarle con i suoi consigli alle prove con gli interpreti di allora (i vari Varesi, Maurel, Tamagno, Mariani, Toscanini ecc., vedi anche Park Place), e in quel poco e niente, oggi, c’è da ritrovare tutto quel verbale che Verdi vi infuse, con uno studio grosso, fatto di lettere, fonti, e intenzioni intrinseche da riannodare, scovare, sentire, vedere…

se preso di per sé, invece, quel poco e niente rimane poco e niente

e nella fraintesa foga narrativa cinematografica, Gatti si scorda che quella che ha tra le mani è una colonna sonora che prevede riflessione, studio e comprensione e si mette a leggerla in modo letterale, forse sicuro di stare facendo un film, ma dimenticandosi che quegli accenti “lirici”, se cavalcati come se fossero film, perdono tutto…
perdono coerenza, si banalizzano, e finisco perfino per non adattarsi neanche al film!
perché così sfioriti nella velocità, fatta per farne una colonna sonora, quelle musiche perdono, paradossalmente, anche il senso della colonna sonora stessa!

Mi spiego: se Gatti, con lo studio, avesse ricercato gli accenti e le violenze nella musica stessa, e non nella velocità vorticosa, ce li avrebbe trovati tranquillamente! (vedi Sinopoli, Muti e Lanzillotta)…
e con quelle violenze avrebbe ottenuto una colonna sonora molto più “colonna sonora” di quella che ha forgiato forzosamente con la velocità…
cioè: cercando la colonna sonora a tutti i costi non ha visto che la colonna sonora c’era già implicita nella musica e, infine, ha finito per “annullare”, mentre lo ricercava prepotentemente, tutto l’effetto…

Veglia, o donna, Il sol dell’anima, Caro nome, Povero Rigoletto, e perfino Cortigiani vil razza dannata e il quartetto (è andata un po’ meglio a Tutte le feste al tempio, a Piangi fanciulla e al terzetto temporalesco del terzo atto), sono stati tutti portati via dalla furia dei tempi forsennati di Gatti, e si sono trasformati in canzonette esagitate, col fiato corto, che non comunicano alcuna emozione se non la fretta…
una velocità che ha distrutto tutti gli altri sentimenti che la musica lambiva: nessuna rabbia, nessuna follia, nessun affetto, nessuna “perversione”: Gatti ha sentito nel Rigoletto solo voglia di correre…

ne è venuto fuori un Rigoletto ridotto a remix di musica per fitness

Roberto Frontali si è adattato all’impostazione di Gatti e non ha cantato, ha recitato…
siccome ha recitato molto bene, per lui si appressa un “fine carriera” forse fatto solo di Rigoletti e Gianni Schicchi (anche Leo Nucci, in vecchiaia, risolveva Rigoletto parlando e sbuffando: se l’ha fatto lui, per quasi 30 anni, può farlo anche Frontali)…

Rosa Feola è stata una Gilda carina, ben recitata e dalle intenzioni ottime, ma afflitta da diverse imperfezioni tecniche, in ogni caso perdonabili viste le condizioni proibitive della venue

Iván Ayón Rivas partiva avvantaggiato da avere un ruolo che ormai conosce bene, e si è avvalso della felice caratterizzazione di personaggio apparecchiatagli da Michieletto: un Duca spacciatore, circondato dai suoi picciotti, sempre con l’anello brillantato pronto da regalare alla donna di turno…
Il giovane Rivas, pur non così credibile a causa dello scarso physique du rôle, se l’è comunque cavata alla grande…

Zanellato e Martina Belli hanno tratteggiato i soliti Sparafucile e Maddalena, risultando comunque molto bravi…
L’idea di far entrare Gilda nel loro covo con la pistola, a minacciarli, invece di andare a “sacrificarsi”, è stata carina, ma, alla fin fine, così breve da non venire quasi per niente registrata

Alla regia televisiva, Francesca Nesler, non male nella Cavalleria di Matera, deve aver avuto poco tempo per pianificare il lavoro poiché è apparsa assai smarrita nell’orientarsi sul grande palcoscenico: non inquadrava quasi mai ciò che avrebbe giovato inquadrare: tra le tante scenette secondarie ha spesso scelto di inquadrare quella meno significativa, lasciando noi a casa con la sensazione di stare perdendoci dettagli importantissimi di ciò che avveniva sul palco…

La resa fotografica, in ogni caso, era eccellente, e con la postproduzione potranno essere corrette tutte le incertezze…

ieri, comunque, s’è visto un Rigoletto RAI che a livello televisivo sembrava una prova invece dell’effettiva diretta…

4 risposte a "Rigoletto dal Circo Massimo in TV"

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    1. questo l’hanno trasmesso ieri sera su Rai5, forse su Raiplay lo ritrovi!
      E se vuoi cimentarti negli altri Rigoletti citati, mi sa che su YouTube li trovi praticamente tutti!
      almeno, il film di Ponnelle sono sicuro che ci sia! e, se spulci anche cercandolo col nome del direttore Mark Elder, vedrai trovi anche quello di Miller!
      Trovi video improponibili di pessimi riversamenti VHS (quando va bene), ma li trovi!

      1. E hai fatto di molto bene!
        Io sono andato avanti per curiosità, ma i tempi così veloci e le citazioni un po’ “spicce” mi hanno fatto resistere fino alle 23:40 con estrema fatica!

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