Manfred Honeck con Pärt, Ligeti e Čajkovskij al Maggio Musicale Fiorentino

Il Maggio Musicale Fiorentino è sempre un’avventura!

Questo concerto doveva svolgersi il 20 febbraio 2021, ma il teatro era ancora chiuso per Covid…

doveva dirigerlo il vecchio Christoph von Dohnányi, che aveva impostato il programma:
The Unanswered Question di Charles Ives;
Il Doppelkonzert per flauto e oboe di György Ligeti con Henrik Wiese ai flauti (Ligeti ha previsto, oltre al soprano, anche il flauto contralto e il flauto basso, da far suonare dallo stesso esecutore) e Tobias Vogelmann all’oboe;
La sinfonia n. 6 Patetica di Čajkovskij…

Questo programma aveva un senso perché è il programma che Dohnányi (che è già avanti con gli anni, è nato nel 1929) porta in giro tutte le volte che può…
Il 18 gennaio 2020 Dohnányi aveva proposto questo stesso programma (anche con lo stesso Henrik Wiese ai flauti) alla Elbphilharmonie di Amburgo, e quella performance (filmata ottimamente da Georg Wübbolt) è arrivata anche su YouTube! [Wiese fa anche lo stesso encore con l’oboista Kalev Kuljus: il Cantabile di Wilhelm Friedemann Bach]

e aveva anche un senso perché il Doppelkonzert e la Patetica sono proprio pezzi molto “coltivati” da Dohnányi…
La Patetica, ok, l’ha fatta tante volte e l’ha anche registrata a Cleveland nel 1986 (per Telarc), ma del Doppelkonzert di Ligeti Dohnányi diresse addirittura la prima mondiale nel 1972 con i Berliner Philharmoniker, alla Philharmonie di Berlino durante il Berlin Musikfest, con Lothar Koch all’oboe e Karlheinz Zöller ai flauti… e da allora Dohnányi lo ha riproposto in tutte le salse… e per il Maggio Musicale Fiorentino sarebbe stata la prima esecuzione del Doppelkonzert!

Ma c’è stato il Covid…

Poi il teatro ha riaperto…

il programma è stato per un po’ confermato…

poi, boh, non si sa perché, Dohnányi ha dovuto rinunciare…

al suo posto è arrivato Manfred Honeck (io lo vidi dal vivo a Helsinki),
la Patetica (che era il numero 2 di Symphonies) è stata sostituita dalla sinfonia n. 5 di Čajkovskij (numero 12 di Symphonies),
e la Unanswered Question è diventata il Cantus in memoriam Benjamin Britten di Arvo Pärt…
…è rimasto solo il Doppelkonzert

Nel clima sempre poco carino che si respira nella platea del Teatro del Maggio (tra abbonati arcigni ricconi che guardano dall’alto in basso il personale del teatro, che si rifiutano di sottostare a qualsiasi norma Covid [tengono la mascherina abbassata e non capiscono che il “loro” posto di abbonati deve essere flessibile perché la capienza è ridotta e c’è da mantenere ancora il distanziamento anche tra congiunti, con una pletora di lamentele, di «ma io ho l’abbonamento e io e mia moglie abbiamo il posto accanto!!!, voi giovinastri del personale siete dei plebei» e altre idiozie che si ripetono tutte le sere: è roba da far evocare perfino un genocidio], e che vanno a teatro per rivedersi con amici e parenti senza accorgersi neanche di cosa viene suonato), con Alexander Pereira ad aggirarsi furtivo, con l’occhio torvo (anche lui beatamente senza mascherina), per tutta la platea, onde ingraziarsi o gli stessi solisti in pausa, o questo o quel miliardario per ottenere finanziamenti privati (notare bene che nella platea del Maggio non c’è mai traccia di qualcuno che abbia meno di 30 anni, e se si vede un 20enne o un 15enne è un 15enne o un 20enne che ha tutta l’aria di non aver mai bisogno di lavorare nella vita), il concerto è comunque stato divertentissimo!

Manfred Honeck è del ’58, ed è “in giro” da tanto (è coetaneo di Tim Burton!)…
Attualmente ha un unico posto fisso a Pittsburgh, ma nel tempo ne ha girati tanti di posti (è stato capo dell’opera di Stoccarda, dell’opera di Zurigo, della Radio Svedese, ospite al Mitteldeutscher Rundfunk di Lipsia, alla Oslo Filharmonien e alla Česká Filharmonie), ed è uno che è ancora una star girovaga, che va qua e là quasi a caccia di orchestre (molto attivo a Santa Cecilia a Roma; alla Hessischer Rundfunk a Francoforte; e io, ripeto, l’ho visto a Helsinki con la Radion Sinfoniaorkesteri)…
È uno bello importante: quando c’è da fare documentari sui grandi direttori del passato chiamano lui per pareri storico-tecnici (vedi un doc su Carlos Kleiber, per esempio, in cui Honeck fa una bellissima disamina del gesto di Kleiber), e siccome le sue performance sono spesso filmate (dei suoi concerti a Santa Cecilia esistono quasi sempre le riprese della RAI, e di quelli a Francoforte ci sono i video interni della Hessischer Rundfunk su YouTube) è uno che può dirsi al top
Non ha registrato tanto in studio, ma lo ha fatto con risultati di tutto rispetto: per esempio i pezzi per violino di Dvořák con Anne-Sophie Mutter e i Berliner Philharmoniker per la DGG (anche se è un disco, inciso alla Meistersaal di Berlino a giugno 2013, è susseguente a una performance alla Philharmonie col pubblico a febbraio 2013); molti pezzi di Čajkovskij, Mahler, Strauss, Barber, Šostakovič, Dvořák, Janáček e Bruckner a Pittsburgh; diversi concerti per violino con Frank Peter Zimmermann e la Radio Svedese (di Čajkovskij nel 2001, di Britten nel 2004, di Szymanowski nel 2006-2007); in gioventù (nell”87) ha inciso diversi pezzi di Bruch per Naxos a Budapest; e si nota un guilty pleasure per Walter Braunfels di cui ha inciso (da live), a Stoccolma, Jeanne d’Arc nel 2001 con Decca e il Te Deum nel 2004 con Orfeo (vere e proprie rarità)…

Di recente, aveva già diretto il Maggio in un concerto estivo al Teatro Romano di Roselle…

Vederlo ha reso i fiorentini ricconi molto felici: lo hanno applaudito con uno scroscio immenso già alla sua prima apparizione, prima dell’esecuzione di qualsiasi nota… quando succede questo al Maggio significa che il pubblico è già “innamorato” a priori

Honeck ha raggiunto quel grado di expertise tale per cui, in lui, oramai, tecnicismo e artisticità sono gemelli… è di quelli che ha sia il gesto tecnico del solfeggiatore collettivo, cioè del vigile urbano dell’orchestra, e, al contempo, con quel gesto tecnico prescrive letture tutte interpretate, personalissime, ermeneuticamente interessantissime…

Il pezzo di Arvo Pärt per Britten dura poco più di 5 minuti, e Honeck ha garantito l’intensità mistico-attonita che gli ci vuole…

Ligeti è un pezzo di quelli magari molto difficili di tecnica ma anche abbastanza neutri dal punto di vista “intimo” o “interpretativo”… al primo ascolto non regala granché a parte la sensazione di essere su un terreno familiare che abbiamo tutti già sentito nei film di Kubrick (Ligeti è di gran lunga il compositore più usato dal regista)…
Quella di Ligeti è una musica tutta da leggere (più che da ascoltare) per individuare le cellule ripetute, i microintervalli intrapresi, e per vedere la drammaturgia dei cambi di strumento del flautista, e anche per discernere la fitta trama di timbri “contigui”, poiché è un concerto per flauti e oboe solisti accompagnati da uno stuolo di altri flauti (sì semplici flauti soprani ma tutti con l’obbligo di ottavino) e di altri oboi, con solo viole, violoncelli e contrabbassi a “diversificare” le voci: e quando le altre voci arrivano c’è tutto un senso drammaturgico che, al primo ascolto, sfugge un po’ parecchio…
quello di Ligeti è un pezzo molto peculiare, che non somiglia a niente, e che richiede quindi uno sforzo grosso per “entrare” nei suoi circa 15 minuti di musica…
In questo pezzo, del tutto ereditato da Dohnányi, Honeck è stato più tecnico, ma la natura della musica di Ligeti è tale che, anche se la si tratta “oggettivamente”, alla “Stravinskij freddo” (e certe microcellule, Ligeti le ha un po’ plasmate da quelle del Sacre di Stravinskij), non sfigura per niente!

Il pezzo forte è stata la Quinta di Čajkovskij, il pezzettone romanticone a tutti noto, che ricalibra le aspettative degli attempati ascoltatori dopo tanto “contemporaneismo” (e la cosa fa ridere: considerare “contemporanei” due pezzi scritti quasi 50 anni fa!), e che si attendeva perché quella Quinta di Čajkovskij è un cavallo di battaglia cavalcato a strombattuto da Honeck dappertutto!

E la cosa stupenda è stata che Honeck interpreta la Quinta di Čajkovskij per niente come qualcosa di tardo-romantico ottocentesco, Honeck intente la Quinta di Čajkovskij, appunto come qualcosa di CONTEMPORANEO!, come se fosse qualcosa di futurista, di astratto, piena di punte e picchi pungenti e zigzaganti, come le forme squadrate di Kandinskij o come i caleidoscopi romboidali di Léger!

Al primo movimento Honeck ha impresso un andamento spedito e veloce, ma non così di corsa da sacrificare il sentimento e l’afflato affettuoso, che è stato garantito proprio incastonandolo nel presto dell’insieme: ne nasceva un contrasto evidente, sbalzato, nerboruto e forte… un forte che è stato anche del tutto musicale poiché Honeck è riuscito a guidare il Maggio in fragorosità sonore davvero fortissime che anche quando apparentemente avevano raggiunto il massimo della sonorità riuscivano anche ad andare oltre ed essere ancora più forti! Un miracolo di “forza” e di intensità che quasi tonitruava, in un primo movimento seghettato, puntuto di scontri sonori e cangianza intensiva!

Un complesso di intense volute che ha abbracciato anche i movimenti centrali (il primo corno del Maggio, molto spesso spreciso, pur con un timbro per nulla accalorato, ha risolto il suo struggente assolo all’inizio del secondo movimento davvero con dolcezza infinita: si sentiva che ci credeva a mille!) e che si è riproposto nello sfarzoso ultimo movimento, in cui Honeck ha lavorato quasi di espressionismo: ha esagerato le architetture musicali, in una spinta interpretativa davvero alla Schiele e alla Kokoschka: tutto era “di più”: più forte, più veloce, più cattivo, più contrastato, più ardito e più virtuosistico!
Un modo di fare quasi alla Currentzis, che esulava dall’eccesso sgradevole in cui Curretzis spesso incappa proprio perché l’ultimo movimento era sentito come summa di tutti gli altri, come ultimo rush di corsa, l’ultimo sprint che butta fuori tutto già felice per la vittoria (la vittoria che è il ripresentarsi del motto musicale, una marcetta onnipresente nei quattro movimenti spesso con numinosi modi minori, che si trasforma improvvisamente in un contento inno in modo maggiore!), e quindi aveva una “scopo”, una “ragione”, invece di essere puro edonismo interpretativo!

Per Honeck, la Quinta di Čajkovskij è quindi quasi una gara di corsa, una staffetta, con un primo movimento in cui si butta fuori tutto quel che si può per avvantaggiarsi, movimenti centrali che “contengono” e poi con un’ultima frazione di rincorsa vertiginosa condotta però con gioia perché si è già vinto! il tutto ripreso in video da René Claire o Friedrich Wilhelm Murnau!
Una figata!

Honeck è stato adorato dal Maggio per questa interpretazione, con scrosci di applausi che si hanno solo per Mehta, Gatti o Conlon, e tutto quanto è stato felicissimo, pur con gli attacchi del Maggio che, soprattutto nel primo movimento, non sono stati quasi mai “insieme” e “precisi” come quelli di altre grandi orchestre…

12 risposte a "Manfred Honeck con Pärt, Ligeti e Čajkovskij al Maggio Musicale Fiorentino"

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  1. A quanto pare il tempo passa ma alcune dinamiche no … leggere di alcuni personaggi che hai descritto mi ha fatto pensare un po’ a quando gli applausi importanti erano quelli del loggione.
    Comunque alla fine si può dire che “tutto è bene ciò che finisce bene?!”

  2. Posso andare OT? Qual è la tua opinione su Bosso, al netto della spettacolarizzazione del suo calvario e dell’ammirazione per la sua evidente passione e devozione per la Musica?

    1. Devo confessare che lo conosco molto poco… ho ascoltato pochissime sue composizioni, nelle quali ho sentito un affascinantissimo ma tutto sommato “generico” minimalismo “ultima maniera” (post Adams e Pärt)…
      Quando parlava di politica lo adoravo, con il suo “socialismo illuminato”, ma quando parlava di musica mi cadeva in tutti i cliché del compositore quasi snob, che prende in giro chiunque non riconosca il re minore al primo ascolto e anche chiunque stia provando a riconoscerlo con tutto l’impegno… una “intransigenza” tecnica che poi si applicava, paradossalmente, a uno stile divulgativo anch’esso abbastanza “generico”: nei suoi special televisivi su Beethoven e Čajkovskij (gli unici che ho visto) ho visto molto divertimento, una comunicativa ottima e forse necessaria per recare la musica classica nei gusti dei più giovani, ma dai messaggi totalmente “bignami”, sì carini, ma forse non proprio adatti a dire che Bosso, nella comunicazione della musica classica in TV, sia andato davvero al di là di altri…
      L’odiato Baricco, per esempio, negli anni 1990s, con le sue analisi sì all’acqua di rose e anch’esse “bignami” ma comunque analisi più “tecniche” e più aperte alla multidisciplinarità anche quando arrivassero a conclusioni estetiche del tutto opinabili (là dove Bosso, invece, esteticamente era ineccepibile), era latore, tutto sommato, di un “modo” divulgativo che mi piaceva di più…
      per capirsi, dopo la “Patetica” fatta in modo “normale” da Bosso non è che abbia sentito tutta ‘sta curiosità di ascoltare altre sinfonie (nonostante le splendide metafore musicali), mentre una volta sentito Baricco dopo il finale del Guillaume Tell 30 anni fa avevo tantissima voglia di sentire altre opere, proprio perché «non parlava solo di musica» ma la connetteva con tanto altro (e nonostante Baricco poi concludesse alla cacchio magari dicendo che Beethoven era un cretino, come ha detto spesso)

      1. Eppure da numerose dichiarazioni sue ho percepito un amore enorme x la musica e un rispetto assoluto e “democratico” x il pubblico… “Bisogna far festa a chi ascolta x prima volta Cajkovski e resta estasiato e vuole saperne di piu, o che applaude fuori tempo”

      2. Ma ci sta eh: io magari sono troppo severo…
        Da Zoro prese molto in giro la povera Valentina Del Re perché stonicchiava al violino roba provata in pochi minuti… proprio col piglio del «più musicista» di altri che vedo spesso nelle scuole di musica che frequento…
        mi faceva l’effetto (forse se n’è già parlato) di Bruno Maderna che diceva che comunque David Bowie fa schifo perché non fa musica classica…
        mah…
        però magari sto solo parlando di gusto…

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