«L’armata a cavallo» di Isaák Bábel’

Denso ed estremamente aspro, Babel’ scrive una sorta di Taras Bulba in prima persona, e affascina per il suo sottrarsi alla linearità, alla narrazione e alla scorrevolezza: procede per episodi e immagini pennellate, per frammenti raggrumati di senso e di documento, documento della guerra, o meglio della lotta della Rivoluzione contro la reazione bianca nel 1920 (guarda caso in Galizia, cioè tra Polonia e Ucraina, intorno a Leopoli), transverberato in poesia truce e in simbologia di una eterna distruzione su cui si dovrebbe poi ricostruire una nuova “idea” che rimane all’orizzonte dell’utopia ma la cui sostanza è abbastanza concreta da dare conforto a diversi personaggi (il nucleo centrale parla di un rabbino e di suo figlio che, nonostante i lutti personali subiti dall’Armata Rossa, decide di rinunciare alla fede e arruolarsi con Trockij, convinto della “redenzione” del sol dell’avvenire). Nel frattempo, però, la rendicontazione delle violenze, delle contraddizioni del comando e dell’antisemitismo diffuso è precisa e crudele (e molto attraente è un protagonista che spera, in piena guerra, nella liberazione universale e per questo non riesce quasi a cavalcare e neanche a uccidere nessuno [neanche per pietà], se non un’oca; cfr. il fucile che non spara mai di Flëra in Idí i smotrí; molto diverso, invece, il caso di Joker in Full Metal Jackett)… 

Discontinuo e con problemi di filologia (il numero dei racconti inclusi differisce tra le edizioni: alcuni aggiungono lo speranzoso Il bacio, con suggerita e commovente love story, come ultimo “numero”), regala perle rare di evocazione letteraria…

Se non si può acquistare il costoso Meridiano Mondadori di Gianlorenzo Pacini (2006) non c’è che da ripiegare sulla versione Marsilio di Costanzo Di Paola con testo a fronte (1990) o sulla sua impressione “minor” (del 2002, poi più volte ristampata), con accluso il vero diario di Babel’ alla base dei racconti… Ancora molto diffusa la primissima traduzione italiana di Renato Poggioli condotta per Frassinelli nel 1932, proposta anche da Einaudi e Fabbri: bella ma nel traslare i dialetti russo-polacchi ricorrendo a toscanismi si sentono tutti i suoi anni, tanti che quasi appesantiscono il testo… ma va comunque dato atto a Poggioli e Frassinelli di essere riusciti a proporre un romanzo del genere in pieno fascismo (Poggioli spiegò che la sua versione, anch’essa la prima condotta in italiano, di Le avventure del bravo soldato Sc’vèik nella Grande Guerra, del ’33, fu invece sequestrata e proibita dal regime!)

Inutile ricordare che l’epos non eroicizzato dell’Armata a Cavallo, tra le altre cose, costò a Babel’ la vita: sebbene protetto da Gor’kij durante la segreteria di Lenin (vedi alcuni cenni in Godspell), fu accusato di spionaggio nella coda degli arresti di massa staliniani, e fu fucilato nel 1940; il suo archivio fu sequestrato e forse distrutto: un miracolo aver ritrovato qualcosa dei suoi documenti nel 1989-1990…

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