The Fabelmans

Prima di essere accusato di anti-spielberghismo faccio notare che a Spielberg ho dedicato uno special apposta

CineFacts, su Instagram, ha sentenziato che Fabelmans è un immenso atto d’amore per il cinema, e che commuove dall’inizio alla fine…

Questo mi ha impresso un orizzonte di attese esagerato…
pensavo di vedere un film che rendeva permeabile vita e creazione cinematografica, con scene un po’ alla Last Action Hero (di John McTiernan, 1993), un po’ alla Belfast (di Branagh, 2021, già debolino su questo aspetto), un po’ alla Be Kind, Rewind (di Michel Gondry, 2008, che la buttava “in coglionella” ma finiva in modo suggestivo), o che esprimesse “immaginazione” come certa roba di Terry Gilliam (Brazil, ’85; o il Munchausen, ’88; o The Fisher King, ’91), oppure che verbalizzasse il bisogno di cinema, tipo certo metacinema di Woody Allen (Shadows and Fog, ’91; o The Purple Rose of Cairo, ’85)…

Invece Fabelmans è la naturalistica e quasi dickensiana (cioè dettagliatamente descritta come un rendiconto più che narrata) biografia di Spielberg, fatta davvero come una pagina Wikipedia…

Certo: l’atarassia spielberghiana, di cui sempre parliamo, aiuta a vedere il film… i movimenti di macchina a 360° e la ricerca del centro delle inquadrature controluce di Kaminsky spaccano sempre, così come l’ottima direzione dei giovani attori…

Ma il citare direttamente Blow-Up (di Michelangelo Antonioni, 1966) per far vedere quanto il cinema disveli la vita (Sammy che vede il tradimento della madre col migliore amico del padre rivedendo le riprese del week-end al campeggio) non credo sia abbastanza…

anche perché è una sequenza lunga e finisce quasi per “contraddire” l’archetipo:
Antonioni diceva che il cinema NON POTEVA registrare il vero, ma solo creare sensi tutti suoi impossibili da confermare o smentire, esattamente come la realtà stessa, mentre Spielberg sembra affermare l’esatto contrario, cioè che la realtà esiste e che il cinema la registra non solo perfettamente ma anche meglio dell’occhio umano, visto che il tradimento della madre era palese a tutti quanti tranne che al marito e ai figli!

secondariamente perché la tematica del divorzio e del disfacimento della famiglia, Spielberg ce la propina da 40 anni come vulnus della vita, e tutti sapevamo che quel vulnus era della vita sua propria!
Sicché finisce che Fabelmans l’abbiamo tutti un po’ già visto negli altri film di Spielberg: i litigi divorziosi sono già tutti in E.T. (’82) e in Catch Me, If You Can (2002) riferiti ai personaggi, e rivederli adesso riferiti a Spielberg stesso fa un totale effetto di déjà vu

Poi sì, vedere la vita di qualcuno è sempre in un certo modo interessante, e Spielberg sa come raccontare, e a maggior ragione come raccontare la sua vita: e anche se lo fa in maniera dickensiana (cioè, ripeto, realistica e “normale”) non raggiunge un risultato brutto…

  • La rievocazione del «com’era» è realizzata bene, anche dal punto di vista tecnico (in un mondo digitale è difficile capire quanto fare cinema a livello domestico fosse quasi proibitivo tra pellicole, cineprese, attrezzi e moviole: tutta roba costosissima);
  • La delineazione del personaggio del padre è strepitosa (Paul Dano sarebbe quasi da odore di Oscar);
  • La psicologia della madre è messa bene (Michelle Williams idem come sopra, anche se a me è apparsa un po’ strabica tra sguardini estatici da Viva la mamma di Bennato e una stupidera pazzerella sì ben realizzata ma a mio avviso spiegata insommina);
  • Il tratteggio dei ragazzi e dell’antisemitismo californiano anni ’60 è da applauso (Chloe East nel ruolo della cristianissima Monica è simpaticissima);
  • David Lynch a fare John Ford è spassoso (anche se illustra un aneddoto che Spielberg aveva già raccontato dozzine di volte, e quindi la sua “sorpresa” quasi svanisce, anche se è sempre una gioia vedere Lynch che recita);
  • L’ultimo aggiustamento di campo, finalmente davvero metacinematografico, a obbedire ai dettami di Ford, è una chiusa bellissima…

Ma il rovescio della medaglia è che

  • è un film che dura troppo;
  • l’insistenza sul tradimento della mamma come qualcosa di inusitato è assurda (che la mamma va con lo “zio”, ripeto, è evidentissimo);
  • il risolvere l’antisemitismo con un filmetto è davvero dallo Spielberg ultima maniera (Bridge of Spies e The Post), quello che ti racconta le favolette, e quindi che fa un passo molto indietro rispetto a West Side Story;
  • i concertini della mamma al pianoforte non finiscono più;
  • il link tra la vita triste del divorzio e l’immaginazione cinematografica si risolve in un’unica sequenza di catarsi (per la mamma), forse desunta dallo show allestito dentro all’Hamlet di Shakespeare (Hamlet, per verificare la colpevolezza dello zio assassino del padre, mette su uno spettacolo in cui è rievocato l’assassinio, spettacolo che suscita lo sconcerto dello zio comprovandone la colpevolezza): anche questa sequenza non m’è sembrata abbastanza da gridare al miracolo di identità tra cinema e vita (soprattutto se rapportata a veri capolavori come La nuit américaine di Truffaut, ’73 [un film in cui c’è Nathalie Baye, che per Spielberg è stata la mamma di DiCaprio in Catch Me, If You Can: Truffaut, si sa, è il maestro di Spielberg, quasi più di John Ford])…
  • la rievocazione anni ’60 è densa, efficace e carina, ma se rapportata ai 1970s di Licorice Pizza risulta assai perdente…
  • il discorso del nonno matto (Judd Hirsch) ad ammonire Spielberg che l’Arte ti stacca dalla famiglia l’ho trovato totalmente inutile, visto che i drammi tra lavoro e famiglia Spielberg li ha vissuti negli anni ’80 con Amy Irving: in Fabelmans questi drammi potrebbero essere concretizzati nel babbo che chiede a Spielberg di montare il video del campeggio invece di fare il suo filmetto di guerra, ma è roba di una battuta: idem come sopra, non credo che sia abbastanza…
  • la musica di Williams io l’ho udita davvero solo nei titoli finali, e nell’ultima scena col campo che si aggiusta: una musica fin troppo uguale a Out to the Sea da Jaws (’75)…

Per cui, sì, un film carino, davvero da tutta la famiglia

…ma io lo stupefacentissimo film d’amore cinematografico non ce l’ho visto…

in ogni caso commovente Spielberg che ha montato, all’inizio, un suo ringraziamento al pubblico per essere accorso a vedere il suo film più personale in sala e non sul telefonino…

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3 risposte a "The Fabelmans"

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  1. Una recensione davvero interessante, chissà se questo film riuscirà a darmi sensazioni diverse e a trasmettermi quel senso di amore verso il cinema. Lo andrò a vedere certamente.

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