Branagh ritorna con gioia nel suo ruolo di adattatore di classici, di “stanislavskiatore” dei mostri sacri… tutta la sua carriera è fatta di elaborazione “verosimigliantizzata” dei grossi calibri della sapienza…
Da Shakespeare a Thor, passando per Frankenstein, Branagh approda con felicità a Poirot…
questo suo secondo lavoro da Agatha Christie, dopo lo stupendo Murder on the Orient Express, è meno compatto, più noiosetto (la prima parte è lunga parecchio), ma molto ben lavorato a livello di umanizzazione del classico…
il Poirot di Branagh è un Poirot che piange e si dispera, che ha tutta la sua backstory al punto giusto…
i personaggi del giallo, invece di essere stilose funzioni del mystery, quasi iconografiche, come erano nel precedente film di Guillermin del ’78 (con uno stuolo di divi appunto iconici, da Bette Davis a David Niven, da Peter Ustinov a Mia Farrow), si sforzano davvero tanto di “animarsi” invece di rimanere illustrazioni di riempitivo in una maglia attanziale definita…
Branagh, con lo sceneggiatore Michael Green (e i soldi, tanti, di Ridley Scott), trova bene il sottotesto della passione amorosa come espediente per la stanislavskizzazione dei personaggi, espediente capace anche di immettere un’anticchia di “filosofia” nel terreno di edonismo combinatorio del whodunit della “camera chiusa”…
nel rischio del giallo classico (quello che affligge tutte le fiction odierne sull’argomento, che sono tantissime), cioè quello di fare del delitto il mero agente della “camomilla” del «problema che si risolve», con la morte che è soltanto il simbolo di un problema posto allo spettatore per puro scopo consolatorio (tanto che la “morte” è quasi sempre spesso dimenticata da tali gialli: la morte scompare perché è segno di un problema, un problema che è lì per essere risolto, e si risolve!, illudendo tutti che non esistano problemi ma solo soluzioni, in barba alla metafisica e all’entropia termodinamica che invece ci fanno vivere in senso del tutto contrario: i problemi non si risolvono per nulla e si piange!), Branagh riesce a farci sentire quelle morti come pesanti, come straziose, e, come certo Victor Hugo o come certo Tolstoj o come certo Giacomo Puccini, le rende conseguenze di una stupidera folle di sentimento amoroso irrazionale, anarchico, che si alimenta solo e soltanto con il denaro per essere pienamente vissuto…
Branagh rende l’amore una causa dell’avarizia (nel mondo di Poirot, che è il mondo contemporaneo, possono vivere l’amore solo i ricconi), e un comburente della morte: non solo nel classicissimo sintagma Eros e Thanatos, ma anche nel sistema economico:
l’amore colpisce come il Cupido antico, a caso e senza perché…
…ma per amare occorrono i soldi, perché si sta in un mondo classista…
e in un mondo classista i soldi sono quasi consustanziali all’amore…
ma per avere i soldi, in un sistema come quello contemporaneo in cui il denaro c’è per nascita e non viene “ridistribuito” per nulla, ci vuole la morte: morte tramite la quale il denaro si eredita, si ruba, si “agguanta”…
Branagh riesce a parlare di tutto questo, agendo bene sui suoi attori, che rende capaci di emozionarsi, di piangere e di agitarsi…
Emma Mackey è una fantasmagoria di esagitazione devastata…
Tom Bateman è un gagliardissimo “cocco di mamma” che sturba e turba per sentimentalismo…
Gal Gadot è brava a fare la bellona fuori dai canoni e dai gangheri…
Armie Hammer forse è quello che si adagia di più nello stereotipo…
Branagh è bravissimo a sistemarsi nel simpaticamente patetico e umanizza davvero tanto il sempre troppo “pittorico” Poirot…
gli altri (tanti, da Annette Bening a Rose Leslie) fanno molto bene il loro mestiere…
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In tutto questo, Branagh usa meno appigli metacinematografici, e per questo Death on the Nile è meno interessante dell’Orient Express, ma la forza della metafinzione è comunque alta…
Jim Clay, alle scenografie, rinnova il lusso di ostentata paccottiglia dell’Orient Express e Branagh aggiunge un sacco di animali CGI lì a dipingere una natura di predatori implacabile, specchio delle rabbie assassine degli esseri umani, come se la morte data per avarizia amorosa facesse essa stessa parte di una natura “violenta” per ontologia…
e questo è comunicato con un surplus di finzione, finzione adatta a comunicare certi fatti…
Haris Zambarloukos aiuta Branagh in scoraggianti panegirici di pellicola (dai titoli finali e da IMDb sembra che il film sia girato in 65 mm), sia di movimento sia di illuminazione…
I long takes sono lunghissimi, e solo ogni tanto sono interrotti dai precisamente diegetici stacchi (il montaggio è di Úna Ní Dhonghaíle)…
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È un film di classico rinverdito…
di energizzazione e umanizzazione contemporaneista dell'”antico”…
è uno spettacolo di altri tempi, meno pregnante dell’Orient Express ma ancora con un’energia “sana” che fa stare bene… lo stare bene come fanno stare bene davvero i classiconi, i must, gli standard…
Branagh non attualizza direttamente, ma attualizza in maniera tangenziale immettendo passioni di oggi nelle figurine caratteriali di ieri, ricordandoci quanto quelle figurine fossero esse stesse cristalizzazioni di pensieri e idee non solo di ieri ma di tutti i tempi: cristalizzazione di una umanità che sempre quella è… basta solo aggiornarla leggermente storicizzando i sentimenti (il sesso è molto più evidente, soprattutto rispetto al Guillermin del ’78), e aggiornando il bric-à-brac del décor e dello showing in termini significanti e consapevoli del rapporto tra sentimento e finzione (rapporto che si presta sempre benissimo al giallo, storia di inganni, nel senso di finzioni, per eccellenza: tutto il fintosissimo, entrante e arditissimo sistema scenografico-fotografico, così palese e così “ingannante”, poiché ci fa subito consapevoli di stare assistendo a finzioni cinematografiche, esprime perfettamente la natura di bugia e sotterfugio propria del mystery)…
è un film piacevole…
è sano intrattenimento intelligente…
forse non di più…
ma forse tanto basta…
Bella recensione come al solito
Io ne parlo domani e nn così bene e non così tecnicamente 🤣
Più che altro non ho capito i virtuosismi di camera che si adagia sul letto del fiume e un prologo tanto particolare
Se ne parlerà!
Io adoro i virtuosismi di macchina quando sono così diegetici, fatti per “mostrare” la trama, quasi quanto li detesto quando sono fatti solo per il gusto di farli…
Per me la trama si capiva bene anche senza di essi. Li ho trovati inutili e anche fastidiosi
E vabbè!
che senso aveva mostrare dopo una conversazione il coccodrillo che catturava un gabbiano?
cmq tra un quarto ne parlo sul mio blog^^
Mi autocito: “Branagh aggiunge un sacco di animali CGI lì a dipingere una natura di predatori implacabile, specchio delle rabbie assassine degli esseri umani, come se la morte data per avarizia amorosa facesse essa stessa parte di una natura “violenta” per ontologia…
e questo è comunicato con un surplus di finzione, finzione adatta a comunicare certi fatti…”
boh, io non ho apprezzato
li ho trovati dispersivi
Grazie!
Mi risollevi il morale.
Io adoro troppo Agatha e dunque suppongo di non essere lucida, ma sono già aggrappata a questa umanizzazione di Poirot, che è pittorico nella sua natura, ça va sand dire, ma il rischio di sfumature caricaturali è stellare.
Ovviamente parlo senza aver visto, ma già la morte che non è “un problema da risolvere” è notevole e opposto a questo “amore causa dell’avarizia che descrivi.”