È un film la cui poiesi è stata assai studiata…
James Christie, la mia fonte principale su Donner (vedi il post apposito), è del 2010 ed è stato integrato con altre interviste soprattutto di Murray…
Noi abbiamo già visto certa reazione a Scrooged parlando di Lethal Weapon 2, che Donner lavorò immediatamente subito dopo perché convinto di aver fatto fiasco con Scrooged…
un film che era partito prima del suo arrivo…
Scrooged parte da Bill Murray e dal suo agente…
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La storia ufficiale, reperibile dappertutto, è che Murray uscì assai disorientato dal successo del Ghostbusters di Ivan Reitman nel 1984, tanto da lasciare il cinema…
una sparizione avvenuta all’apicissimo del suo successo che, nei successivi 4 anni, rese Murray qualcosa come Mina o come Lucio Battisti ai tempi: una leggenda che tutti volevano e tutti cercavano…
Art Linson, nel suo What Just Happened?, nomina spesso Scrooged ma solo come paragone con altri film di cui è più prodigo di dettagli, per cui non abbiamo un resoconto diretto di Scrooged da parte di quello che ne fu il produttore più importante… ma è comunque Linson a dirci che tra 1984 e 1988, la leggenda di Murray lievitò esponenzialmente…
Linson era sicuro che solo due attori nella Hollywood di allora potessero sbancare i 10 milioni nel primo weekend senza battere ciglio: Eddie Murphy e Bill Murray… e Murray era sparito…
Linson avrebbe fatto di tutto per assicurarsi i guadagni di un suo rientro… e ce la fa…
Linson implementa tutto per la Paramount, ma, col suo agente, Murray contratta bene per sé: alla fine delle “transazioni”, lo stipendio di Murray costituirà la metà dell’intero budget di Scrooged: fu pagato più dell’intera troupe tecnica messa insieme…
e tutti erano sicuri che la stima di Linson si sarebbe avverata: Scrooged sarebbe stato un successone…
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È Murray a plasmare Scrooged nelle prime fasi di ideazione: lo vuole una costola del Saturday Night Live, lo show che lo rese celebre prima di Ghostbusters…
Mitch Glazer e Michael O’Donoghue, chiamati da Murray a scrivere Scrooged, erano tra gli autori del Saturday Night Live…
si dice che la mente fosse O’Donaghue: calvo ed eccentrico, andava in giro con scarpette da ballo e orologi indiamantati da donna, ma correva dietro a ogni ragazza che vedeva: i colleghi lo descrivevano intrattabile, spietato nelle frecciatine e fortemente autodistruttivo: compare in Scrooged nel ruolo del prete che celebra il funerale di Frank Cross…
Glazer era un giornalista musicale, quasi un impiegato, che finalmente lavorava sperando nella realizzazione del suo copione dopo diversi script rimasti non prodotti: faceva l’autore del Saturday Night Live proprio per guadagno e sviluppò una sincera amicizia con Murray e John Belushi (Murray lo rivuole con sé per Lost in Translation di Sofia Coppola, nel 2003)… era davvero il contraltare di O’Donoghue, che affiancò spessissimo (anche se O’Donoghue muore già nel ’94 a 54 anni)… anche lui appare in Scrooged…
Si sa che fu Murray a volere Frank Cross impegnato in una storia d’amore seria e presente, non solo quella “ricordata” nel natale passato in Dickens…
e Murray voleva tante parti lasciate all’improvvisazione…
e volle nel cast i suoi fratelli…
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Il primo nucleo di sceneggiatura, Linson lo porta a Sydney Pollack, che aveva già diretto Murray in Tootsie nel 1982…
Pollack si rifiuta ma rimane “nell’aria” di Scrooged fino alla fine…
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L’agente di Murray pre-allerta un Richard Donner appena uscito dal trionfo di Lethal Weapon (che era un film di natale!) e contratta un incontro Donner-Murray quasi all’improvviso… Murray insiste per incontrarsi alle 23:00, e Donner era uno che quando non lavorava andava a dormire subito dopo le 22:00!
Forse Donner fu considerato perché riuscì a dirigere Richard Pryor, uno stand-up comedian come Murray, in The Toy nel 1982 (un film che però fu un flop)…
Donner accetta, ma ha paura poiché la gente coinvolta è tanta: Murray, Linson, O’Donoghue e Glazer, Pollack…
e Donner non lavora bene con tutti questi cervelli intorno…
Si premura anche lui tantissimo,
vuole entrare come produttore (con Linson) e non solo come regista,
anche lui vuole il suo cast di amici in ruoli riempitivi (Anne Ramsey [morta subito dopo le riprese, Scrooged è dedicato a lei], Paul Tuerpe, Steve Kahan, Norm Wilson, Mary Ellen Trainor),
vuole la sua troupe (lo scenografo J. Michael Riva, e Stuart Baird a fare da consulente di post-produzione),
e ha la ferrea volontà di avere i privilegi di final cut…
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Le prime riprese in esterne a New York, con Conrad L. Hall, vanno benissimo, con la gente felicissima di vedere girare Murray…
Si sa che Hall fu lento, 3h per preparare scene che Donner avrebbe voluto pronte in 30 minuti, e fu licenziato…
Con Stephen Goldblatt, occhio di Donner in Lethal Weapon, ancora impegnato, si ripiegò su Michael Chapman (abbiamo già detto in Lethal Weapon 2 che forse fu “preso” dalla crew di Lost Boys di Joel Schumacher, prodotto da Donner)… Chapman ha finito per “inquadrare” Bill Murray in altri 3 film: Ghostbusters II (’89), Space Jam (’96: entrambi film che hanno visto coinvolto Ivan Reitman, regista di Ghostbusters) e Quick Change (’90), che vide Murray proprio alla regia: diciamo che insieme si trovarono bene…
Poi la produzione si spostò a Los Angeles, in studio…
e lì le cose iniziarono ad andare storte…
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Donner riuscì a garantire cameo importanti per nobilitare la fittizia tv IBC…
contrattò Robert Mitchum in un piccolo ruolo e poi tanti nel ruolo di se stessi:
Buddy Hackett, John Houseman, Mary Lou Retton, Jamie Farr, Pat McCormick, Robert Goulet, Lee Majors, le Solid Gold Dancers (che si sciolsero subito dopo le riprese: è rimasta leggermente famosa Chalsea Field)…
e poi Miles Davis con David Sanborn (dritto dal sassofono di Lethal Weapon), Paul Shaffer e Larry Carlton a fare i musicisti di strada a New York…
Donner chiamò anche Marlon Brando, che però rifiutò…
e lo studio era in mano a Donner, e al suo scenografo J. Michael Riva…
uno studio che Murray descrisse come «dusty, smelly, and smokey» e che lo faceva tossire male per via della neve finta respirata…
uno studio in cui Donner costruì tanto di suo:
- almeno due gli adesivi contro l’Apartheid in Sud Africa (nella casa di Alfre Woodard e nella camera regia di Steve Kahan)…
- su un albero del cane Frisbee c’è inciso Dick + Lauren (Lauren Shuler, ovviamente)…
- le campane che suonano nel video degli uffici alla mezzanotte del 25 dicembre sono quelle di Ladyhawke…





uno studio con cui, piano piano, Donner plasmò il film, che da una commedia super ridanciana, come probabilmente l’avevano strutturata Murray, Glazer e O’Donoghue, si mutò in un film sì comico, ma quasi serio, con A Christmas Carol rispettato alla lettera, con in più una vena “drammatica” che Donner confezionò quasi inaspettatamente…
le “serietà” si vedono già con le indicazioni autobiografiche di Donner, che in Scrooged parodizza assai bene il suo periodo televisivo e le sue diatribe con i Salkind per Superman…
- abbiamo già detto altrove che Frisbee era il Banana Split Adventures Hour (diretto da Donner),
- che Mitchum “era” Salkind e John Glover “era” Dick Lester durante Superman,
- tutti sanno dei riferimenti alla Gilligan’s Island e a Kojak (diretti da Donner),
- c’è una battuta su Richard Pryor, il comedian diretto da Donner in The Toy nel 1982: battuta incomprensibile sia nell’Italia dell”88 sia oggi, che Manlio De Angelis ha risolto col surrealismo (si riferisce a una grave disavventura di Pryor occorsa nel 1980: in un periodo di abusi di alcool e droghe, si versò addosso del rum e si dette fuoco, camminando in fiamme per una via di Los Angeles)…
le “serietà” si vedono nella gestione del tutto metavisiva del film, fatto
- di continui riferimenti a Dickens che sta per il film (con zoomoni avanti veloci per sottolineare il parallelismo tra Mary Lou Retton e il figlio di Alfre Woodard),
- continui riferimenti allo show live (di cui vediamo l’allestimento) che sta per la vita vera (Murray è punto sul vivo dal monologo di Belle, agito dagli attori e che lui vede sul video),
- di permeabilità tra finzione televisiva e film che vediamo: l’incipit è solo l’incipit del promo di The Night the Reindeer Died, ma lo scopriamo solo dopo: scene e visione tra promo e il resto del film quasi coincidono! le immagini dei fantasmi, che vede solo Frank, sono realisticissime anche se sono solo immaginate!
- di schermi televisivi che affollano dappertutto la scena (costituiscono spirito e faccia del Ghost of the Christmas Future, che viene proprio fuori dalle TV, quasi come in Poltergeist),
- di rivisioni dei natali passati e presenti che sono agiti davvero come un cinema, con Frank e il fantasma di turno che scrutano quel che avviene spiando dalle finestre, vedendo senza poter intervenire: i natali “evocati” dai fantasmi sono cinema che si assomma al cinema al quadrato tra Dickens, il film e il film nel film!
- di elementi di metacinema consapevole, con Frank che viene scambiato per Richard Burton (con tanto di imitazione di Murray) e che alla fine interpella direttamente la sala cinematografica, il suo audience!


si vedono nell’aria davvero cupa che Donner instilla nel film, via via sempre più desolata, spersonalizzate e “irreale”:
- con la scusa delle “luci di natale” e delle luci finte del teatro di posa, gli attori sono spesso profusi di luci blu e rosse, e molte volte sono illuminati dal basso, con effetti quasi “espressionistici”;
- la luna si fa rossa nello shot dell’inizio dell’ultimo “atto”;
- il passaggio tra rivisione dei fantasmi e vita del film è fatto da momenti quasi di realismo magico, in cui nessuno, men che meno Frank, sa cosa (si) sta vedendo;
- la gestione delle componenti “irreali” è assai disturbante, perché se le visioni terrorizzanti dei fantasmi non si distinguono dal resto delle immagini, è però la “realtà” a essere “irreale” perché blu, rossa ed espressionista;
- il montaggio, fatto spesso di molti raccordi sull’asse in avvicinamento dal totale al particolare, fornisce tanti dettagli che però quasi confondono le idee;
- nell’esperienza del natale futuro, mai Donner aveva costruito set così irreali e perturbanti, con l’uso assai estraniante del bianco come segno quasi negativo…






e si vedono nella molto drammatica sottolineatura degli snodi più commoventi:
- la descrizione del novello Tiny Tim da parte di Carol Kane è un capolavoro di evidenza drammatica;
- i giochi con la cornice del fratello di Frank sono commoventissimi;
- Tiny Tim che parla è costruito completamente per far lacrimare;
- i primi piani su Karen Allen che spunta da dietro le macchine da presa sono sempre efficacissimi;
- la parola d’ordine della love story (il «Lumpy» che Manlio De Angelis non è riuscito a rendere in nessun modo: il “bambolotto” volante nella prima enunciazione si trova a essere privo di senso) spunta sempre per solleticare la lacrima dei sentimentali;
- il monologo finale, tutto improvvisato da Murray, dà a tutto un’aria da ragionamento quasi simile a quella del discorso finale del Great Dictator di Chaplin…
e una scena drammatica enorme, quasi tragica e completamente inquietante è quella, a due terzi del film, del ritrovamento del cadavere gelato di Herman (Michael J. Pollard, uno dei caratteristi più sorprendenti di Hollywood):
in una fogna assurda, quasi antro mentale purulento, Herman è lì morto ghiacciato nel suo sorriso: un morto che ride che il montaggio frammenta coi raccordi sull’asse fino al particolare “leoniano” degli occhi…
occhi felici ma morti, che guardano, ma guardano il nulla…
una scena che costituisce uno dei passaggi tra l’esperienza coi fantasmi e il ritorno alla vita del film, ma che non ha né precedenti nella fonte dickensiana, né motivi diegetici: abbiamo conosciuto il personaggio di Herman come un insignificante comparsa e la caratteristica che lo porta alla morte sta in una sola battuta, che potremmo anche non aver recepito tanto è breve!…
è una scena quindi che non ha motivo, ma c’è e basta…
non si sa perché…
e non si può dire neanche che allunghi il brodo, perché non dura più di 120 secondi…
Una scena che lascia una tristezza indefessa perché Herman viene subito dimenticato, cioè scompare dalla diegesi sbrigativamente come era entrato e all’improvviso come nella sua morte inaspettata, e riappare solo alla fine come fantasma felice nell’al di là consustanziale con la vita, quell’al di là ripreso come la vita vera anche se è visto solo da Frank…
La morte di Herman arrochisce assai la presunta allegria del film, con un simbolo di morte non previsto…
Herman è come un cinema freddo e ghiacciato lì ad ammonire Frank (e ammonirci) della gravità dei simboli coinvolti, a dirci che si sta parlando di valori seri, di carità, di altruismo, in un film che è importante, che non è soltanto una commediola ridanciana…
la morte di Herman crea un cinema inerte di morte ed è conseguenza della mancanza di carità in Frank…
la mancanza di umanità crea un cinema morto…
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Dopo un trauma simile è difficile tornare alla ridancianeria e infatti le cose, anche a livello poietico, si guastarono…
O’Donoghue disse che Donner non comprendeva la commedia (né il tipo di particolare di battute da Saturday Night Live) e buttò tutto solo sul rumoroso e il caciarone…
anche Murray ricorda un Donner che non faceva altro che dirgli «falla più forte, più forte» (e Murray ha fatto anche la battuta: «ho anche pensato che Donner fosse sordo!»)…
e il monologo finale, fatto apposta per il moralismo (con Put a Little Love in Your Heart, voluta da Donner, che viene cantata da tutto il cast subito prima della versione di Annie Lennox e Al Green a commento dei titoli finali), commosse sì Murray mentre lo recitava ma suscitò le prese in giro del cinico O’Donoghue (si racconta che O’Donoghue stava per urlare «ma che è? una predica?» alla fine delle riprese, ma prima che potesse farlo Donner gli schiantò uno schiaffone sul braccio così forte da lasciargli un livido che rimase una settimana!)…
nel mentre Donner cestinò diverse scene comiche (o di stilettante black humor), scritte con impegno da Murray, Glazer e O’Donoghue…
in sala di montaggio Murray era presente, con Linson e Pollack, e tutti puntavano sul mantenerle…
ma Donner fece la voce grossa col suo final cut (montato forse con Baird invece che con gli accreditati Fred e William Steinkamp, mai più ingaggiati da Donner), così come aveva fatto la voce grossa sul set sempre “attivato” dall’improvvisatore Murray: Donner disse che dirigere Murray era come fare il vigile urbano a Times Square quando i semafori sono guasti!
ma “a causa” di quel final cut fu quindi solo Donner a “piangere se stesso” in quello che fu il flop più serio dei tre ghost movies dell”88 (con High Spirits di Neil Jordan e Beetlejuice di Tim Burton) perché era stato lavorato da Murray e Linson con una speranza di ritorno economico notevolissimo: doveva essere un Coming to America, mentre invece finì per essere un coccoloso film di natale del tutto inadeguato alla sala (e infatti lo status di cult è venuto con l’home video)…
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Ma chissà se Donner (che non sentì granché il flop perché riuscì a ripiegare subito su Lethal Weapon 2) abbia davvero considerato che mai prima di Scrooged,
- aveva gestito così bene scene irreali quasi horror (neanche in Superman, Lethal Weapon o The Omen),
- aveva calcato così tanto la mano sulla drammaticità seria e commovente (neanche in Inside Moves),
- aveva proposto così tanta autobiografia in un film…
E certo, Scrooged fu un flop, e la spiattelleria moralista del monologo finale pesa ancora oggi, ma riprende diversi fili del percorso autorale di Donner…
- la spinta sulla commozione a dispetto dalla comica camp è una cosa che Donner aveva già da Superman…
- il sentimentalismo è continuato in Scrooged prendendo il testimone direttamente da Ladyhawke…
- la descrizione della famiglia di Alfre Woodard è fantasticamente sincera, riprendendo l’importanza interraziale che Donner ha inaugurato in Lethal Weapon…
- forse grazie a Scrooged, Donner saprà come plasmare la notte per farci piangere in Lethal Weapon 2…
- Donner sarà di nuovo così a suo agio nel tetro solo dopo Conspiracy Theory (10 anni dopo)…
- e sarà così capace di commuoverci di nuovo in quel modo forse solo in 16 Blocks, il suo ultimo film (quasi 20 anni dopo)…
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Più di tutto, a me fanno sempre ridere gli innuendo a una presunta liaisons di sesso tra Frank e l’assistente bionda, Mary Ellen Trainor…
e a me fa sempre accapponare la pelle la musica di Danny Elfman…
mai più al soldo di Donner, Elfman, come accadde a Stewart Copeland o a James Horner e come poi è successo ad Alexandre Desplat una 20ina d’anni dopo, con solo la canzone per Weird Science con gli Oingo Boingo (’85, che aveva musica di Ira Newborn) e con solo il breakthrough di Pee Wee’s Big Adventure di Burton (’86) dopo un paio di musichette televisive, si ritrova “mangiato” dalla voracità musicale di una Hollywood evidentemente sempre vogliosa di nuovi compositori…
Nel solo ’88 compose per altri 4 film, altri 4 ne fece nel ’90, arrivò a farne 6 nel ’96, quando però era già famoso…
Elfman contribuisce assai all’atmosfera cupa di Scrooged, con i suoi wordless choruses e i suoi ronzii di archi (vedi qui), e con una melodia del Main simile a quella di Batman (con le stesse somiglianze intervallari con il Main Theme che i Toto hanno scritto per il Dune di Lynch nell”84), che scorre placida ma quasi triste prima di frastagliarsi in colpi quasi orrorosi nelle scene dei fantasmi…
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Oggi, la parodia sardonica che Donner fa della tv è ancora efficace… e oggi, la carica stramba e inquietante di Scrooged sussiste ancora…
Il suo metacinema estraniante disorienta, e la sua forza drammatico-commovente è ancora spiazzante ed è proprio giusta per piangere durante le feste (un’atmosfera simile forse ce l’hanno i Gremlins di Dante, oltre ai film natalizi di Burton, soprattutto Edward Scissorhands, Batman Returns e il Nightmare Before Christmas di Selick [vedi lo special su Burton])…
Le valenze tra finzione, fittizio e realtà filmica sono ancora oggi maestose, suggellate dalla scena della morte di Herman: come se Donner volesse dire, col film, che si sa bene quanto il natale sia fasullo, ma le emozioni che la simbologia finta del natale suscita sono vere e importanti…
Donner, come i grandi, in Scrooged usa il cinema forse come mai aveva fatto e forse non farà mai più:
usa il cinema per parlare di cinema, dell’importanza del cinema e delle storie per capire la vita…
per parlare della necessità di elaborare immagini e storie, in un mondo che non appare per nulla amichevole, né pacificabile, né, tanto meno, “sicuro” (la luna rossa, i volti cromatici e il bianco minaccioso del futuro non promettono nulla di buono): e quindi proprio per questo, per “difendersi” da quel mondo, o per partecipare senza traumi a quel mondo, si abbisogna di finzione buona, di good fiction, capace di innescare i veri sentimenti, quelli sì davvero adatti a comprendere la folle e inconoscibile realtà…
il tutto mentre si piange col cuore scaldato per natale…
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è davvero una bella alternativa all’imperante Trading Places (di cui forse un giorno parleremo)
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Nota su una curiosità di doppiaggio: prima di rivolgersi al pubblico in sala, Murray cita la pianta carnivora di Little Shop of Horrrors, forse ironizzando sul suo avere in testa il vischio… Manlio De Angelis issa bandiera bianca e non doppia la battuta: il film di Frank Oz dell”86 fu evidentemente tutt’altro che un successo (arrivò in Italia col doppiaggio di Mario Maldesi, appena scappato dalla CVD per fondare la Kamoti)…
Grazie!
Ora io più che Scrooged sono assolutamente informed.
Non sapevo una infinità di cose!
Danny Elfman mi piace da sempre, strano: di solito io arrivo sempre dopo, come con Murray o Donner infatti.
La nota finale è fantastica!
Probabilmente una delle rivisitazioni (moderne) più riuscite del Canto di Natale di Charles Dickens. Il lavoro fatto da Richard Donner è dannatamente moderno e privo di scrupoli ma allo stesso tempo magistralmente fedele all’originale. Un incredibile cast poi: Murray in totale stato di grazia che regala uno dei più bei monologhi finali natalizi della storia del cinema, un splendida Karen Allen che è tutto un amore…senza scordarsi ovviamente dell’indimenticato Robert Mitchum. Da vedere e comprendere, anche perchè nel suo significato meno didascalico va dritto al punto senza troppi fronzoli.
parlassi di un film che conosco ogni tanto…