In Francesco, giullare di dio di Roberto Rossellini (1950), Santa Chiara (Arabella Lemaître) si vede una volta sola, nel terzo “capitolo”: è già boss di una schiera di sorelle (se ne vede almeno tre) e sembra quasi vedere Francesco (Nazario Gerardi) per la prima volta…
Nel Francesco d’Assisi di Liliana Cavani (1966), Ludmila Lvova fa le consuete scene di conversione con Lou Castel…
In Fratello sole, sorella luna di Zeffirelli (1972), Judi Bowker appare diverse volte, sempre fresca di shampoo (nonostante il XIII secolo), sempre illuminata come in uno spot: è lei che ispira un giovane e ancora militaresco Francesco (Graham Faulkner doppiato da Giancarlo Giannini) alla pietà (lui la vede che dà da mangiare ai lebbrosi), insieme i due conversicchiano amabilmente, spiati da Pica e Bernardone, in atteggiamenti carini e “pucci pucci” (purtroppo non sentiamo quello che si dicono), è lei che dà al neo-Francesco impoverellito una delle prime elemosine, e infine lei si presenta a Francesco per farsi fare “monaca”, con le proteste del fatto che sia donna che occupano sì e no una battuta…
Nelle quasi 2h e 40′ del Francesco di Liliana Cavani (1989), accorciate per il mercato internazionale (per esempio il cut tedesco, che credo sia arrivato in USA, dura 1h 40′, e su YouTube c’è un’edizione in inglese di 2h 10′), Helena Bonham Carter (doppiata da Emanuela Rossi) fa invece una gran bella parte… è lei che inizia il racconto del film (strutturato sui ricordi dei frati, intenti a scrivere la vita dell’appena morto Francesco) dicendo di aver avuto Francesco (Mickey Rourke doppiato da Sandro Acerbo) davanti fin dall’infanzia: i due si guardicchiano già da piccolini e poi lei insiste per seguirlo, con attente disamine (la sceneggiatura di Cavani e Roberta Mazzoni è splendida) delle difficoltà delle donne di allora (c’è anche un tentativo di aggressione)… a lei è affidata anche la chiusura del film con il “commento” alle stimmate… In questo secondo Francesco, Cavani, col dialogo, affronta molto bene diverse questioni: Francesco e Chiara parlano molto, suggerendo parecchi sottotesti senza però “confermare” niente… affascinante…
Nel Francesco di Michele Soavi (2002), Amélie Daure ispira Francesco (Raoul Bova) in diverse questioni teologiche: fin da piccini, giocando a stare a testa in giù, affermano che è «il cielo che regge la terra»…
E di San Franceschi e Sante Chiare è pieno il mondo (per esempio il terzo film di Cavani del 2014, dove Chiara è Sara Serraiocco; L’Ami. François d’Assise et ses frères di Renaud Fely e Arnaud Louvet, 2016, con Alba Rohrwacher e tanti e tanti altri)
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Ora arriva Susanna Nicchiarelli a raccontare finalmente la storia dal punto di vista di Chiara e a rovesciare quella logica, comune a tutti i film citati, di tralasciare Chiara là dove la sua vicenda non tange direttamente quella di Francesco: in Nicchiarelli è Francesco a scomparire tutte le volte che non è direttamente implicato nella vita di Chiara…
Nicchiarelli è venuta anche a Firenze a presentare il film, con Margherita Mazzucco, e ha spiegato come il suo intento fosse di autenticismo “gibsoniano” dopo tanti anni di attori doppiati: con Chiara Frugoni, la massima esperta di San Francesco (morta ad aprile 2022, Nicchiarelli dedica il film a lei), ha plasmato un film completamente storico, parlato in umbro (naturalmente il paradigma è la lingua del Cantico delle creature), preciso nella ricostruzione iconografica (i quadri pre-giotteschi sono la base visiva) e musicale (l’Anonima Frottolisti ha fornito speciali rendering anche della musica popolare duecentesca [i film precedenti si fermavano alla musica sacra]: la stessa Nicchiarelli ha ironizzato sul fatto che i gruppi che fanno le musiche dei suoi film hanno nomi bellissimi: un paio sono musicati da Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo!), con, naturalmente, l’idea odierna di finalmente far vedere un film con tutte protagoniste donne…
Mazzucco ha detto che hanno girato in inverno, scalzi, con disagi belli tosti, con Crystel Fournier molto incavolata di poter usare pochissima luce, e con la volontà di ricalcare Uccellacci e uccellini di Pasolini (’66), cercando le stesse location a Tuscania (provincia di Viterbo)…
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Lo stile di Nicchiarelli (insieme abbiamo visto Miss Marx), con i primi piani alla Ozu e la voglia di musical, si sposa bene con la storia di Santa Chiara, nella sempre dichiarata (da tutti) idea di riflettere in quella di San Francesco la comunità hippie sessantottina…
In nessuno dei film precedenti uno spettatore non credente riesce a capire come un sacco di gente possa desiderare di andare a seguire un gruppo di monachelli scalzi al freddo e al gelo campando solo e soltanto di bacche ed elemosine…
anche perché, nella pletora di informazioni contraddittorie su San Francesco tra cui è difficile discernere, in diversi film si dà come accertato che ai monachelli è proibito perfino coltivare la terra…
che qualcuno possa rinunciare a tutto così da vivere come scritto nel Vangelo (testo anch’esso assai contraddittorio, essendo un taglia e cuci di diverse istanze concepito almeno 30 anni dopo la presunta esistenza di Gesù) è un mistero che nessun film dei tanti fatti è riuscito mai a spiegarmi…
Nicchiarelli in qualche modo riesce nell’intendo facendo della comune di Chiara un posto duro di privazioni ma anche con alcune attrattive…
è un rifugio per chi è condannata allo sposalizio forzato, per esempio, dove si impara a tessere, cucinare, dove non ci sono remore nel coltivare e dove si realizza una sorta di holding della pietà girovaga, con apertura perfino allo scambio “commerciale”…
Quella di Chiara diventa, in Nicchiarelli, davvero una comune alla Living Theatre, quasi perfino maoista, dove, ogni tanto, si leggono i sacri testi in volgare (cosa allora proibita) come si leggeva il Libretto rosso o Il capitale…
I testi sacri ispirano a Chiara visioni dove lei si identifica con Santa Scolastica o con la Madonna, in sogni ispirati ai quadri, con i santi con le aureole (come in una piccola scena di State buoni se potete di Gigi Magni, ’83), ottenuti con una grana realistica simile al sobrietà di Storaro e Bertolucci in Little Buddha (’93)…
e da questi sogni, Chiara trae una “forza”, all’inizio inconsapevole, che le fa anche fare dei miracoli…
…ed è quasi la santa miracolosa ad attirare la gente, che giunge a frotte sulla collina di San Pietro a Tuscania (che sta per San Damiano), in sequenze ritmate dalla polifonia duecentesca, con la gente che canta, proprio come un musical (da non trascurare la derivazione dalla Giovane in fiamme di Céline Sciamma, film ottenuto con la stessa volontà di storicismo musical-iconografico, anche lì con la gente che canta musica in latino)…
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Negli altri film, lo scontro tra Francesco e gli altri frati (soprattutto con Elia) sulla configurazione della regola, è centrale, e il problema della regola è affrontato anche da Nicchiarelli…
la regola di Francesco potrà andare bene anche per le monachelle di Chiara?
è qui che Nicchiarelli soprassa molti precedenti con la sua ermeneutica dei personaggi…
tutti gli altri film dimostravano che Francesco non volesse alcuna regola, poi però “la facevano tornare” misteriosamente…
Zeffirelli rende il suo Francesco totalmente idolatrante Innocenzo III, e poi la tronca lì, senza illustrare niente del dibattito interno ai fraticelli poverelli…
Soavi era truce nel fare di Raoul Bova un clochard, che infatti abbandona la comunità regolarizzata…
anche Mickey Rourke, nel Francesco cavaniano dell”89, scappa dalla regola (voluta da un perfidissimo Elia, con il volto sempre arcigno di Stanko Molnar, spalleggiato anche dalla faccia da cattivone numero uno di quegli anni, Tomas Arana, non accreditato) e va sui monti a disperarsi di aver sbagliato tutto, e viene consolato dalle stimmate, che, come un sogno, gli appaiono una mattina dopo una notte fredda… stimmate che invece provano che Francesco è nel giusto!
Il Francesco di Nicchiarelli (Andrea Carpenzano) parla molto con Chiara di ‘sta regola, e quasi fa intendere di arrendersi a un obbligo da cui dipende la vita stessa (come se i papisti potessero uccidere i poverelli “sregolati” in quanto eretici: un pericolo effettivo)…
Chiara sbraita e si incavola (dà proprio le capocciate al muro) al pensiero di adeguarsi a una regola misogina, che impone alle donne la clausura, senza più poter fare la “comune commerciale maoista” e, soprattutto, senza poter andare in nessun posto (proprio Chiara che, come Francesco, avrebbe voluto vedere l’Oriente, prima il Marocco e poi Betlemme)… quando vede che Francesco non fa nulla per ribellarsi si arrabbia tantissimo e quasi tutto il resto del film, Chiara e Francesco la passano ai ferri corti…
Poi però Francesco, ormai quasi cieco, torna da Chiara per vederla un’ultima volta, e le parla del Cantico delle creature…
Leggendo la “lauda”, Chiara capisce che Francesco non combatte la regola misogina per mere questioni di Realpolitik, ma che, nel pensiero, è ancora anarchico sessantottino!
Il Cantico delle creature è per Nicchiarelli quello che per Cavani ’89 sono state le stimmate…
e la cosa ha un corollario bellissimo per Nicchiarelli…
il Francesco ramingo e “animalesco” passeggiante tra i campi e la Chiara maoista che va a curare malati e a fare “miracoli” tra i poveri umbri, alla fine vengono trasfigurati dalla gente, che li rende più grandi di loro stessi…
quando vede che dei bambi lebbrosi la temono, perché lei è santa, e quindi incute timore reverenziale, e anche quando vede che tutte le nuove novizie le fanno i salamelecchi esagerati che farebbero a una badessa, Chiara è delusa: lei avrebbe voluto solo fare la mensa della caritas, vivere come Mao senza proprietà privata, e invece è eretta a leader, a santa, in un contesto sacro regolarizzato e sempre più cattolico (universale, per tutti, e quindi mai “per ciascuno”)…
questa di rendere i santi “vittime” di una loro versione deformata dalla gente e dal cattolicesimo è un’idea assai goduriosa!
ed è interessante anche la conseguente presa di coscienza, del tipo: «e se devo essere santa, allora userò la mia santità come merce di scambio di Realpolitik… sicché quando viene Gregorio IX [uno splendido e ironico Luigi Lo Cascio] a impormi la regola di clausura, io formalmente lo accontento ma poi farò come mi pare, riservando per me le mie idee come Francesco ha fatto col Cantico delle creature: farò i miei miracoli, nella mia comune maoista, e sarò contenta!»
E questa è davvero la “politicizzazione” più efficace, rispetto ai film del passato, dei santi di Assisi: un partito che viene trafitto dalla realtà soldosa, ma che tiene per sé l’idealismo da “realizzare”, per quanto si può, nelle piccole comunità, affidando il messaggio idealista all’arte, alla poesia (di Francesco) e alla rappresentazione (quella di Chiara di fare i miracoli)… con l’implicazione che le idee (la “fede”) non si possono tarpare del tutto con la prevaricazione (vedi l’«inch» di V for Vendetta o i crocifissi con cui si fanno seppellire i noiosissimi monaci evangelizzatori del Giappone nel Silence di Scorsese)
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Questa politicizzazione, nel film, non scorre benissimo, ma la scorrevolezza non è mai stata nello stile di Nicchiarelli…
le prese di coscienza di Chiara si visualizzano sempre con scene musical (ballate, cantate e ritmate in montaggio: anche qui sta la componente performativa dei miracoli chiareschi) che finiscono con Chiara che guarda in macchina, o felice e sorridente o timorosa e insicura, o spaventata e triste, o estatica e transverberata… scene che, molte volte, hanno la forza di “magicizzare l’attimo”, ancora alla Ozu, con stacchetti precisi (spesso dal campo lungo al primo piano, ma anche in verso contrario) che sanno di attimo inconsueto, che subito volano via con un altro stacco pensoso o su fondo nero o su altre immagini contemplative (tipo sulla facciata di San Pietro a Tuscania)… tutte scene molto carine e pregne di senso, ma che potrebbero sempre essere le ultime del film, dopo le quali non ti aspetti più nulla mentre invece il film continua: sicché funzionano quasi come “sospironi finali” di un finale che però non c’è risultando quasi in una semi-frustrazione di falsa partenza… con queste scene, il passo del film sembra quasi rallentare, e quindi Chiara sembra durare molto di più dei suoi 106 minuti…
Ma Chiara di Nicchiarelli ha comunque argomenti postivi che sorpassano i difetti:
è sincero, passionoso (con gli attori tutti umanissimi di emozioni: ovviamente spiccano in questo le esperte Carlotta Natoli e Paola Tiziana Cruciani), con la luce naturale imbrigliata in frame pittorici di citazionismo artistico che sono sicuri, solidi, strutturati in un montaggio omogeneo, con rari movimenti di macchina, che però quando ci sono spaccano…
politicizza meglio che in passato queste figure sante, ed è efficace ad aggiornarne l’umanità ai gusti odierni del musical…
per cui, dé… io sono uscito dal cinema contento!
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