Priscilla

Ovviamente non c’entra niente il film The Adventures of Priscilla, Queen of the Desert di Stephen Elliott del 1994…

e neanche due anni dopo l’Elvis di Luhrmann rieccoci alle prese con la stessa storia vista dal punto di vista di Priscilla…

bah

È un po’ parecchio che Sofia Coppola è in giro, e fa film da regista da 25 anni…
e ha fatto roba sempre così “particolare” che, ogni volta, un suo nuovo film stupisce e rinfresca
il suo Simbolismo (termine usato così come lo si riferisce, in studio, a Debussy e Maeterlinck: come io lo uso anche per Tim Burton, che, guarda caso, ha diretto Coppola nella sua prima esperienza attorica lontano dal padre, nel 1984 [il padre l’ha messa nei suoi film appena nata, dal 1972]) ha creato capolavorini di espressione del vuoto pneumatico emotivo contemporaneo, con personaggi che si guardano vivere, sui quali l’esistenza quasi cade addosso senza che loro riescano a reagire granché…

Somewhere, nel 2010, in qualche modo, col Leone d’Oro a Venezia, è stata la consacrazione della sua artistry
e dopo Somewhere, The Bling Ring e The Beguiled hanno cercato di spezzare un po’ la routine dei soggetti…

Priscilla è invece un ritorno alla masterfiction dei film che sono “culminati” in Somewhere

Priscilla Presley è di nuovo una ragazzina, chiusa in gabbia e travolta dai fatti, come le Virgin Suicides, come Scarlett Johansson e Bill Murray in Lost in Translation, come Marie Antoinette e come Stephen Dorff ed Elle Fanning in Somewhere (e “chiuse” erano anche quelle di The Beguiled, a dire il vero)…

Dopo l’esordio con Ed Lachman, lo zoccolo duro dei film Coppola lo ha fatto con Lance Acord…
in Somewhere viene affascinata, come tanti altri a quei tempi (da David Fincher a Ridley Scott), da Harris Savides, che però muore nel 2012, lasciando incompiuto Bling Ring, che viene ultimato da Christopher Blauvelt…
dal 2017 lavora con Philippe Le Sourd, professionista usato un paio di volte da Ridley Scott (totalmente solo in A Good Year, e parzialmente in un corto girato dal figlio Jake Scott), che proprio con Coppola sembra affilarsi gli artigli dopo non pochi lavori altalenanti (A Good Year non era il massimo, Sette anime con Muccino era oRendo, e un po’ meglio era il film che ha girato con Wong-kar Wai nel 2013)…

Lost in Translation e Marie Antoinette portano la inconfondibile firma scenografica di K.K. Barrett…
Somewhere, Bling Ring e The Beguiled sono decorati da Anne Ross…

i primi film hanno i costumi di Nancy Steiner…
Marie Antoinette è addirittura di Milena Canonero (per forza: quando c’è da fare il Settecento non c’è che da appellarsi a Santa Milena)…
dal 2010, i costumi dei film di Coppola sono diventati materia di Stacey Battat…

al montaggio, Coppola ha pressoché sempre lavorato con Sarah Flack…

Priscilla non è un film brutto…

come i precedenti “dipende” un pochino dalla protagonista, e Coppola, dopo aver pressoché “scoperto” le adulte Kirsten Dunst, Scarlett Johansson e Elle Fanning (tutte già ampiamente scoperte da piccole, ma cresciute quasi completamente con Coppola; invece Emma Watson era già una superstar quando lavora a Bling Ring), fa ancora centro con il casting di una Cailee Spaeny piccolina, timidissima, pucciosa come un peluche, crinolinosa e graziosa come una bambolotta di porcellana…

la sua performance, pregna di quell’emozione, appunto simbolista, tipica di Coppola, secondo cui si si vedono i rossori ma solo suggeriti, si urla ma sempre con morigeratezza, il più delle volte si guarda con sguardo estatico quello che accade, facendo sentire più che vedere le lacrime più interiori che esteriori, conduce completamente un film che su quella performance è cucito e costruito, con un gusto della confezione effettivamente spietato…

Le Sourd garantisce luci spumose come meringhe luciccanti, ed esalta le certosinosissime scenografie (di Tamara Deverell, all’esordio con Coppola) e i cartapestosissimi costumi (di Battat) con una calligrafia caratterizzata da una materica texture quasi granulare, adattissima a ricreare gli anni ’60, e si impegna in un sistema di microtessere espressive tutte mirate a descrivere la solitudine di Priscilla…
a una complessiva gestione a flash, quasi a scatti di istantanee su oggetti e routine a visualizzare un’esistenza fatta di attimi fermi, immobili e noiosi (tutta amministrata bene da Flack), Le Sourd e Coppola usano piccoli zoom (spesso indietro) per isolare Spaeny dagli altri, o posizionano Spaeny agli angoli del frame per marginalizzarla come è marginalizzata in diegesi…

…tutto questo, però, sì, è carino e nutriente, e sono ottime idee di narrazione visiva…
…ma non è che brillino né per originalità né per effettiva efficienza…

mi spiego: sono sì efficaci ma non sono davvero efficienti…

perché che il personaggio sia solo in inquadratura e in diegesi dovrebbe essere prassi, dovrebbe essere mezzo d’espressione invece che il fine del prodotto…

per capirsi: che Edward Scissorhands sia lontano dagli altri anche se è allo stesso tavolo con gli altri, è espresso da Burton e Stefan Czapsky con l’uso di diverse lunghezze focali applicate a Johnny Depp rispetto a quelle applicate agli altri, ed è una cosa che l’occhio registra senza ingombro, senza “protagonismo”, ma solo come mezzo strumentale della vicenda…

gli espedienti di Coppola e Le Sourd, invece, rimangono un po’ lì, a definire e ribadire visivamente una solitudine che è già schiacciante in diegesi…

finisce che Priscilla risulta asiano e ridondante, tutto costruito su espedienti che, numerosi e spesso identici, insistono su un unico e medesimo concetto: la solitudine e l’isolamento della protagonista…
una insistenza che si produce più in piccoli episodi che in un fluire narrativo, episodi spessissimo gestiti con i semplici flash sulla immobile routine che si diceva, e che molte volte si concludono con la chiusura sullo schermo nero… per 114 minutoni…

certi episodi, tipo quello delle frequentazioni yogiche di Elvis, finiscono per essere anche totalmente gratuiti…

Sì, ok…
la fattura è pregevole e la recitazione ottima…
ma si ha l’impressione, ripeto, di vedere appunto una confezione delle emozioni più che le emozioni…

ed ecco perché dico che, alla lunga, le cose efficaci non risultano efficienti…

perché sembra che la macchina da presa si sforzi tanto di esprimere la solitudine, così tanto, però, che finisce solo per illustrarla, per dipingerla invece che davvero esprimerla…

alla fine quasi non si *sente* la solitudine di Priscilla, ma la si *vede* soltanto…

potrebbe non essere un difetto perché, nella poetica totale di Coppola, quella del Simbolismo, il vedersi vivere è un qualcosa di fondante…

quindi è ovvio che tutto sia voluto…

ma allora potrebbe intervenire una certa noia: quella dell’applicazione di uno stile registico che, dopo 25 anni, potrebbe anche aver un po’ stufato…

e come si dice per Woody Allen e addirittura per Miyazaki, anche per Coppola potrebbe essere arrivato il discrimine, dopo il più pepato Beguiled, della rimescolatura del paiolo: quel momento in cui si applica a qualunque cosa il vedersi vivere che, fino ad allora, era una scoperta…

mi spiego:
i film di Coppola erano interessanti perché lo stile del vedersi vivere innervava e rendeva autentiche storie di vero vedersi vivere

in Priscilla, invece, si intravede un modo in cui si prende una storia e la si appallottola e accartoccia apposta per renderla adatta allo stile del vedersi vivere… anche se lo stile del vedersi vivere a quella storia si applica “insomma”… o si applica esattamente come si era adattato ad altri soggetti… fin troppo!

Priscilla è pressoché identico, nelle funzioni attanziali, a Marie Antoinette

solo che Marie Antoinette era vivo, eccitato: Dunst si vedeva vivere ma ribolliva della sua gioia, della sua infantilità, del suo svolgimento da pop incantato…

dopo 20 anni, Priscilla è immobile, più simbolista del Simbolismo, e l’immobilità non produce effettivo sentimento, ma solo rendicontazione…

va a finire che siamo contenti che Priscilla riesca ad andarsene nel 1973, ma il fatto che sia rimasta lì 15 anni esprime sì il suo vedersi vivere, ma quel vedersi vivere non ha tenuto conto delle montagne russe emotive che invece in Marie Antoinette si vedevano nel medesimo vedersi vivere
il vedersi vivere di Priscilla non trema per niente dei non detti che increspavano di passione l’uguale vedersi vivere di Johansson e Murray in Lost in Translation

Priscilla applica lo stile del vedersi vivere in una maniera rigorosa e così ortodossa da finire per essere doxastica…

Priscilla finisce per essere più stile che racconto…

e stile compiaciuto del suo essere: tutto concentrato sul lusso di una resa visiva che si raffredda nella più tremenda delle indifferenze attonite dei prodotti art pour l’art

O forse sono troppo categorico…

il film è noioso, ma non si guarda malissimo…

e magari l’idea del rendiconto di cosa qualcuno può sopportare, persa nei sogni di bambina, prima di rendersi conto di dover fuggire, può aiutare a svegliare molte persone…

e tanti lussi da estetica del mezzo sono da brodo di giuggiole dei cinemisti, anche se sono triti e ritriti…

ed è anche da scemi pretendere che una regista che vive di stile come Coppola faccia qualcosa che da quello stile si allontana troppo…

però vedere Coppola che si adagia nello stile, sempre uguale, mi è sembrato triste…

e il puntare proprio sul rendere più lussuoso lo stile, invece di innervarlo, mi è saputo di espediente stanco…

l’identità con Maria Antoinette, senza la vitalità di Marie Antoinette, mi hanno fatto vedere Priscilla come una riproposizione col fiato corto di passati risultati più atletici…

mi ha fatto un po’ l’effetto di Michael Keaton che rifa Batman in Flash

l’effetto di veder “invecchiare” una regista che era stata così brava a essere giovane, e che dopo Beguiled avrebbe potuto trovare qualcos’altro da raccontare, invece che riciclarsi nel lusso…

boh

ma forse sono cattivo

Notarelle:
non so come in italiano renderanno il fatto che in inglese la consonante fricativa postalveolare sorda si scriva quasi soltanto con il digramma sh e non con il digramma sc come avviene in italiano, per cui il nome della protagonista è pronunciato prissilla, con il diminutivo Cilla pronunciato silla (che in italiano potrebbe perfino riecheggiare il nome di Lucio Cornelio Silla)…
chissà se opteranno per un soprannome tipo Scilla

in colonna sonora non si odono le versioni delle canzoni così come appaiono negli album di Elvis Presley, ma ci sono dei riarrangiamenti…

in Luhrmann il love theme era I can’t help falling in love with you, qui è Love me tender (come in Wild at Heart di Lynch) in versione strumentale…

si sente un’anticchia della Gassenhauer di Orff/Keetman, riarrangiata in maniere un po’ annacquate…

un po’ di gossip:
Maurizio Nichetti ha fatto una comparsata in Somewhere e ha detto che Coppola è arrivata sul set solo per due minuti, ha visto i risultati del lavoro (Nichetti non ha specificato con chi ha lavorato e non ha nominato né Savides né Roman Coppola, il fratello di Sofia, che sempre dirige le seconde unità dei film della sorella e di quelli di Wes Anderson) nello schermo: ha riso, ha approvato, ha salutato tutti e se n’è andata…
segno che molto dei film di Coppola è strutturato in pre- e post-produzione…

dal 1999 al 2003, Coppola è stata sposata con Spike Jonze, ed ecco perché molti dei collaboratori (tipo K.K. Barrett e Lance Acord) arrivano dagli usati da Jonze…

dal secondo matrimonio di sua zia Talia (la sorella minore del padre, e cioè la famosa Adriana di Rocky) è nato anche l’attore Jason Schwartzman, che è quindi suo cugino, come lo è Nicolas Cage, figlio del fratello maggiore del padre…

2 risposte a "Priscilla"

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