Con Mario Brunello, l’Orchestra della Toscana sfolgora di balenante qualità cameristica…
Primo violino (Daniele Giorgi) e prima viola (Stefano Zanobini), uno di fronte all’altro, si guardano e si ammiccano tra loro, a confermarsi con lo sguardo e con i cenni gli attacchi, le intenzioni, le intensità, in accordo con i segnali che Brunello, dal violoncello o dal “podio” (che manco ha voluto), dà loro con alzate di spalle, con occhiate, con mosse dell’archetto o con dettagli “digitali” dei polpastrelli…
E la magia di quell’intendersi, muto ma sicuro, si trasmette a tutta l’orchestra…
Sembra di vedere amici che suonano insieme per divertimento in garage, ma suonano perfettamente, cristallinamente efficaci, tanto da rendere la micro-imperfezione un pregio di unicità irripetibile invece che un errore…
Un concerto che è stato una gioia, che ha sottolineato la carica primaverile dell’Arpeggione di Schubert e l’intensità post-romantica straussiana (ricca anche di “antecedenti” di Bernard Herrmann) della Verklärte Nacht di Schoenberg…
In mezzo un kyrie quattrocentesco di Kiev, struggentissimo… e tutti e tre i pezzi sono stati così lampanti e chiari nella loro destrezza, e così efficaci nel comunicare la “partecipazione” musicale, da ispirare nel pubblico il rispettoso silenzio estatico dopo le conclusioni: cioè il pubblico ha partecipato anche lui alla performance, ascoltando fino in fondo anche il silenzio finale, e ha applaudito solo dopo il sospiro post-suono, comprendendo bene che quel silenzio, lo spegnersi dell’ultima nota, e il muto raccoglimento dopo quella nota, sono parte integrante della musica… una magia che a Firenze si sente di rado (visto che al Maggio applaudono pure tra un movimento e l’altro!)
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