Un po’ di Arma Letale, parte 2

Continua dalla prima parte

Mi sono soffermato molte volte sull’importanza di Lethal Weapon 2 nella definizione formale del blockbuster insieme al coevo Batman di Burton… vedi Burton II e La mela e il mare

Ripeto che il “top billing” alla major e al titolo, e i titles messi in fondo, come firma invece che come presentazione, sono stilemi che cominciano con Lethal Weapon 2 (con, ovviamente, i soliti prodromi, cioè, principalmente, Guerre stellari, Ghostbusters, Godfather, West Side Story e chi più se ne ricorda più ne metta, che però rimasero una tantum prima di Lethal Weapon 2)…

Sulla gestazione della sceneggiatura si sofferma Sam Simon

Una sceneggiatura che, sì, porta la firma di Jeffrey Boam, ma che è il risultato di tutte le improvvisazioni sul set e di tutte le ingerenze di Donner, che fa forse il film più personale di tutti quelli che ha fatto dopo il flop di Inside Moves nell”80…

Eppure di personale c’era tanto anche in Scrooged, girato subito dopo Lethal Weapon con Art Linson… un film sulla TV, che fu il lavoro principale di Donner nei primi anni, e con rappresentato un executive invadente (John Glover), cocchino dei capi (di Mitchum), specchio di Dick Lester, cocchino dei Salkind, che a Donner rubò il lavoro in Superman

Ma sul set di Scrooged, Donner fece molta fatica a imporre una certa disciplina a Bill Murray, e non riuscì ad avere Stephen Goldblatt (lo studio, la Paramount, chiamò a sostituirlo il leggendario Conrad L. Hall, che Donner trovò lentissimo: si arrivò quindi ad assumere Michael Chapman, già “usato” da Schumacher in Lost Boys, prodotto da Donner, ma in ogni caso mai più richiamato da Donner in persona); inoltre, la chimica con Art Linson non era così elettrica (e la cosa è stata probabilmente reciproca: nelle sue memorie, What Just Happened?, diventate anche un film di Barry Levinson [proprio colui che scrisse il tanto problematico Inside Moves!] con Robert De Niro, Linson accenna molte volte a Scrooged senza mai nominare Donner)…

Una volta girato Scrooged, Donner era convinto di aver fatto un passo falso, capace di spazzare via il successo appena ottenuto con Lethal Weapon… [un peccato: io adoro Scrooged!]

ed eccolo lì, di nuovo, Lethal Weapon, quel filmetto fatto per soldi ma in cui Donner aveva trovato così tanta bella gente con cui lavorare: gente con cui avrebbe voluto lavorare per sempre!

era gente di cui si ricordava il nome!, cosa sensazionale per Donner, famoso per chiamare tutti “kid” (anche lo stesso Gibson: quando questi proponeva un’improvvisazione Donner rispondeva sempre «Let’s try, kid!»), oppure che scambiava un nome per un altro (chiamava Laszlo Kovacs col nome Vilmos, e chiamava Vilmos Zsigmund col nome Laszlo e pare proprio che li confondesse davvero come “persone”, che per lui fossero quasi “intercambiabili”, o la stessa identica persona [e Kovacs e Zsigmond lo presero sempre in giro e gli fecero sempre tutti gli scherzi che poterono, soprattutto durante Maverick, girato da Zsigmond ma con Kovacs che ogni tanto appariva sul set giusto per confondere Donner!]: ed erano i suoi cinematographers preferiti a parte Goldblatt!)

È stato quindi Donner a volere fortemente un secondo Lethal Weapon, apposta per “scrollarsi di dosso” Scrooged, da lavorare con tutto lo stesso cast & crew del primo capitolo… gente con cui poteva urlare quanto gli pareva (e Donner urlava tantissimo sul set, spesso per ispirare velocità di esecuzione: pare che il suo intercalare fosse «è la troupe più lenta con cui abbia mai lavorato!»; si sentiva benissimo che non erano urla di rabbia ma vera voce alta, che Donner quasi esibiva con una certa compiaciutezza) senza paura di ritorsioni, e gente con cui poteva intendersi alla prima occhiata!

E in Lethal Weapon 2, a livello di trama, c’è tutto il Donner-pensiero, cioè:

  • il virulento odio nei confronti dell’Apartheid in Sudafrica, stavolta al centro del film invece che nascosto negli innuendo o negli adesivini in scenografia…
  • un certo “ambientalismo” animalista (la questione del boicottaggio del tonno per salvare i delfini: ricordiamoci che Donner, con la moglie, ha investito un sacco di soldi per fare Free Willy, col bimbo amico dell’orca!)…
  • e, il tema pezzo da novanta, la concretizzazione di una nemesi che porta via l’amore, una sorta di maledizione amorosa che colpisce tutti i tentativi di pacificarsi sentimentalmente… un qualcosa simile ai diavoletti (Lindorf, Coppélius, Miracle e Dapertutto) dei Contes d’Hoffmann di Offenbach (n. 33 di Operas VI)…

quest’ultimo era il tema, ancora non plasmato, di Inside Moves e sarà il tema di Conspiracy Theory, personificato in Patrick Stewart: è stato un tema tanto voluto da Donner contro una Warner che spingeva per l’happy end, che fu anche girato (Patsy Kensit rimaneva sana e salva a festeggiare il Ringraziamento a casa di Martaugh, eco del Natale del primo capitolo), prima che Donner facesse valere i suoi diritti di produttore e detentore del final cut… ed è un tema forse limato e “aggiustato” con Mel Gibson, il secondo creative consultant di Donner dopo Tom Mankiewicz (braccio destro di Donner da Superman a LadyHawke)…

Gibson improvvisò praticamente tutto sul set, insieme a Glover e Joe Pesci (Pesci che, Donner disse, doveva essere il terzo Stooges tra loro), lasciando entusiasticamente divertito Donner…

Una libertà data a Gibson con risvolti anche spiacevoli, visto che Gibson, in pausa, andava in giro per i corridoi Warner con copricapi canzonatori della kippah ebraica (davvero un esempio di sobrietà)…

Allora Donner incoraggiò Gibson a divertirsi in modo più costruttivo e gli suggerì di fare un filmetto (Gibson “montò” quasi una mezz’oretta di video) per conto suo a documentazione del set (una cosa che Gibson fece anche durante la lavorazione del terzo capitolo, nel ’91): è il primo nucleo del Gibson regista…

e se vediamo appunto il Gibson regista si vede che il tema della maledizione dell’amore c’è anche nei suoi film: la scena di Riggs urlante di dolore per Rika sulla spiaggia è quasi una previsione dei traumi analoghi di William Wallace orfano del primo amore in Braveheart, un film, per di più, in cui Gibson si crogiola nell’orchestrare torture corporali (più “fisiche” di quelle di Lethal Weapon 1) che possono dirsi “originate” nell’idea della spalla lussata di Riggs, caratteristica non presente nel primo capitolo… nel primo Lethal Weapon si vedono le cicatrici di Riggs, simili a quelle di Rambo, a sottolineare un passato vietnamita, ma basta: in questo secondo capitolo, invece, si indulge assai in questa storia della spalla, che diventa pretesto davvero di deturpazione fisiologica del protagonista, una deturpazione che si vede essere del tutto al centro di tutti i film di Gibson (dallo sfregio di The Man Without a Face, alle torture graphic sui corpi che si vedono in Braveheart, The Passion of the Christ e Apocalypto)…

Sicché Lethal Weapon 2 è il film più personale di Donner e anche quello in cui Donner più istruisce Gibson nell’esprimersi, scoprendo anche le corde creative di Gibson (che poi le corde creative di Gibson si concretizzino in film di torture e violenza, di fondamentalismo cattolico e antisemitismo, è affare di Gibson!)

Ed è un film personale che Donner gira da “vincitore”, quando ancora il flop di Scrooged non è giunto, con una Warner Bros., contentona del successo di Lethal Weapon 1, che dà a Donner davvero tutto quello che vuole…

Donner disse che la Warner, nell”88-’89, era tornata a essere come una major della Hollywood classica (vedi anche, si diceva, il top billing), del tutto autarchica, completamente multinazionale, e Donner affermò che, in un organismo tale, quando “vinci” tutto si trasforma in una sorta di college e tu sei il quarterback della squadra locale: tutti vogliono la tua maglia!

Jennie Lew Tugend ha raccontato che qualsiasi cosa chiedesse gli veniva concessa, qualsiasi cosa…

E per questo Lethal Weapon 2 è più grosso:

  • le esplosioni non si contano
  • il cast è maggiore
  • la spettacolarità è pressante (dall’1,85:1 del primo capitolo, sentito come intimo da Donner per meglio concentrarsi sulle relazione tra i personaggi, si torna al 2,35:1, con tanto di almeno 3 doppi piani focali)
  • J. Michael Riva (lo scenografo: di quelli con cui Donner lavorava da prima di Lethal Weapon) costruisce un sacco: della «house on stilts» ci furono tre versioni: in modellino, in studio e *vera*, costruita perfino con i permessi edilizi della contea di Los Angeles, abitabile e ammobiliata: fatta solo per venire distrutta! [pare che Riva fece fare il progetto all’architetto John Lauter]

Molto di questo era anche merito di Joel Silver che insieme a Lethal Weapon aveva indovinato Predator e Die Hard, che però erano della Fox… in Warner, infatti, “comandò” sempre Donner, che intercorse con Silver un rapporto professionale molto cordiale, ma mai di vera amicizia… Donner fece scrivere sopra la porta del suo ufficio (quello con i flipper), si dice proprio per Silver, «Leave your ego at the door»…
ma, qualunque fosse la natura del rapporto, fu proficuo: Silver è produttore di molte delle cose fatte da Donner al fine di lasciarsi alle spalle la fatica di Scrooged che, oltre a Lethal Weapon 2, furono diversi episodi della serie Tales from the Crypt, del tutto finanziata da Silver (episodi tutti lavorati quasi in contemporanea a Lethal Weapon 2)…

Per cui a lavoro su Lethal Weapon 2 vediamo un Donner ispirato, contento, pieno di energia e lavoro, che si diverte proprio a girare, e infatti si vede che Lethal Weapon 2 è un film di “girato” quasi quanto il primo capitolo era ben compattato nel look

Il tanto girato è evidente, ovviamente, nel fantomatico Director’s Cut uscito nel 2000 e ancora circolante in diverse televisioni (un Director’s Cut con poco più di 4 minuti ulteriori di scene: subito dopo l’annuncio di Riggs sullo spot di Rianne, Riggs e Martaugh escono dalla centrale e parlano con un meccanico riguardo ai danni della station wagon di Trish; ci sono delle ragazze a cui Riggs fa delle avances nella piscina dell’albergo di Leo; mentre cercano la «house on stilts» c’è tutta una semi sparata anti losangelina [ricordiamoci che Donner è newyorkese], leggermente adombrata anche nella versione theatrical nel dialogo al supermercato tra Riggs e Rika [si dice che a Los Angeles non si respira dallo smog, per esempio], a cui si aggiunge il discorso su Leo che non si ricorda affatto l’indirizzo esatto della «house on stilts», con Riggs e Martaugh che cercano di mettere ordine nei ricordi sconnessi di Leo, impegnato nella sua logorrea nel dichiarare che il civico inizia con 9 perché lui è nato il nono giorno del nono mese, scrutando lo stradario di Bel Air con i numeri 9, e replicando il loro motto sulla tesi «very thin»/«anorexic» che coniarono nel primo capitolo; IMDb registra, nel Director’s Cut, un montaggio diverso della scena della bomba nel cesso, ma è un’info che non sembra confermata da altre fonti), ma soprattutto nello stile del film…

Nonostante la trama sia comunque consequenziale, Lethal Weapon 2 è come un mosaico di frammentini…
Rad che si lamenta di un Getz sopravvissuto dopo l’attentato in albergo, per esempio, è quasi un inserto che spunta dal nulla, così come la sequenzina di Riggs che tampina Rad fino a comparire sullo schermo della videosicurezza…
sembrano inserti improvvisi tutte le morti dei colleghi poliziotti…
è come se Lethal Weapon 2 fosse quasi più una serie di episodi, ricomposti dal montaggio…

Un montaggio, di Baird, assolutamente strepitoso, con solo la piccola pecca nei ralenti, molto anni ’80, del crollo della casa e della caduta del container, riscattati da uno degli inizi in medias res più adrenalinici di sempre!

Goldblatt, alla fotografia, risponde con la consueta radiosa gestione della luce del sole e delle riprese aeree, meno frequenti ma ugualmente ficcanti, con i doppi piani focali che si diceva, e con una molto più fascinosa (rispetto al primo capitolo), gestione delle riprese notturne…
E se Baird assembla i combattimenti quasi come un gioco appunto del montaggio, come se a lottare fossero i frame invece che gli attori (cosa evidente soprattutto nella prima uccisione di Riggs dopo il salto dal container: gli spari sembrano tutti ritmati dagli stacchi, in cui, fantasmatico, compare quasi come per magia il primissimo piano di Gibson), Goldblatt rilancia orchestrando le ombre (il set dell’ingresso della casa di Rika, pieno di lampioni che sembrano fare più buio che luce, è strepitoso), ombre che si fanno anche personaggio (in almeno due occasioni, Riggs diventa la sua ombra: quando reagisce agli elicotteri durante la crivellazione della roulotte, è l’ombra di Riggs a spuntare e a far fuori tutti, e di nuovo nel primo omicidio del container è l’ombra di Riggs che incede in avanti minacciosa: in Lethal Weapon 2, Riggs è ombra e poi anche immagine sullo schermo della videosorveglianza di Rad: un Riggs che è entusiasticamente cinema!)…

È ancora però il montaggio a spadroneggiare, sia nel drammatico (lo stacco sullo shot dall’alto delle mani di Riggs e Martaugh che si preparano per il salto nella vasca da bagno nella scena della bomba nel cesso è fantastico), sia nel comico: il cut tranciante tra la richiesta di discrezione di Martaugh sul cesso e la folla chiamata da Riggs per i soccorsi è esilarante, così come i veloci taglia e cuci che dànno i tempi comici sia alla scena del funzionario razzista che si stupisce che Martaugh sia nero (davvero da cineteca) sia alla scena dello spot di Rianne…

Una comicità (e tanto del merito va a Pesci, capace di inventarsi mille pun sulla perifrasi «Leo gets» assonante col nome Leo Getz; ed è una comicità subito annunciata in apertura dal jingle dei Looney Tunes), serve a Donner per stemperare un, ancora una volta, finale da giustizieri della notte, con tanto di distintivi che si mettono nei cassetti e l’invocazione della “questione personale”, molto esagerato…

Sebbene la scena di Patsy Kensit (un personaggio goduriosamente strumentale: spunta dal nulla, di lei non si sa nulla, ma azzecca perfettamente la sua funzione nella storia!) affogata, così improvvisa (ancora applausi a Baird per il montaggio), tramortisca non poco ancora a distanza di tanti anni, la risoluzione personalistica di vendetta non ne risulta granché giustificata, visto che, insieme a Rika e Victoria, Riggs la butta anche sulla solita rivendicazione, come nel primo capitolo, di payback per i poliziotti morti… cioè la butta nella trita questione “reazionaria” delle guardie che agiscono, per di più al di sopra delle legge, solo quando le vittime sono loro stesse…

fa tristezza, perché il finale in ogni caso riesce, si diceva l’altra volta, a ironizzare sull’omosessualità possibile tra Riggs e Martaugh, un’omosessualità che era stata così male appellata nel primo capitolo (e già prima del finale Rad usa «Kaffir lover» per insultare Riggs)

ma averla buttata in vendetta è un peccato in un film che era riuscito a costruire così bene la tematica della nemesi amoricida anche col monologhetto della penna d’oro… ed era riuscito a traslare il suo personaggio, Riggs, in ombre e immagini di cinema: meraviglie teoriche sentite da Donner, finora, solo nei suoi film top, e che forse mai più riuscirà a esprimere…

un peccato anche perché Lethal Weapon 2, buttandola subito sui dialoghi cartooneschi, e presentando tematiche tutte positive (l’antirazzismo [capace di essere veramente paradigmatico, vedi cosa intendo in Moloch], la mancanza del Death Wish in Riggs [che è capace di riinnamorarsi, pur soltanto per catalizzare l’istanza amoricida, e che smette perfino di fumare alla fine!], la felicità coi colleghi poliziotti, i growing pains di Rianne grande e sessualizzata) a controbilanciare tutte le scene d’azione, era davvero un stupendo esempio di equilibrio drammaturgico: forse uno dei più alti, in questo senso, risultati di Donner tour court

un Donner che, infatti, dopo Lethal Weapon 2 quasi cessa di essere “lui” proprio perché rinuncia all’equilibrio tra comico e drammatico per fare solo il drammatico, anzi, il patetico, quello che voleva fare in Inside Moves e che tenta di rifare in Radio Flyer, film che porta Donner a una delle sue più profonde e durature crisi creative, quasi una “crisi di mezza età” filmica, incorsa appunto quando Donner scavalca i 60 anni… una crisi che forse si esagera a definire crisi (poiché ne vengono fuori anche film molto carini) ma che in effetti farà tornare Donner in una sorta di retroguardia produttiva, quando con Lethal Weapon 2 era invece riuscito a raggiungere il top dei top (di Donner si vociferava per Batman, per Jurassic Park e altri film così: top di gamma che dopo Radio Flyer non gli vengono più proposti: segno, però, e ne riparleremo, che Lethal Weapon 3 non ce l’ha fatta a salvarlo da un flop come Lethal Weapon 2 lo aveva salvato da Scrooged: anche Lethal Weapon 3 è invischiato nel gorgo della crisi? lo vedremo!)…

Lethal Weapon 2, quindi, a mio avviso, è una delle vette di Donner (non a caso Donner “risale” dalla crisi con Conspiracy Theory, recante proprio il tema della nemesi amoricida tirata fuori in Lethal Weapon 2; e anche recante una poesia dell’immagine notturna appunto scovata in Lethal Weapon 2 e così reticente, se non assente, nei film in mezzo), forse l’ultimo film davvero extratop di Donner, con Conspiracy Theory e 16 Blocks come elegantissime e luminose code di una cometa alla cui testa c’è appunto Lethal Weapon 2

George Harrison fu convinto da Donner a fare la canzone dei titoli finali (e costituente il love theme di Riggs e Rika) dopo un momento molto buffo…

Donner dette una festa, non mi ricordo per quale occasione, nel 1988, nella sua casa a Maui e invitò tutti gli amici…

dopo poco tempo dall’inizio del party, però, Donner si stancò e si mise a fare una pennichella in camera sua mentre il party continuava…

nel sonno, Donner sentì sua moglie Lauren Shuler urlare «there’s a beetle in my house!»

nel dormiveglia, Donner si alzò, dimentico del party, prese uno scopettone e arrivò in mezzo agli invitati in mutande, pronto a scacciare lo scarafaggio…

invece Shuler si riferiva a George Harrison, cioè un Beatle (cioè della band The Beatles), appena arrivato al party portato da Michael e Olivia Kamen!

Si dice che Donner non si scompose, e accolse Harrison in mutande, subito dicendogli: «Hey, kid, how about writing the final song of my new movie?»

Notarella sulla musica: Kamen ricicla praticamente tutto quanto già fatto nel primo capitolo, ma aggiunge, piccolissimi, degli interessanti ritmi di percussioni etniciste (a evocare il Sudafrica) a designare i cattivi, ed è molto fantasioso il pezzo che accompagna l’ultimo duello (bella l’idea di far “sentire” un calcio con una sorta di fanfara quasi bandistica!). E stupenda è la musica che quasi trenodisticamente accompagna la crivellazione della roulotte, quasi un remake, ancora più triste, dell’Amanda del primo film…

Continua nella terza parte!

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Una risposta a "Un po’ di Arma Letale, parte 2"

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  1. Splendido l’aneddoto di George Harrison, e anche quello di Gibson molto sobrio e poi alla sua prima opera da regista, quel video è una chicca! :–)

    E siamo a due, piano piano ce la faccciamo a fare il nostro tanto sospirato omaggio a Donner! :–D

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