TASSO E LA COMPOSIZIONE DEL «GOTTIFREDO»
Bernardo Tasso
Torquato (nato nel 1544) era figlio d’arte: Bernardo Tasso (di Bergamo) era un super-intellettuale del suo tempo e si porta dietro il figlio durante le sue “rotte di lavoro” tra una signoria e l’altra della penisola italiana: i Sanseverino di Salerno (è presso di loro, a Sorrento, che nasce Torquato; Bernardo segue per un po’ Ferrante Sanseverino in esilio in Francia, dopo lo scontro che questi ebbe con il regno spagnolo di Napoli a causa dell’introduzione a Salerno di un tribunale dell’Inquisizione) e i Della Rovere a Urbino…
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Ariosto vs Aristotele
Proprio dagli anni ‘40 del ‘500 era cominciato un dibattito dotto e accademico sui dettami della Poetica di Aristotele, appena ritrovata… C’era da obbedire alla Poetica in tutto e per tutto [così come si obbediva ad Aristotele, tramite la filosofia scolastica medievale, in tutti gli altri aspetti della fisica, della medicina, dell’etica ecc.]? Oppure, dati gli ormai tanti esempi letterari ignoranti i principi compositivi aristotelici prodotti da Dante ad Ariosto, era meglio soprassedere?
Bernardo Tasso partecipò a questi dibattiti, che vedeva proprio nell’Orlando furioso una pietra dello scandalo atroce: il poema di Ariosto era un best-seller, ma non era aristotelico per niente (non aveva le unità narrative di tempo-spazio-azione, non narrava una storia unica, non era né commedia né tragedia, non si strutturava in inizio-svolgimento-fine, neanche inizio-peripezia-catarsi)… come fare per accontentare il pubblico con nuove storie cavalleresche? Seguire Ariosto, anche se non aristotelico? O obbedire ad Aristotele, rischiando però di rinunciare a quel magma di meraviglioso intricato che ormai il pubblico post-ariostesco si aspettava?
Bernardo disse la sua, con il poema Amadigi (1560) e col Floridante (lasciato incompiuto alla sua morte nel 1569 e ultimato da Torquato nel 1587), e dissero la loro Giovanni Battista Giraldi Cinzio con l’Ercole (1557), Luigi Alamanni con Girone il cortese (1548) e Avarchide (1570), e Giangiorgio Trissino con L’Italia liberata dai goti (1547)…
Questo filone intellettuale porterà, negli anni, alla realizzazione del Teatro Olimpico di Vicenza (progettato da Andrea Palladio e Vincenzo Scamozzi nel 1580-1585), e alla messa in scena (nel 1585) dell’Edipo re (tradotto in Edipo tiranno) realizzata da Angelo Ingegneri (con scene di Scamozzi, appuntate su esempi classicisti stabiliti da Sebastiano Serlio una 25ina di anni prima)… Fu, per capirsi, un momento culturale molto complicato, e denso di conseguenze…
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Gli studi e i primi lavori
Torquato Tasso deve aver respirato la dicotomia tra “ariostismo” e “aristotelismo” fin da piccolo… Da Urbino, Torquato va a studiare a Venezia, poi a Padova e a Bologna, e ancora studente si fa prendere la mano, sicuramente suggestionato dal padre, sulla questione cavalleresca e comincia a scrivere Gierusalemme (dal 1559) e il Rinaldo (dal 1562)…
A Bologna non si trova bene, viene anche espulso, e conclude gli studi a Padova, dove fa amicizia con Scipione Gonzaga, che lo incorona Accademico degli Eterei… Nell’accademia, e con alle spalle l’ateneo di Padova, dove si laurea nel 1562, Tasso decide di studiare a fondo il problema aristotelico-ariostesco, e comincia a scriverci un possente saggio, i Discorsi dell’arte poetica (redatti dal 1564)…
Intanto, con la corona accademica, scrive poesie, accolte con benvolere da molto ambiente lirico, e nel 1565, trova lavoro, presso Luigi d’Este, a Ferrara…
Luigi era figlio di Ercole II, figlio a sua volta di Alfonso d’Este, alla cui corte, dal 1517, era stato attivo Ariosto… [era figlio della famosa Lucrezia Borgia, amante, tra gli altri, anche di Pietro Bembo, ma con cui Ariosto ebbe poco a che fare: lui arrivò al seguito di Alfonso solo due anni prima della morte di Lucrezia]
Lo “scontro” accademico Ariosto/Aristotele era quindi vissuto da Tasso in qualche modo nei “luoghi” e nei palazzi ariosteschi… in questi fa amicizia con Giovanni Battista Guarini e Domenico Veniero, e comincia a riscrivere il suo Gierusalemme (di sei anni prima), secondo i dettami dei Discorsi dell’arte poetica…
Come Ariosto prima di lui, nel 1571, Tasso passa dal servizio del figlio cadetto (Luigi d’Este) a quello del duca in persona, Alfonso II…
Intanto, continua a scrivere il nuovo Gierusalemme, che viene riintolato Gottifredo…
Poi Tasso si fa coinvolgere in un altro ramo della disputa tra aristotelisti e anti-aristotelisti… il ramo “teatrale”…
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L’«Aminta»
Se nella Poetica, Aristotele aveva chiaramente parlato di due generi, tragedia e commedia, trattando complessivamente solo della prima (ma lasciando intendere di sapere comunque tutto sulla seconda), di un terzo genere, il dramma satiresco, non aveva parlato affatto, lo aveva solo accennato fugacemente… Quel terzo genere, per molti, era la chiave di volta, la coincidentia oppositorum tra aristotelisti e anti-aristotelisti: un genere in cui, mancando i dettami aristotelici, si potevano sperimentare tutte le cose ancipiti tra aristotelismo e anti-aristotelismo senza avere il senso di colpa di aver disobbedito ad Aristotele!
Il dramma satiresco fu declinato, dagli intellettuali, in commedia pastorale… gli agganci teorici, mancando Aristotele, ma non potendo, in suo ossequio, prescindere dal classicismo, furono trovati in Virgilio (Georgiche, Bucoliche) e in vari ellenisti (Longo Sofista, per esempio)… Tasso si prestò, quasi sicuramente su ordine del duca Alfonso II, ma anche probabilmente spinto dagli amici Scipione Gonzaga e Giovan Battista Guarini, a redigere una grande favola pastorale, immensa e paradigmatica: Aminta, allestita nel 1573…
Tutto concentrato sul problema di connubio tra Ariosto e Aristotele, Tasso, per un po’, dovette occuparsi di come “digerire” una situazione simile a livello teatrale, visto che nel 1480, negli anni in cui Boiardo scrive l’Orlando innamorato, un certo Iacopo Sannazzaro aveva già tentato di definire il genere pastorale PRIMA del ritrovamento della Poetica di Aristotele!… e ci aveva provato, nello stesso anno, anche Poliziano nell’Orfeo…
Aminta fa successo, e inaugura una enorme stagione di commedie pastorali, di cui il Pastor fido, proprio di Giovanni Battista Guarini (1590) e propagandante esattamente gli schemi teorici dell’Aminta, è l’esempio più illustre e studiato…
Ma nel fare questo, Tasso “stoppa” il suo lavoro su Gottifredo, che riprende solo nel 1574…
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La revisione romana comincia
Tasso finisce il Gottifredo del tutto nel 1575, quando viene anche assunto come professore di astronomia e geometria nello “studio” (=università) di Ferrara…
Sicuro di aver fatto un lavoro immenso, teorico, capace di provare quanto un poema cavalleresco in senso ariostesco, appetibile per tanti lettori, potesse anche seguire alla lettera i dettami di Aristotele, Tasso fa leggere il Gottifredo a vari intellettuali, soprattutto romani, certo di trovarli entusiasti, o, al massimo, propositivi di miglioramenti al fine di rendere il Gotifredo il poema cavalleresco numero uno della nuova era aristotelica…
Tra gli intellettuali ci sono Scipione Gonzaga, il suo vecchio amico, e Sperone Speroni…
La lettura del Gottifredo si protrae a lungo, finendo per essere una vera e propria *revisione*, condotta dalla primavera del 1575 all’estate del 1576…
Con enorme sorpresa di Tasso, sicuro di stare portando avanti una “crociata intellettuale”, i problemi si dimostravano essere di natura totalmente RELIGIOSA…
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Problemi di Controriforma
Il problema partiva da lontano, dal 1517, anno in cui non solo Ariosto passa al servizio di Alfonso d’Este, ma anche anno in cui Martin Luther propone 95 problemi di gestione ecclesiale a diversi vescovi anglo-sassoni stanchi della politica economica del papato di Leone X, reo di usare le offerte dei fedeli non per scopi episcopali ma per il puro sfoggio artistico della costruzione della grandiosa Basilica di San Pietro a Roma…
La “protesta” di Luther e degli anglo-sassoni sfuggì parecchio di mano a tutti e rinfocolò diversi problemi che Jan Hus aveva già additato un secolo prima… evidentemente il nord Europa (dalla Svizzera di Jean Cauvin e Huldrych Zwingli, alla Sassonia di Thomas Müntzer, all’Inghilterra di Henry VIII Tudor, caso però particolare) non vedeva l’ora di staccarsi dagli obblighi fiscali vaticani, e cavalcò le idee di Luther arrivando a causare un enorme scisma nella dottrina cristiana, simile a quello che c’era stato tra il 1378 e il 1417 (con l’apertura di una nuova sede papale ad Avignone), e quello, ugualmente radicalissimo, che aveva generato la divisione tra cattolicesimo e chiesa ortodossa intorno al 1054…
Senza la zavorra vaticana, il nord Europa ebbe una grande impennata economica e sociale, e otteneva diversi consensi intellettuali… la nuova idea religiosa “protestante” promossa da Luther e altri (e da Cauvin soprattutto, il cui “calvinismo” attecchì in diversi posti, in primis in Francia, con gli Ugunotti, e Inghilterra, con i Puritani), era più concreta, terra terra, basata sull’utilitarismo, meno ipocrita, meno farlocca, più privata, meno sensazionalista, meno attaccata all’apparenza… un’idea più aperta al guadagno, anzi, favorevole a tutte le iniziative atte a “stare bene”, a costruire un piccolo “paradiso” in vita, più che ad attendere in miseria il paradiso dell’al di là [la filosofia teologica sembra dire che il dio cattolico si accontentava di una chiesa ricca che teneva un gregge di fedeli contriti in preghiera e in un ora et labora poco producente tracce durature se non ecclesiastiche (la costruzione di chiese), mentre il dio calvinista è un dio davvero crudele, che mentre si accontenta di chiese un po’ più umili, obbliga i fedeli a provare la loro fede non solo con un ora interiorizzato ma anche con un labora capace di produrre cose tangibili e durature, tra il denaro e le “cose” personali, le imprese, le società]… Un’idea che, lo dimostrò bene Max Weber nel 1905, è diventata la base del capitalismo odierno (non dimentichiamo che furono i Puritani inglesi a colonizzare il nord America nel 1620, aprendo la strada che portò, piano piano, agli Stati Uniti, l’unico stato in cui la «ricerca della felicità», intesa ovviamente come economica, è disposta nella Costituzione)…
Al Vaticano, ancora ancorato al Paradiso, alla frustrazione, alla mortificazione dell’individuo per la gloria del signore, non restò che reagire… e reagì malamente…
Sentitosi minacciato in Europa, cominciò a promuovere miliardate di “missioni evangeliche” in giro per il mondo… Francesco Saverio (1506-1552) andò in Cina e Giappone, Matteo Ricci (1552-1610) di nuovo in Cina, i Gesuiti cementificarono il loro “potere” negli stati venuti fuori dopo il 1492: Paraguay, California, Messico…
ma era un giochino, s’è visto, pericoloso, perché anche i “protestanti” erano in grado di navigare: i Puritani inglesi, abbiamo visto, andarono in Massachusetts, poi in India; gli olandesi arrivarono nelle Antille, in Suriname, e in Indonesia…
la vera partita era “interna”, tutta “europea”…
Dal 1545 al 1563, il Vaticano portò avanti una maxi-riunione, un concilio, a Trento, dove discutere il da farsi…
da questo concilio vennero fuori gli ideali di figure ecclesiali nuove, mistiche (Giovanni Della Croce) ma anche combattive e attente al “benessere” della popolazione, al fine di far vedere a tutti che non era vero che il Vaticano se ne fregava dei poveri, anzi, dimostrava come la mortificazione *determinasse* già in vita la gioia del regno dei cieli (figure deliranti come saranno Teresa d’Avila, Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo)…
e vennero fuori anche nuovi sistemi di sospetto verso chi non era d’accordo, in un clima che divenne bipolare e ben presto “guerresco” tra i cattolici e i protestanti: l’Inquisizione, dopo i fasti tre-quattrocenteschi, tornò a governare in tutto il dominio cattolico del mondo…
Avere “idee” era pericoloso: bastava un attimo e si poteva tranquillamente innescare accuse di “protestantesimo”… anche perché i dettami, la dottrina e l’ortodossia non vennero MAI chiarite del tutto nei particolari: governava l’indistinto, il vago, al fine di poter colpire meglio ogni singolo caso, a gusto, a “simpatia”, a “occorrenza”…
Un clima che portò anche a terribili ripercussioni violente: pochi anni prima della revisione romana del Gottifredo, nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1572, a Parigi, orde di cattolici si misero a uccidere tutti gli Ugunotti che trovarono, sobillati dalle lotte di potere dei cattolici in Europa: fu un massacro (il Massacro di San Bartolomeo: ci fece il film Patrice Chéreau, La Reine Margot, 1994, con splendide scene di sesso tra Vincent Perez e Isabelle Adjani), con più di 5000 persone morte (alcuni dicono che furono anche 30000!)
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La revisione romana continua
Scipione Gonzaga e Sperone Speroni, tra il 1575 e il 1576, trovarono nel Gottifredo di Tasso, ricco di “cristianesimo”, diversi pezzi meravigliosi e diverse configurazioni teofaniche (dio illustrato in prima persona, il diavolo assimilato al classico Ade/Plutone, diverse simpatie per gli eroismi degli arabi) poco congruenti con il Concilio di Trento: poco, per certi versi, “cattoliche”…
Tasso subì un forte stress a vedersi giudicato da quelli che riteneva suoi amici, e probabilmente temette per possibili ripercussioni inquisitorie, e cominciò a riscrivere il Gottifredo secondo i consigli di Gonzaga e Speroni…
certamente, però, non fu d’accordo su tutto: molte critiche le ritenne idiote, e i passi denigrati secondo lui ingiustamente li lasciò com’erano…
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La follia
ma la suggestione “religiosa” deve essere attecchita tanto nel suo animo, perché dal 1576 in poi la vita di Tasso comincia a peggiorare…
Nel 1576 litiga con un altro cortigiano, Ercole Maffucci Maddalò…
La cosa poteva finire lì, un litigio come tanti, ma Tasso se ne preoccupa tantissimo e si va a denunciare all’Inquisizione! che per fortuna lo ritiene innocente…
ma Tasso rimane inquieto…
Non si sa davvero cosa gli sia preso dal 1576 in poi…
esaurimento nervoso?
crollo psico-fisico?
una depressione poco raccontata pregressa: l’espulsione dall’università di Bologna nel 1564 è da considerarsi indizio di questa condizione?
forse direttamente schizofrenia?
oppure un gioco terribile “politico-intellettuale”, atto a screditarlo: suoi “nemici” alla corte estense gelosi di lui che lo sobillavano o lo stressavano apposta per fargli abbassare le penne di cui si beava per il suo successo con l’Aminta e l’imminente Gottifredo?
Non si sa…
Fatto sta che racconta di vedere mostrini e gnomi che gli sconvolgono le carte… e dà segni di paranoia… nel 1577 si crede spiato da un servo, e gli lancia addosso un tagliacarte appuntito!
Lo chiudono in galera a Ferrara ma evade (!?), e va a Sorrento, dove è rimasta sua sorella… non le si presenta direttamente, ma le invia un biglietto dove si dice morto solo per vedere come ella reagisce!
Dalla sorella un po’ si calma, e si accorge di quanto sia terribile riuscire a farsi riammettere al lavoro dopo fatti così “difficili”: cerca di farsi assumere a Mantova, Padova, Venezia, Urbino, Torino, non ci riesce… alla fine si fa “curare” da un cardinale, grazie alla cui intercessione è riaccettato di nuovo alla corte di Alfonso II d’Este a Ferrara…
lavoricchia, ma si sente trascurato dal duca… e fa una scenata furente contro di lui, vomitandogli addosso insulti…
Viene rinchiuso di nuovo, direttamente in manicomio, all’Arcispedale di Sant’Anna, dove rimane dal 1579 al 1586…
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Le stampe non autorizzate: il «Gottifredo» diventa «Gerusalemme liberata»
Intanto il Gottifredo è rimasto lì, e viene in qualche modo “trafugato”…
nel 1579 l’editore genovese Cristoforo Zabate ne stampa il quarto canto…
nel 1580, Celio Malespini, famoso falsario e avventuriero del tempo, cura con lo stampatore Domenico Cavalcalupo un’impressione parziale (Canti I-X, XII e XIV), a Venezia…
e nel 1581, un già citato partecipante dei dibattiti aristotelici, Angelo Ingegneri, amico di Tasso dai tempi dell’Aminta, prepara due stampe, che dice essere basate su un manoscritto completo da lui copiato alla presenza di Tasso stesso: una viene impressa a Parma, con assistenza del letterato Muzio Manfredi, da Erasmo Viotti, il 1° marzo; l’altra da Antonio Canacci & Erasmo Viotti a Casalmaggiore (Cremona), ancora nel marzo 1581…
Queste due stampe di Ingegneri, per la prima volta, comunicano il Gottifredo con il titolo Gerusalemme liberata…
È forse la corte di Ferrara a non rimanere bene dei trafugamenti di un prodotto di aristotelismo autentico elaborato sotto il suo patrocinio… ed è forse la corte di Ferrara stessa ad autorizzare altre due stampe, curate da Febo Bonnà ancora nel 1581… Una impressa dallo stampatore Vittorio Baldini, il 24 giugno (per la quale Bonnà si avvale della collaborazione di Giovanni Battista Guarini, amicissimo di Tasso), l’altra dagli eredi di Francesco de’ Rossi, il 20 luglio, condotta su nuove acquisizioni manoscritte provenienti non si sa da dove…
Il 7 ottobre 1581, Erasmo Viotti, forse geloso dell’impresa di Bonnà, torna a stampare una nuova Gerusalemme liberata a Parma, e la intitola La conquista del sepolcro…
Intanto le edizioni “pirata” di Malespini continuavano ad essere ristampate, una già nel giugno 1581, prima della prima impressione di Bonnà, l’altra nell’aprile 1582…
Forse per ribadire il suo essere una stampa di “stato”, Bonnà esce con una nuova veste, la terza, degli editori Domenico Mannarelli & Giulio Cesare Cagnaccini di Ferrara nel 1582, identica alla seconda…
Il 25 maggio 1584, l’editore Francesco Osanna stampa a Mantova una sua versione, che per molti anni fu ritenuta opera di Scipione Gonzaga, denso “revisore” del Gottifredo nel 1575, e già amico di Tasso…
Al ché, Bonnà, di nuovo, per avere una sorta di “esclusiva”, compone una quarta impressione, con Giulio Cesare Cagnarelli, a Ferrara, nel 1585, ancora quasi meramente anastatica della seconda…
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Tasso dopo il manicomio
Intanto, mentre questa lotta per la stampa di una versione ufficiale andava avanti, Tasso era rinchiuso a Sant’Anna, dove è evidentemente in condizioni disperate: nel 1581 dice di sentire diverse voci che lo martellano di improperi invidiosi della sua quiete… alle voci dà anche diversi nomi (Pavolo, Giacomo, Girolamo, Francesco, Fulvio e altri)… per alcuni tutto ciò è segno evidente di schizofrenia, per altri quei nomi sono di veri nemici politici estensi (!?)…
In manicomio riesce comunque a scrivere, e gli arrivano perfino le reazioni critiche alla circolante Gerusalemme liberata, un testo che lui non ha mai ultimato! Un testo che, nonostante tutto, si sente di difendere dagli attacchi, che sono condotti su esemplari non autorizzati…
Dal manicomio scrive una Apologia della «Gerusalemme liberata», dimostrandoci così di non disdegnare il titolo trovato da Angelo Ingegneri…
È forse Scipione Gonzaga a intercedere presso il duca di Mantova suo parente, Vincenzo Gonzaga, affinché Ferrara concedesse l’estradizione mantovana per Tasso…
L’intercessione funziona e Tasso esce da Sant’Anna per diventare “suddito” mantovano…
Tasso dedica a Vincenzo Gonzaga Re Torrismondo, nel 1586, appena uscito dal manicomio…
però neanche a Mantova si sente bene… Scappa e via Bologna e Loreto, va a Roma, e ottiene la protezione diretta di papa Sisto V…
A Roma ripulisce e pubblica i Discorsi dell’arte poetica scritti vent’anni prima, e comincia a rielaborarli col titolo Discorsi sul poema eroico (dal 1587)…
Con la protezione papale viaggia a Napoli, Firenze, e si riconcilia coi Gonzaga, per i quali scrive Genealogia di Casa Gonzaga (1591)…
A Mantova, con Francesco Osanna, stampa le Rime…
Soprattutto a Roma e Napoli scrive roba religiosa (Il Monte Oliveto, 1588, Il mondo creato, 1592, Vita di San Benedetto, 1594), il pastorale Rogo amoroso (1588), e dal 1590, totalmente a Roma, si mette a riscrivere la Gerusalemme liberata (che fu Gottifredo), che da più di dieci anni sta circolando, con sommo successo, senza alcun suo consenso… Questa riscrittura la intitola Gerusalemme conquistata, che viene pubblicata a Roma nel 1593 da Guglielmo Facciotti, per tramite proprio di Angelo Ingegneri!
Questa sua “seconda stagione” post-manicomio è remissiva, pomposa, baciapile e piagnona, e forse per questo non aliena da trionfi, in una Roma papalina sensibile al servilismo: nel 1594, Tasso è incoronato poeta in Campidoglio, come Petrarca…
Il 1° aprile 1595 sembra presentire la morte e decide di farsi portare nel monastero di Sant’Onofrio sul Gianicolo… e lì muore, 24 giorni dopo… aveva poco più di 50 anni…
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I TESTI
Fino a Caretti
Fino al 1890 è stata la stampa di Francesco Osanna del 1584 ad essere considerata la versione migliore, in quanto presunta opera di Scipione Gonzaga…
Poi, Severino Ferrari (Gerusalemme liberata, Firenze, Sansoni, 1890) afferma che le prime due stampe di Febo Bonnà (1581) sono da preferirsi, e che si debba accostarsi a Osanna solo quando serve…
Come lui fa Angelo Solerti (Firenze, Barbera, 1895-1896)…
Entrambi erano sicuri che le stampe di Bonnà, fatte a Ferrara, avessero in qualche modo una tacita autorizzazione del Tasso chiuso in manicomio… Questo perché esistono alcune lettere di Tasso al Granduca di Toscana, scritte durante le sue peregrinazioni alla ricerca di una nuova “casa” dopo il manicomio: in queste lettere, Tasso chiede al Granduca di autorizzare a Firenze la vendita della prima stampa Bonnà (fatta con Baldini)…
Nel 1930, Luigi Bonfigli (Bari, Laterza) dice che il benestare di Tasso per Bonnà è inconsistente, fasullo, che lettere di Tasso al Granduca che la autorizzano non sono da ritenersi “vere”, e che c’è da distinguere bene tra le due impressioni di Bonnà, delle quali è da preferire la seconda fatta con de’ Rossi, perché utilizzante un manoscritto probabilmente riferibile a Tasso, denso di correzioni fatte durante la revisione romana…
Bonfigli avverte che anche il manoscritto usato da Osanna è probabilmente riferibile a Tasso, forse davvero posseduto da Gonzaga per via della revisione romana, e che quindi l’edizione Osanna non è da buttare via…
Nel 1957, Lanfranco Caretti (Milano, Mondadori) prepara la prima vera “edizione critica” (ristampata anche da Laterza a Bari nel 1961), e anche lui afferma che è la seconda stampa Bonnà (di de’ Rossi) da prendere in considerazione, con possibilità di attingere da Osanna e dalla prima Bonnà (di Baldini) solo in caso di evidente errore della seconda Bonnà/de’ Rossi!
Tutti quanti si arrendono al fatto che i tanti manoscritti rimasteci della Gerusalemme liberata, riferiti soprattutto alla redazione figlia della revisione romana, sono molto complicati da studiare, e quindi solo le stampe possono essere usate come base per un testo…
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Luigi Poma
Dal 1957 in poi, le cose sono rimaste così…
poi, nel 1982, si studia bene un cartafaccio manoscritto di mano di Scipione Gonzaga, e lo si scopre essere riferibile alla revisione romana, e non solo: si dimostra che Tasso stesso lo ha usato per fare rettifiche…
È quel cartafaccio che è passato da Tasso a Bonnà, che l’ha usato soprattutto per la sua PRIMA impressione (di Baldini), e non per la seconda, quella preferita fino ad allora…
E difatti era proprio la Bonnà/Baldini che Tasso voleva far autorizzare a Firenze scrivendo al Granduca… Ma Poma dimostra che Bonfigli, nel 1930, faceva bene a non prendere le richieste di Tasso al Granduca come “autorizzazioni”: dalle lettere “granducali” si capisce bene che Tasso richiede la vendita della Bonnà/Baldini NON per motivi artistici, NON perché ritenesse il testo comunicato da Bonnà/Baldini “migliore” degli altri, ma solo per ricavare proventi economici dallo smercio, in quanto la permanenza tassiana a Firenze, subito dopo il manicomio, era alquanto miseranda e squattrinata…
Il “benestare” di Tasso verso qualsiasi stampa Bonnà, ritenuto “verbo” e confutato dal solo Bonfigli, viene definitivamente distrutto da Poma, che torna a concentrarsi non sulle stampe, definitivamente esautorate da ogni benestare tassiano, ma sui testimoni manoscritti!
E soprattutto sul cartafaccio autografo in possesso di Scipione Gonzaga…
Quel cartafaccio si dimostra essere l’unico vero canale di indagine verso l’ultima versione del Gottifredo scritta da Tasso prima della chiusura in manicomio, e prima della rielaborazione intitolata Gerusalemme conquistata…
Un cartafaccio che fa chiarezza anche su altri manoscritti che si posseggono, molti elaborati dopo di lui…
Non solo: lo studio dei manoscritti rende anche palese che il testo composto da Francesco Osanna a Mantova non è per nulla riferibile a Scipione Gonzaga, ma è da ritenersi una ricopiatura della Bonnà/de’ Rossi con interpolazioni arbitrarie delle edizioni “pirata” di Malespini!
Una ragione in più per affidarsi ai manoscritti, dai quali si deducono bene le varie fasi redazionali (la prima, la seconda della revisione romana, e la terza fase di aggiustamento della revisione romana prima del manicomio [dopo il manicomio, Tasso fa correzioni tanto radicali, che difatti vanno a formare la Gerusalemme conquistata e cioè tutta un’altra opera]), nessuna delle quali “definitiva”, data l’interruzione manicomiale…
Tutte queste notizie fanno affermare a Luigi Poma che l’edizione critica di Caretti deve essere sostituita con un testo che si basi più sui manoscritti che sulle stampe… un testo dai nuovi e sorprendenti criteri, poiché sarà un testo che ammetterà, per la prima volta, che la Gerusalemme liberata o Gottifredo era un lavoro INCOMPIUTO: molti episodi Tasso non era arrivato a formularli completamente, o, addirittura, di alcuni, aveva elaborato più soluzioni, tra cui non si decideva: e tra queste soluzioni autorizzava perfino a scegliere altri! [e molte le scelse Scipione Gonzaga durante la revisione romana]
Sicché, per quegli episodi per cui non c’è *decisione* d’autore, non c’è da affidarsi alle stampe, che hanno attinto a soluzioni provvisorie (tipo quelle di Gonzaga, o quelle poi scartate da Tasso), per completarli congetturalmente, ma c’è da LASCIARLI VUOTI, e proporre le soluzioni provvisorie, anche plurime, in apparato…
Un testo che quindi andrebbe a somigliare di più a un testo di Eschilo, o all’Epopea di Gilgameš, zeppo di spazi bianchi, e con tanti pezzi, anche celebri, relegati in nota, in appendice o in apparato, e presentati anche in redazioni plurime…
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I COMMENTI
I più amati dagli studiosi sono quelli di
- Severino Ferrari: Firenze, Sansoni, 1890; poi riveduto da Pietro Papini nel 1917
- Francesco Flora: Milano, Rizzoli, 1934: poi Napoli, Ricciardi, 1952
- Luigi Russo: Milano, Principato, 1940, poi 1953
- Attilio Momigliano: Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1946
- Lanfranco Caretti: Milano, Mondadori, 1957, poi 1976, 1979 ecc… [Mondadori lo “sostituirà” solo nel 2022 con l’edizione di Gigante e Artico]… è uno dei commenti “principe” della Gerusalemme liberata… viene rimodernato per Laterza (Bari) nel 1961, poi ‘67 ecc… e infine per Einaudi (Torino), 1980, 1988, 1993 ecc. ecc.
In un certo senso non se ne può fare a meno… - Fredi Chiappelli: Firenze, Salani, 1957; ripubblicato anche da Loescher (Torino, 1968), e da Rusconi (Milano, 1982)
è un commentone bello ampio, bello ermeneutico e dallo sguardo veramente enorme sulle questioni estetico-stilistiche e filosofiche: è veramente eccellente, anche se ha un linguaggio evidentemente vetusto… - Bartolo Tommaso Sozzi & Anna Maria Carini: Milano, Feltrinelli, 1961… rielaborato dal solo Sozzi viene ripubblicato da UTET (Torino), nel 1964, poi ‘68 ecc.
Poderosissimo di informazioni ecdotiche in introduzione, ma mero glossario nelle note… - Bruno Maier: Milano, Rizzoli, 1963, poi 1982, 1995 ecc. (poi sostituito dal nuovo commento di Franco Tomasi nel 2009); pubblicato anche da Fabbri (Milano), nel 2006…
Si avvale di una eccezionale (e lunghissima: 130 pagine dell’edizione Rizzoli, 80 di quella Fabbri) introduzione di Ezio Raimondi, che analizza la Liberata con le armi della narratologia lukacziana e della analisi psicanalitica e strutturalista… Maier è pieno di affascinanti idee ermeneutiche e fa un commento ritenuto indispensabile da molti… Un suo punto di forza eccelso è l’essere trapuntato di miliardi di indicazioni sulle fonti, soprattutto classiche, di Tasso, che cita spesso verbatim e integrali onde dimostrare le dirette derivazioni tassiane… L’edizione Fabbri ha il tragico difetto di tagliare la nota bibliografica… Il dramma di entrambe le edizioni è di non avere paragrafemi di “navigazione”: in intestazione di pagina non indicano a che canto siamo… Nella Rizzoli vengono riprodotte le interessanti illustrazioni di Giambattista Piazzetta del 1745… - Marziano Guglielminetti: Milano, Garzanti, 1974, poi 1982 e innumerevoli altre edizioni…
Dipende da Caretti e Maier ed è sintetico, il più delle volte con intenti di solo glossario (che è anche sviluppato in una sezione a parte in apparato chiamata «lessico»), ma ogni tanto ficcante di puntute indicazioni ermeneutiche, e dall’apparato paratestuale davvero ottimo: ha una buonissima introduzione biografica su Tasso, e, come avrà Tomasi, anche una sinossi-introduzione di ogni singolo canto che sviluppa le micro-indicazioni ermeneutiche delle note con più spazio… Utile anche l’indice dei nomi che serve come riassunto delle vicende dei singoli personaggi… - Roberto Fedi: Roma, Salerno, 1993
- Marta Savini: Roma, Newton Compton, 1996, poi 2008, 2015 ecc.
Scarno e asciutto, ma dice tutto quello che deve dire, pur rimanendo dalle parti del semplice glossario… - Franco Tomasi: Milano, Rizzoli, 2009
Un commentone vero, denso di discussioni estetiche, stilistiche, ecdotiche (più raramente), e molto attento alla comprensione complessiva del testo… Si avvale anche di corposi riassuntoni posti a esordio dei singoli canti, simili a quelli di Guglielminetti, che non solo fanno la sinossi ma sviscerano in anticipo molte questioni estetiche che la piccolezza dell’edizione tascabile avrebbe teso a risicare nelle note… Ha una leggera pecca nella introduzione, che rimane complessiva ma sommaria… - Claudio Gigante e Tancredi Artico: Milano, Mondadori, 2022
Dopo più di 50 anni di ristampe del commento di Caretti, veicolato in collane abbastanza blasonate (i Meridiani e gli Oscar Grandi Classici), Mondadori crea una nuova presentazione della Gerusalemme liberata per gli economici e lisci Oscar…
Aggiornati alle più recenti ricerche filologiche, gli apparati introduttivi di Claudio Gigante rendono conto eccellentissimamente del lavoro ecdotico e aiutano assai nel districarsi nel ginepraio delle stampe e dei manoscritti. La Nota al testo, congiunta con una ottima introduzione critico-biografica su Tasso e sulla gestazione della Liberata, rende conto dei passi, usati da Gigante, che più divergono dal testo stabilito da Caretti nel ’57, e fa capire che le scelte adottate sono una valente via di mezzo tra le idee radicali di Luigi Poma (e del suo diretto allievo Emilio Russo) e la vulgata stampata cristallizzata da Caretti che tanto è stata amata e chiosata… È quindi un’edizione preziosa per le news testuali che propone…
Le introduzioni ai singoli canti e le note di Artico sono invece di normale amministrazione: le note sono quasi di mero glossario e le introduzioni ai canti hanno poco di ermeneutico e tanto di espositivo: sono davvero più delle guide al lettore che un approfondimento (e quindi preferisco quelle di Tomasi), ma mica fanno male…
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ALCUNI TEMI
Psicologia e focalizzazione
Tasso è più moralista, ma è generalmente più partecipato di Ariosto: ama davvero i suoi personaggi e si avvicina a loro tanto per descrivercene i lavorii mentali… Ariosto, trattando i cavalieri soprattutto come simboli, non li gratifica quasi mai di motivi, di affetti, se non quelli necessari al funzionamento della trama: quelli di Ariosto sono proprio funzioni proppiane più che personaggi… Tasso invece si crogiola nel far cambiare idea ai personaggi, a documentarne le inconsistenze, gli errori, e piange con loro e con noi nel vederli agire…
Di Erminia, soprattutto, viene sviscerato tutto, e noi sprofondiamo nella sua complessità mentale… e capiamo tutte le manie e le voglie di Armida… soffriamo insieme a Tancredi… e ci incavoliamo insieme ad Argante…
Una focalizzazione sul personaggio quasi identica a quella messa in moto da Virgilio nell’Eneide, ma veicolata in un’unica scena, un unico versante diegetico, complicato e fratto in diversi episodi, ma presentissimo e solido come comune denominatore sempiterno di ogni “scompaginazione” narrativa: la storia della Liberata è una sola, e quella è, stop, e non vi si trovano, quindi, i frammenti di tante altre possibili trame come nel Furioso…
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I “finali” di episodio
Naturalmente, anche Tasso, pur così sicuro di starci raccontando un’unica storia, con tanti personaggi a tutto tondo (al contrario di Ariosto che raccontava mille trame con personaggi in bassorilievo), non può fare a meno di affidarsi al suggerimento là dove ha concesso troppo ai personaggi: gli Amori tra Erminia e Tancredi, e quello tra Armida e Rinaldo, potrebbero facilmente prendere una via diegetica autonoma, e Tasso allora li interrompe lì, tranchant, con “troncamenti” che però funzionano come perfette conclusioni, come se non ci fosse da aggiungere altro: Tasso suggerisce, nel troncamento del finale, che quel finale non potrebbe essere più definitivo! Quello sguardo scambiato, quel motto proferito prima che Tasso cambi repentinamente soggetto, lasciandoci col fiato sospeso, sono invece gesti che raccontano tutto, suggeriscono che in essi si esaurisce tutto il *possibile diegetico* riferibile a quel personaggio… Il “finale” tra Tancredi ed Erminia, e molto di più quello tra Armida e Rinaldo, funzionano come i finali dei capitoli di Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino (Torino, Einaudi, 1979), apparentemente così troncati ma effettivamente assolutamente conclusi, e, ancora di più, somigliano al finale sospirato di Carol di Todd Haynes (2015)… e poco importa sapere che Tasso avrebbe probabilmente tagliato l’episodio finale tra Armida e Rinaldo: la soluzione “provvisoria”, immortalata dalle stampe, è una conclusione spettacolare!
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Dal nebbioso al nitido
La concezione a unica trama di Tasso, che ha rimuginato tanto anche a livello narratologico nei suoi Discorsi sopra l’arte poetica e Discorsi sul poema eroico, vuole una precisa strutturazione della fabula, che vuole prima nebbiosa e poco nitida, poi chiarita solo alla fine, senza alcun disdegno per il colpo di scena: Tancredi si presenta già innamorato, e solo dopo viene raccontato il suo innamoramento; Clorinda prova pietà per Sofronia all’inizio, e solo al Canto XII scopriremo perché; Erminia esce di scena al Canto VI-VII, e solo nel XIX la ritroveremo, con grande sorpresa, nell’esercito raccogliticcio di Emireno…
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Visivo
Infine, rispetto ad Ariosto, Tasso è molto più *visivo*…
Il suo sguardo è davvero degno di un regista di cinema…
Tasso descrive soprattutto quello che i personaggi vedono, e lo descrive con immagini, con sguardi…
Armida che sopraggiunge nel campo cristiano (Canto IV), è bombardata dagli sguardi lubrichi dei cavalieri, con spunti anche sessuali per nulla pudichi… guardando Rinaldo dormiente, al Canto XIV, se ne innamora… e quando, nel Canto XVI, Carlo e Ubaldo la vanno a cercare per “rubarle” l’irretito Rinaldo, Carlo e Ubaldo, rimbecilliti dalla allucinazioni del suo magico castello, la vedono dapprima sfuocata, e non sono sicuri di ciò che guardano: un momento quasi alla Abel Ferrara!
Tancredi vede Clorinda in un meraviglioso locus amoenus silvestre, e quella immagine se la porta dietro sempre, come noi…
Quando a Clorinda (Canto III) slacciano l’elmo in battaglia, facendo volare il suo crine nel vento, Tasso ci descrive la vista sorprendente della donna-guerriera in mezzo alla battaglia quasi con uno stacco dal piano ravvicinato al campo lungo: e noi siamo lì a meravigliarci della vista della chioma bionda nel rugginìo metallico della guerra…
Al Canto XIII, le potenze infernali evocate dal mago Ismeno, maledicono il campo cristiano e la foresta di Saron, con immagini luciferine e visionarie: splendida è la descrizione delle nuvole di fuoco!
Al Canto VI sono stupefacenti le descrizioni della notte!
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Religione e Virgilio
Effettivamente, Tasso, rispetto ad Ariosto, è molto più religioso, e di prediche ne fa tante: dio e gli angeli hanno molto spazio, così come la cattiveria del diavolo/Plutone: la cosa, però, alla fine è anche divertente… meno ilare degli interventi dell’Arcangelo Michele nel Furioso, ma comunque divertente…
e anche Tasso, come tutti, pur convintissimo che la crociata sia stata una vittoria del cristianesimo sugli infedeli (in questo caso i “protestanti”, o anche gli islamici veri, sconfitti a Lepanto nel 1571), fornisce la descrizione dell’atto di vittoria di Goffredo illustrando più il campo dilaniato dalla morte che l’essenza del “trionfo”, indugiando sulla descrizione del sangue che lorda tutto, e concentrandosi parecchio sulla cacofonia della battaglia mortifera: anche Tasso, quindi, nello scontro di civiltà, non tace dei contorni “malsani” della guerra, così come aveva fatto Virgilio in Eneide… e non solo Virgilio: per via del classicismo aristotelista in cui era immerso, Tasso è uno dei più formidabili citatori dei latini, e desume molto anche da Lucano (il Bellum Civile è un imperante ipotesto della Gerusalemme liberata) e Claudiano (un poeta tardo, morto nel 400 d.C., di quella che molti indicano la latinità argentea, che ha avuto un’influenza pazzesca sugli umanisti, Poliziano in primis), sopratutto il primo maestro di atrocità bellico-letterarie…
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Tancredi
Anche perché anche Tasso, nel Canto XII, riflette sul problema dell’uomo di lottare contro se stesso (vedi anche 10 personaggi): l’innamorato Tancredi uccide la sua innamorata: un gesto folle che lo fa riflettere molto amaramente sull’uomo che è causa principale del suo stesso annientamento: il nemico dell’uomo è proprio l’uomo…
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L’ottava “sgarbata”
Galileo Galilei adorò Orlando furioso quasi quanto detestò Gerusalemme liberata…
forse anche perché, nella foga psicologico-visiva, Tasso si sente quasi stretto nell’ottava…
Se Ariosto, come dice Italo Calvino, «nell’ottava ci sta di casa», Tasso valica spesso i confini dell’ultima rima baciata dell’ottava, e riesce raramente a concludere il discorso in quella rima (come invece riesce quasi sempre a fare Ariosto)… questo rende Gerusalemme liberata una lettura più prossima a un romanzo moderno che a un poema… e quindi la rima diventa poco “comprensibile” per un lettore normale… ma queste “discrepanze” dànno a tutto un andamento tensivo, nervoso, che finisce per essere coinvolgente, pompante…
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HIGHLIGHTS
Olindo e Sofronia (Canto II);
L’innamoramento di Tancredi per la visione di Clorinda (Canti I e III);
L’arrivo di Armida nel campo (Canto IV);
Le passioni di Erminia che cerca di raggiungere Tancredi (Canti VI e VII);
Tutto il Canto XII: l’uccisione di Clorinda;
Tutto il Canto XIII: la foresta di Saron;
I canti meravigliosi del recupero di Rinaldo, con descritte avventure fantasiosissime (Canti XIV, XV, XVI), e con la furia e disperazione di Armida che prima supplica poi maledice Rinaldo sulla scorta della Didone virgiliana: strappacuore!
Il Canto XIX, con le fila della guerra che si riannodano, il duello tra Tancredi e Argante, le peripezie di Erminia nell’esercito egiziano…
Il Canto XX, l’ultimo, cacofonico e truce…
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