Belfast

Il problemone è che mi aspettavo di vedere un capolavorissimo, di quelli grossi…

Invece Belfast è un film edificante, intelligente e sensibile, ma sostanzialmente più dalle parti del gustoso pranzo familiare che del superfilmone filosofico superintellettuale…

È un film specifico per la mediocritas preponderante nel mondo moderno, quella dell’1% della popolazione che si dimentica del restante 99%… quell’1% che non si rende conto di certe cose, che non si ricorda di nulla, che si rapporta solo e soltanto alla propria esperienza personale…

Belfast comunica a quell’1% con una sceneggiatura non pesante, scritta “semplice”, per la proverbiale «casalinga di Voghera»… una comunicazione di concetti di cui, all’1%, manca solo la “percezione”, la constatazione…

E a quell’1%, privo di percezione, gettare addosso i fatti, lo abbiamo visto con il Covid, non porta granché risultati…

Occorre sintonizzarsi con la particolare cecità dell’1% appunto con intelligenza e semplicità, e dopo la sintonizzazione dire le cose con chiarezza…

Ovviamente banalizzare non è sempre la strada giusta…

ma qui non si tratta di banalizzare, si tratta di sintonizzarsi

Perché Branagh non banalizza per nulla…

I suoi modelli sono evidenti, cioè Roma di Cuarón e, soprattutto, Hope & Glory di John Boorman…
rispetto a Roma, che fu del tutto vuoto di Art pour l’Art, include tutti gli argomenti di metacinematografia; è invece quasi del tutto identico a Hope & Glory

Roma aveva la velleità di essere universale, ma finiva nel rimpiccolirsi nel particolarissimo (nella storia di una persona sola), e nell’apologia, quasi da sindrome di Stoccolma, della felicità della servitù (e ognuno si accontenta come vuole)… la macchina da presa di Cuarón era esagitata di virtuosismo fine a se stesso e sfoggiava una pretesa di bellezza degli stills fotografici “stilosi”… tutta quella configurazione, così finta, si spacciava però come un qualcosa di esterno alla vicenda che, come piovuto dal cielo, riprendeva casualmente la vicenda, una vicenda che però si pretendeva (di nuovo) verissima…

Branagh usa lo stesso brillantissimo bianco e nero di Cuarón (invece Boorman aveva gli stupendi colori di Philippe Rousselot) ma la sua macchina da presa partecipa con trepidazione, i suoi stills più che meramente “stilosi”, sono semanticamente architettonici, e la vicenda “vera” non è: si dice subito che la metacinematografia è fondamento dell’esperienza, tanto che la vicenda storicamente effettiva (i Troubles dell’Irlanda del Nord), è plasmata da immagini “fintose”, che però rendono quella realtà non meno realistica, ma appunto sintetizzata, resa vera dal finto

è il classico problema di rendere verosimile qualcosa che il cervello dell’1% non comprenderebbe se non ingegnerizzato, attraverso la fiction, per la comprensione...

è come la Madre per il bambino pre-senziente: non potendo accettare la complessità di una madre umana che è sia benevola (perché dà amore) sia malevola (perché dà anche regole e punizioni), allora il bambino elabora le informazioni, secondo lui contraddittorie tra malevole e benevole, costruendosi DUE madri fittizie (la mamma e la matrigna delle fiabe)… due madri che sussistono finché il bimbo non cresce e riesce a capire che possono coesistere, nella stessa persona, sia bene sia male…

Branagh fa così con i Troubles e fa così con tutte le altre cose che l’1% non capisce perché per lui troppo complicate…

per l’1% della gente, l’emigrazione è un qualcosa di inconcepibile: la gente tipo Meloni, Borghezio, Salvini, sta tutti i giorni lì a dire «ma ognuno deve stare a casa sua»…

Quando Mahmood vinse il Festival di Sanremo con Soldi, la domanda che più gli facevano era se gli mancava la patria… a Mahmood… che è milanese!
lo consideravano marocchino o tunisino perché suo nonno, un tempo, fu marocchino o tunisino…

è la stessa gente che considera Robert De Niro, Al Pacino o Lady Gaga degli ITALIANI, perché, un tempo, hanno avuto un trisavolo nato a Campobasso…

l’1% è così…

Affrontare questo 1% con paternalismo, o con supponenza, non serve a nulla!

Branagh sa che questo 1% va blandito, con una storia fatta apposta per elaborare concetti impossibili da “contenere” al primo sguardo (per l’1%, s’intende)…

E Branagh realizza la storia con arguzia e intelligenza…

con un occhio visivo speciale e architettonico…

che forma le sue immagini con materiale filmico, dell’immaginario (gli western della tv, la popular music di quei tempi)…

con attori che sanno con sicurezza come fare (Ciarán Hinds e Judi Dench vanno di spolvero, Caitríona Balfe è luminescente nei panni della madre, il ragazzino è ottimo, Lara McDonnell è carinissima e anche Jamie Dornan è più che buono… forse un po’ slavatini certi comprimari, specie i “cattivi”)…

tutta questa sapienza, fa sbalzare Belfast rispetto a discorsi come Green Book, ma non più del necessario…

perché Belfast non è quel capolavorone riflessivo, che fa pensare direttamente alla faccenda… Belfast vuole comunicare la faccenda a chi quella faccenda si rifiuta di vederla… rende la faccenda comprensibile a tutti quanti, con accortezza visiva e semplicità narrativa…

è per tutti quanti…

e non è un male…

e i grandi rètori della complessità potranno rimanerci male, perché non si trovano davanti una serietà di complessità, ma solo un filmetto familiare, familista, per certi versi adatto alla tavolata natalizia…

ma è al film della tavolata natalizia che l’1% è sensibile…

e se questo è necessario, è bene veicolarlo come ha fatto Branagh, con la conoscenza visiva al punto giusto, rispetto ad altri lavori che rimangono didascalici senza neanche una volontà visiva forte…

Mi aspettavo di più

ma non sono neanche rimasto deluso…

Vedi anche Sam Simon!

4 risposte a "Belfast"

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  1. eh anche io dal trailer e dal guscio di lodi e pregi che gli era stato cucito addosso mi aspettavo qualcosina di più…
    ma se servirà a far riflettere quel tipo di gente, ben venga :)

    invece ieri mi sono guardato Mississippi Burning
    è stato molto pesante da guardare, proprio per le convinzioni radicate di quelle persone, anche se nn scattavano in violenza era quasi se vivessero in un altro mondo (nemmeno epoca)

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