Havis Amanda (impressioni di Helsinki)

Quando, qui nei paesi mediterranei, si parla dei paesi nordici, le prime cose che si dicono è: «sì, belli, ma la gente ci si suicida»

Non lo so: in effetti non deve essere facile stare nella campagna finlandese: quello che ho visto sul treno dall’aeroporto a Helsinki è stata una sequela di centri commerciali isolatissimi, a ridosso dei quali si accumulavano abitazioni, parcheggi e stazioni ferroviarie molto poco disgiungibili dal centro commerciale stesso… Låt den rätte komma in, il film del vampirello svedese (regia Tomas Alfredson, 2008), mostra bene quell’isolatezza… un paesaggio che in effetti non sembrava accoglientissimo, anche se era meravigliosamente verde, ricco di foreste splendide… e il viaggio da Vantaa a Helsinki dura solo 35 minuti… chissà nella Finlandia profonda: la tristezza potrebbe essere tanta… e la tristezza traspare dai film di Aki Kaurismäki… ma chi è “invernale” potrebbe anche scoprirci ambienti splendidi e scorci innevati memorabili…

Il freddo, certo, potrebbe corrompere diverse allegrie, così come il vento: anche nel nostro piccolo di Halloween abbiamo trovato un vento fortissimo, che abbassava di molto la temperatura ufficiale di 3 gradi: la percepita arrivava anche a -3: la cosa potrà certamente rivelarsi poco abitabile quando il vento abbassa da -10 a -20 o, poi, da -20 a -30…

quindi, che si suicidino, sarà senz’altro un problema immenso…

un problema che io, da mero turista ottobrino-novembrino, non ho invece minimamente percepito…

per me, evidentemente nordico dentro, Helsinki è stato il vissuto di una da tanto sognata città ideale: la realizzazione di un sogno…

ho trovato una città verdissima, amichevole, ospitale, aperta a tutti quanti, supersonicamente ambientalista, musicale, artistica… tutto si ricicla, tutto è online senza cartaceo, tutto è addirittura a portata di cammino (il centro storico è minuscolo: in solo 35 minuti passeggi dall’imbarcadero di Kauppatori al Monumento di Sibelius), in tutti i posti cibari c’è la proposta ambientalista-vegana… un vero paradiso…

…e un paradiso di tutta una serie di “unicità”, artistiche e antropologiche, musicali e culturali…

vedere Helsinki è immergersi nelle complicatezze della Storia, vedere l’”inconscio storico” al lavoro, l’inconscio storico farsi città, farsi palazzi, farsi strade, vie e piazze…

La Finlandia è sempre stata mera provincia svedese, e poi è stata governatorato russo… ancora oggi vige un bilinguismo atroce con lo svedese: tutte le indicazioni sono in finnico e in svedese…

Questo bilinguismo oggi curioso, in passato è stato il segno dell’occupazione, o della “marginalizzazione” del finnico…

l’élite culturale era di lingua svedese… il difficile finlandese, una simpatica baraonda di semplice lingua agglutinante, è stato ridotto a gergo popolare fino alla metà dell’Ottocento (1830s), quando la Finlandia si è stranamente “svegliata”… quando la Finlandia ha voluto essere “nazione”…

e per esserlo si è “inventata” nazione… quella lingua popolana ha cercato di darsi un tono aulico, poetico, autoriale…

la voglia di essere finlandesi in Finlandia affiorò quasi contemporaneamente alla voglia di essere italiani in Italia (nonché quasi coeva, di poco successiva, alla voglia indipendentista greca sui turchi e alle iniziative liberatrici di Simón Bolívar in Sud America)… ma l’Italia (come la Grecia e come le popolazioni dell’America latina) in qualche modo già c’era, da secoli… nella lingua di Dante come in quella di Ariosto, che Manzoni (tra il 1827 e il 1840) non faceva che riprendere, l’«idea» di Italia, con cultura e popolo anche se non con stato, c’era a mille…

in Finlandia non c’era nulla: alcune fiabe, poche poesie… sparse, mai scritte, o forse davvero mai esistite…

però in Finlandia c’era tanta fantasia… forse più fantasia che in Italia… la fantasia del Volk, del popolo, che in quegli anni post-Romantici, in quegli anni post-Grimm, negli anni di Afanas’ev (vedi A mille ce n’è…), non perdeva certo tempo a distinguere tra letterario e popolare, tra inventato e vero, tra antropologico e poetico… con questa fantasia indistinta, accumulante e caleidoscopica, i finlandesi “colti”, moltissimi ancora di madre lingua svedese, si inventarono la Finlandia… se la inventarono per non essere più svedesi, per non essere russi (dal 1809 al 1917 la Finlandia fu un governatorato dell’impero dello zar russo), per indipendenza culturale… forse…

o forse se la inventarono per pura voglia di creazione

le armi della creazione finlandese erano armi note…

  • cento anni prima (1760s) James Macpherson si inventò le poesie di un certo Ossian e le spacciò per ritrovamenti antichissimi di poesie scozzesi: ci cascò tutta l’Europa romantica (quasi solo Giacomo Leopardi si rifiutò di abbandonare Omero per Ossian)… Macpherson rispondeva a quella voglia tutta Sturm und Drang di coesione tra popolo e nazione, di identità tra territorio e legge, di quell’unione tra lingua e società… era roba inventata, ma era roba sentita come necessaria per sentirsi parte di qualche cosa, per sentirsi “scozzesi”; era roba importante per farsi/inventarsi popolo; importante come il kilt, spacciato per tradizione millenaria, ma inventato solo nel ‘600…
  • millenni prima l’imperatore Augusto incaricò il poeta Virgilio di “creare” l’impero romano agglomerando in un poema propagandistico tutte le numerose leggende sulla nascita di Roma che circolavano allora, a cui si doveva dare una sferzata finalistica e deterministica in ragione dell’impero, come se quelle origini mitiche e mai coerenti fossero invece delle specifiche cause dell’effetto della venuta di Augusto… impresa non facile, che in qualche modo uccise il povero Virgilio, che faticò non poco a dare forma all’informe del mito troiano… [vedi Eneide: quale edizione scegliere]

Nella Finlandia del 1830s forse ancora non sapevano che Macpherson aveva “falsificato” la poesia di Ossian; e non sapevano che Eric Hobsbawm un giorno avrebbe analizzato storicamente L’invenzione della tradizione [vedi anche cenni al meccanismo nella discussione sul Don Chisciotte di Gilliam]; e quasi di sicuro, al contrario di Virgilio (che ne aveva troppo), non avevano granché materiale da agglomerare per propugnare la propaganda finalistica di “arrivo alla patria e alla nazione attraverso molte concause folkloriche”: cosa vuoi agglomerare se le concause folkloriche non ci sono?

In Finlandia non c’era nemmeno una vera élite culturale, visto che quella élite culturale che tanto stava progettando la Finlandia era una élite, ripeto, che parlava svedese!

In Finlandia non avevano letterati di lingua autoctona, non avevano un Andersen come in Danimarca, né un Ibsen come in Norvegia (35 anni dopo, nel 1876, Ibsen stesso fece un’operazione simile ai finlandesi con il Peer Gynt)…

come fare?

finì che il gruppo di parlanti svedesi che vagheggiava la Finlandia non fece altro che INVENTARSI di sana pianta un sistema mitologico nordico-finnico con le armi di Ossian e Virgilio, condite con lo spirito Volksmärchen dei Grimm e di Afanas’ev (la cui ultima versione delle Fiabe russe è però di quasi 40 anni dopo)… facendo questo quasi anticiparono i risultati di Richard Wagner (il Ring viene rappresentato nel 1876 anche se sussisteva già nei 1850s) e di John R. R. Tolkien (lo Hobbit è del 1937 e The Lord of the Rings viene pubblicato nei 1950s), e dimostrarono una invidiabile volontà di potenza e una spavalderia da ammirare…

Il sistema mitologico finnico venne alla fine messo su carta da un James Macpheron finnico e, come Ossian, spacciato per antropologico, per vera “tradizione” determinante la situazione attuale di “indipendenza finlandese”…

Il Macpherson fu Elias Lönnrot e la sua Eneide, il suo Ossian, fu il Kalevala, la cui prima runa esce nel 1835 (la forma “standard” la trovò nel 1849, guarda caso dopo le Rivoluzioni Borghesi europee)…

L’élite riuscì a proporre il Kalevala alla popolazione esattamente come Augusto riuscì a “imporre” l’Eneide come poema nazionale…

L’invenzione della tradizione, con il Kalevala, ha funzionato in maniera molto più solerte di quanto avesse funzionato con Ossian, poiché non creò una semplice questione di stile anti-classicista su cui discutere in salotti letterari, ma ingenerò una nazione e uno stato veri ed effettivi… cioè: se la gente canticchiava Ossian invece di Omero, in fin dei conti, a parte a pittori, scultori, scrittori e signorine bene dell’alta società, non fregò granché nulla a nessuno; invece in Finlandia il Kalevala creò davvero gente “finlandese”, che parlava finlandese e che si comportava come i personaggi del Kalevala, fieramente, grezzamente, ma con un senso della giustizia ferreo e una voglia di autodeterminazione formidabile: gente che voleva indipendenza, lingua ufficiale garantita, e leggi proprie conformi ai “miti” del Kalevala

Ci vollero solo pochi decenni perché lo zar (in questo caso Nicola II all’inizio del ‘900), che tecnicamente ancora governava la Finlandia, reagisse con una russificazione che portò perfino a dei morti…

Il Kalevala è tuttora importante per capire Helsinki, poiché tutta la Helsinki “storica” è stata costruita nel periodo tra il 1830 e il tentativo di russificazione del 1900-1917…

Narra prevalentemente di due stirpi sorelle ma in guerra (forse la Svezia e la Finlandia, o forse la Finlandia e la Russia) popolate da fazioni di personaggi strampalati che non fanno granché, ma quello che fanno è “comportarsi come esempio”, come paradigmi di situazioni e di risoluzioni: si muovono e agiscono un po’ come nel vangelo, più per “predica” che per azione, più per exemplum che per factum… il Kalevala è pieno di sotterfugi e scheming per il possesso di un manufatto magico (il Sampo) e ricorda molto il Silmarillion, che Tolkien scrisse proprio su imitazione del Kalevala a partire dai primi anni 1920s… durante le guerre e durante i canti di creazione del mondo nei modi più consoni alla terra finnica (ovviamente figlia delle personificazioni dell’aria e del mare) non si fa altro che scrivere canzoni da suonare, intagliare strumenti musicali, dire proverbi, allegorizzare le nascite di pesca, pastorizia e falegnameria, fare le immancabili gare di canto (vero topos della mitologia a nord delle alpi), e ogni tanto innamorarsi o morire e rinascere come da grande tradizione primaverile… il divino Väinämöinen, l’irruente Kullervo, l’infido Joukahainen e la strepitosa Aino, l'”unica” (aino tytti vuol dire «unica figlia»), che come Dafne preferisce trasformarsi in “natura” (in questo caso in un salmone invece che in un albero) invece di concedersi a un uomo che non ama, sono ancora oggi “tipi” a cui relazionarsi a Helsinki: sono dipinti e raffigurati in molti edifici, su molti telamoni di palazzo, e risuonano nei nomi propri di molte persone…

Un chiarimento: le storie del Kalevala sembrano molto crudeli e sanguigne, e negli anni 1920s furono ovviamente “rubate” dai fascisti (come Topolino, Giuseppe Verdi, Ezra Pound, Wagner, Oswald Spengler e lo stesso Tolkien), e ancora oggi le traduzioni italiane del Kalevala sono promosse da case editrici post-fasciste (con Julius Evola sempre evocato in prefazione o nel nome della collana): ti vergogni quasi a comprarle, ma leggendo bene ti accorgi che il loro crudelismo e la loro apparente barbarie sono tali perché parlano la lingua del nazionalismo ottocentesco, ma, esattamente come l’Eneide, non tacciono del rovescio della medaglia della Storia, non tacciono della tragedia dell’eroismo né della “morte” di cui si nutre la guerra… come al solito i fascisti si affezionano a cose a caso senza capirle veramente: mica per nulla si appropriano facilmente anche di Mao Zedong e Che Guevara solo perché hanno un cervello settato per riconoscere poche parole e sempre quelle: patria, onore, morte, libertà: basta ci siano questi termini e i fasci ci si buttano a capo fitto senza capire né contesti né panorami socio-culturali… così hanno fatto col Kalevala che è “fascista” solo in quanto parlante di autodeterminazione. Come ci insegna Chuck Palahniuk in Fight Club e come si sa bene da Wilhelm Reich, Bartók e Giorgio Galli, nazismo e fascismo sono puerili tentativi di fare uno stato “fiabesco” basato sui gangli psicologici… sono cose che ha raccontato benissimo Hideaki Anno (vedi Shin Godzilla) oltre che il già citato Fight Club: chi si autodetermina si “instronzisce” tanto da non ammettere niente se non se stesso nell’orizzonte del possibile: le persone intelligenti fanno questo quel tanto che basta per capirsi, per crescere e quindi per riaccettare il mondo e la vita: i fascisti, in quanto non intelligenti, si fermano all’instronzimento para-infantile e a questo riducono tutto quello che vedono (vedi quello che osserva Jean Piaget)… ed ecco perché ritengono “fascio” tutto ciò che, in effetti, è “fiaba”…

mi spiego: la fiaba servirebbe a innescare un processo di autocoscienza che dall’instronzimento arrivi alla civiltà (vedi quanto dice Bruno Bettelheim)… ma facendo questo per forza di cose rappresenta molto bene l’instronzimento (l’imbestiamento: vedi, per esempio, Amore e Psiche al centro delle Metamorfosi di Apuleio): e il fascio si ferma lì: siccome rappresenta l’instronzimento pensa che la fiaba sia instronzimento! ed ecco perché instronzisce tutto, da Verdi al Kalevala! E instronzisce tutto perché, allo stadio si sviluppo mentale non maturo in cui si ritrova, il fascio è rimasto alla fase instronzante, e data la mancanza di strumenti intellettuali e affettivi, non riesce a uscirne…

Tornando a bomba: siccome la gente credeva nel Kalevala costruì Helsinki quasi come una “illustrazione architettonica” del Kalevala

Lo stile di Helsinki è tutto preso da quel periodo, da quel poema di élite svedese che si inventa la Finlandia, e lo zoccolo duro della città è costruito dal 1830 al 1917…

È una città tutta fatta di una Art Nouveau che non vedi in altri posti: una Art Nouveau massiccia, granitica, poderosa, che non ha conosciuto le decorazioni scintillanti ma inutili della Secession e si è evoluta in un lussuoso espressionismo “deciso e marcato” che non ha accolto neppure l’anti-ornamento di Adolf Loos!

La magia dello stile di Helsinki è quella di “contenere” il decorativo nello strutturale, di riuscire ad essere sia ornamentale sia funzionale… I tanti telamoni antropomorfi sono sì decorazioni ma anche colonne portanti, e le squadrature dei palazzi (anche di quelli più nuovi di Alvar Aalto, che io pensavo di trovare più numerosi ma che invece sono quasi rari nell’area centrale della città) sono sia estetiche sia utilitaristiche (per riflessione di luce e per utilità interne)…

La stazione ferroviaria, con i suoi grandi saloni e le sue decorazioni antropomorfiche in pietra, sembra dare il tono al resto della città: un tono fatto di quella Art Nouveau unica, solitaria, peculiare… Helsinki, come la musica di Jean Sibelius e i quadri Akseli Gallen-Kallela (conservati nel museo centrale dirimpetto alla stazione, l’Ateneum) è insieme triste e anelante, titanica e disperante, è insieme città e natura, civiltà e mare, insieme città e insieme parco… è sia città sia campagna, sia mare sia bosco, sia palazzo sia laguna, sia casa popolare sia parco… vive di giardini e di lagunette del Baltico, che formano quasi dei laghi tra i parchi boscosi cittadini…

Tutto questo spettacolo è infarcito e costellato, oltre che dai capolavori di architettura che si diceva, anche di statue e fontane primo novecentesche del tutto adorabili, che popolano i giardini con coinvolgente bellezza… per esempio Havis Amanda, la fanciulla marittima che va sulla terra ma che si volta languida a salutare il suo Baltico, in cima alla fontana sul molo di Kaupattori, è una delle più belle sculture che abbia mai visto: corposa, volumetrica, pneumatica (come intende questa parola Aldous Huxley in Brave New World), è sia calligraficamente policletea sia mastodonticamente sensuale, avvenente, viva, sessuale: proprio la vorresti lì a fare l’amore con te: è una gioia!

molto carino, anche se molto meno sensuale ovviamente, anche l’alce Nuori hirvi, nel parco adiacente ai binari est della stazione…

Havis Amanda non è l’unica potenza gioiosa di Helsinki:

il variegato e vasto lungo-mare sui molti anfratti del Baltico produce scorci al di là dell’immaginario;

la bianchezza della cattedrale evangelica e il rossore di quella ortodossa generano un’impressione di solidità e di sicurezza;

i vialoni super-signorili sono il contesto urbano di molti centri commerciali che non sembrano affatto centri commerciali: sono in locali storici e quasi non li noti (una cosa simile accade a Lipsia);

la musica classica risuona a Helsinki in ogni modo: Sibelius si sente, si avverte, sia perché lo stile della città è plasmato sulla sua arte sia perché c’è il bellissimo monumento a Töölö, fatto di stilizzate canne d’organo che sembrano fuoriuscire dalla testa di Sibelius, voltata verso il meraviglioso scorcio del Baltico contornato da alberi “figurativi”, da conifere scenografate ma mai “stilizzate” né “finte”;

la sala da concerto del Musiikkitalo è una meraviglia di acustica, di comodità visuale, di funzionalità ricreativo culturale: l’annesso punto di ristoro è il top e l’annesso bookshop, Fuga, non è affatto un semplice bookshop è proprio una libreria musicale aperta anche al di fuori dell’orario dei concerti, e non ci compri ninnoletti o libretti per turisti, ci compri proprio le edizioni musicali di performance, le urtext, le full score, i metodi, le monografie: porco boja! è stata solo una profonda forza interiore che non mi ci ha fatto lasciare centinaia e centinaia di euro in partiturine;

al Musiikkitalo abbiamo sentito la Radion Sinfoniaorkesteri (l’orchestra della radio finlandese), diretta da Manfred Honeck, impegnata nella Suite sui versi di Michelangelo di Šostakovič (il cantante era un bellissimo Mathias Goerne) e nella Sinfonia Titano di Mahler (numero 18 di Symphonies): un’orchestra impeccabile, supportata dall’acustica implacabile, forse un po’ troppo “professionale” per essere artistica, ma davvero egregia (a parte la poca prontezza dei corni, completamente stonati per tutto il primo movimento del Titano);

la gente parla un inglese impeccabile e ha una fantasmagorica modalità di cortesia che ti fa sentire il benvenuto immediatamente (io non ho visto per niente la paura dello straniero che Kaurismäki registra nell’Altro volto della speranza: ho visto solo la parte “buona” dei personaggi di quel film);

i quartieri un po’ più decentrati (Kamppi e lo stesso Töölö) non rinunciano allo stile di Helsinki, e sono forse meno signorili, un po’ più bui, sicuramente più “vecchi” (a Töölö il teatro dell’opera sente tutti i suoi 30 anni e l’ingresso del complesso olimpico, dove però non sono arrivato, non brilla per avanguardia), ma hanno ugualmente i loro parchi, i loro palazzoni goduriosi (il piccolo ospedale di Töölö è splendido), e il loro accesso al Baltico stupendo;

il parco delle Esperidi, lo Hesperian Puisto, subito dietro al lato ovest della stazione e dove si arriva dalla porta sul retro del Musiikkitalo, è quello dalla scenografia alberata e acquatica più sconvolgente: gli scorci tra la lagunetta baltica (lo specchio d’acqua di Töölönlahti), il bosco, le rocce (molta Helsinki, anche lo stesso duomo ortodosso, è poggiata su pietroni praticabili massicci e bellissimi), le statue dei valenti finnici, i posti di “divertimento” (fontanelle, roba per fitness, playground) e i vari pennuti plananti nell’acqua (paperotte, gabbianelli, poiane ecc) sono davvero da stropicciarsi gli occhi!;

splendido anche, ovviamente, il Sibeliuksen Puisto, il Kaisaniemen Puisto (speculare allo Hesperian, dal lato est della stazione), pieno di fontane, campi sportivi e giardini botanici, e l’Esplanadin Puisto, quello più “cittadino”, signorile e classico…;

la “vita vera” l’ho vista in quella sorta di “via Tornabuoni” helsinkese dirimpetto alla stazione formata dall’Aleksanterinkatu e le vie che lo tagliano ortogonalmente: sono vie popolatissime e piene di tutto; ma anche la parallela Pohjoisesplanadi non scherza in quanto a “ricchezza”;

i tram sono frequenti, capillari, funzionali e quasi belli: la app del trasporto metropolitano HSL ti fa vedere orari e ti fa comprare il biglietto… data la grande presenza di linee percorrenti il medesimo tratto è più facile usare il “calcola percorso” piuttosto che guardare la cartina (che usa il molto grazioso OpenStreetMap invece di Google Maps)… il biglietto è a tempo, 80 minuti, e costa 2€ e 20…

Ed ecco il problema, la cosa che purtroppo c’è da osservare è che Helsinki è carissimissima… la cosa non si avverte granché nel cibo, date le molte soluzioni di quello che possiamo definire street food (burgherie e paninerie offrono soluzioni di menu che non sono carissime e, soprattutto, sono veloci), ma si avverte nelle bottiglie d’acqua (nelle burgherie che vi dicevo, per fortuna, l’acqua del rubinetto, buonissima, è sempre gratuita e la puoi spillare da appositi rubinetti come, quando e tutte le volte che ti pare), nelle bibite, nei succhi di frutta numerosi, nei caffé, nei dolci (questi ultimi possono essere trovati a profusione nella catena Espresso House, diffusissima, ce n’è uno quasi ogni 50 metri: è lo Starbucks locale, simile anche al Coffee Fellows tedesco): tutta roba che costa uno sbotto… una soluzione buona per risparmiare sono i supermercati (per esempio la catena K) nei quali vi sono delle sorte di buffet: entri, prendi la ciotolina e la riempi di quello che vuoi, dall’insalata alla carne ai formaggi, la pesi come in Italia e la bilancia ti fornisce lo scontrino che il cassiere batte: paghi e mangi… e hai speso non poco ma meno che in altri posti…

Dal molo di Kauppatori, appena davanti a Havis Amanda (ricco di bancarelle di mercatino smercioso piene di guanti di renna, souvenirs e ninnoli finnici vari), popolato da simpatiche tartarughe di pietra sia decorative sia utili per infilzare ombrelloni d’estate, ci si può imbarcare per l’isola di Suomenlinna con lo stesso biglietto urbano utilizzabile sui tram [ci sono altri traghetti privati che da Kaupattori portano direttamente alla Kuninkaanportti, o che da Katajanokka, poco più in là di Kaupattori, portano a un porticino già più “insediato” nell’isola, ma sono traghetti molto più rari e costosi]…

Suomenlinna è patrimonio dell’umanità ed è turisticamente molto appetibile e servita: ogni mezz’ora parte il traghetto “normale” da Kaupattori e in soli 15 minuti arriva al molo principale, e trovi subito tantissimi ristoranti, anche se il grosso dell’attività e del turistame è d’estate…

L’isola era una fortezza militare e per camminare dal molo principale al bastione della Porta del re, la Kuninkaanportti, non ci vuole tanto, ma neanche poco, e nel percorso si vedono le stratificazioni funzionali e abitative dell’isola, che, come tutta la Finlandia, è passata da fortezza medievale svedese ad avamposto ottocentesco russo… i paesaggi creati dai bastioni, dai laghetti, dai grandi prati, dalle costruzioni ottocentesche “stilose”, dai cannoni e dal Baltico vero, proprio mare aperto (non più lagunetta civile ingegnerizzata), sono davvero uno spettacolo, e valgono tutto il viaggio, e, d’estate, quando sono aperti i moltissimi museetti tematici, sarà difficile passare a Suomenlinna meno di 6 ore (noi in un 2h 30′ ci s’è fatta a mangiare e vedere il vedibile)…

da quello che ho capito, in finlandese la H si sente molto, un po’ come la j spagnola, sembrava quasi che la pronunciassero come una k…

le vocali raddoppiate mi è sembrato designassero enfasi (cioè, la vocale doppia è quella accentata)…

molte s, quasi di sicuro quelle in finale di parola, mi sono sembrate «fricative postalveolari sorde»…

grazie si dice kiitos [quindi da leggersi kíitoš]; arrivederci è moi-moi o hei-hei (la bellezza delle agglutinanti è che aggiungendo qualcosa cambia tutto e sei felice!)…

un problema immenso e che spesso suscita ilarità è che il finlandese è pieno di parole quasi del tutto omofone e omografe all’italiano che significano cose completamente diverse! Leggi cartelli in cui è scritto qualcosa che somiglia moltissimo all’italiano (magari con qualche doppia vocale o doppia consonante in più) in contesti che in italiano non hanno senso… leggi tintori per definire una piazza, per esempio… oppure tytti per definire i bambini… o lento riferito a un’aeroporto…

più che da ridere c’è da starci attenti… sono proprio l’emblema dei false friends linguistici, e ti possono far fare serie figurette, perché pensi di aver capito e invece non ci hai capito niente!

Per la cronaca, anche dopo l’indipendenza finlandese del 1917 l’élite culturale è rimasta di lingua svedese, e questo dualismo si è incarnato anche in divisione politica, tra chi era per staccarsi violentemente dal governo bolscevico (gli svedesi ricconi) e chi invece voleva trattare (i finlandesi)… finì in una terribiliosa guerra civile (vinsero gli svedesi anti-comunisti), che nel 1938, quando il nazismo cominciò a soffiare, si ripropose, tra i favorevoli al nazismo come supporto anti-russo (gli svedesi) e la diffidenza generale sia anti-sovietica sia anti-nazista (tutta dei finlandesi, che videro come leader militare il generale Mannerheim, il quale trattò la Seconda Guerra Mondiale come guerra totalmente finnica di liberazione sia russa sia tedesca: Mannerheim bombardò anche parecchio i tedeschi occupanti dopo il 1945, nella Guerra lappone, nonostante fossero, formalmente, degli ex “alleati”; anche durante tutta la Guerra Fredda, la “giusta distanza” da entrambi i contendenti fruttò alla Finlandia molti vantaggi: era la democrazia più vicina all’Unione Sovietica, con essa riusciva a parlare e da essa riusciva a prendere solo il “buono” senza mai concedergli nessuna anticchia di sovranità: un atteggiamento che può essere definito opportunista ma che, a mio avviso, è invece da ammirare, perché dimostra di voler ottenere una sintesi benigna del caos guerroso, e dimostra una seria politica diplomatica basata più sul buon senso che sul fanatismo… ma questi sono solo discorsi miei scemi)…

I cocci morali della guerra civile, delle simpatie naziste, e della divisione tra svedesofoni e finnofoni sono tutti nell’ottimo Hägring 38 di Kjell Westö (Helsinki, Schildts & Söderströms, 2013), che Laura Cangemi ha tradotto per Iperborea (Milano) nel 2017 (Miraggio 1938): bellino ma non il miracolo che Iporborea ha pubblicizzato (la trama di cornice è interessante, ma quella del “succo” è prevedibile e finisce frettolosamente)…

Quando lavoravo nella Biblioteca del Conservatorio di Firenze sono venuti in visita alcuni professori del Conservatorio di Helsinki… io, dopo avergli sbolognato l’autografo parziale del Macbeth di Verdi (che sbandieravo come specchio per le allodole a tutti i turisti), mandandoli in estasi (in quanto cose ancora private loro vedono molti pochi autografi di Sibelius), ci ho parlato un po’ e ho capito che loro, di svedese, parlano veramente poco e niente, ma che hanno comunque l’obbligo di studiarlo a scuola…

Il viaggio continua a San Pietroburgo

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