La «Salome» di Chailly/Michieletto

Sarò brevissimo perché della Salome (già nelle Musiche ispirate alla luna) un giorno parlerò “per bene”…

Si sa tutti che doveva essere Zubin Mehta a dirigerla, ma, dopo un paio di ottimi concerti streaming da Monaco e Firenze (in entrambi ci ha regalato dei fantastici Preludes di Liszt!), è stato sopraffatto dall’affaticamento (Mehta ancora non riesce a capire che certi ritmi professionali pesano anche sui 45enni!)…

E Mehta era un “esperto” della Salome
La sua incisione a Berlino fu una delle 4 “grandi incisioni” dell’opera che spuntarono per miracolo tutte nel 1990:
in quell’anno, il 30 settembre, Giuseppe Sinopoli e Brian Large filmarono l’allestimento di Petr Weigl dalla Deutsche Oper di Berlino…
dal 3 all’8 e il 12 novembre, Mehta fissava l’opera in studio per la Sony, alla Jesus-Christus-Kirche di Dahlem a Berlino, con i Berliner Philharmoniker…
non si sa quando a novembre anche Seiji Ozawa incideva Salome per la Philips, su volontà di Jessye Norman (Norman e Ozawa lavoravano bene insieme: fecero anche, per esempio, i Gurrelieder a Boston nel ’79 e nell”82; Carmen a Parigi nell”88; l’Oedipus Rex al Saito Kinen nel ’92): registrazione in studio alla Lukaskirche di Dresda con la Staatskapelle Dresden…
infine, a dicembre, Sinopoli sistemava la sua lettura in disco, ancora con la Deutsche Oper e di nuovo alla Jesus-Christus-Kirche di Dahlem, appena un mese dopo Mehta…

Nonostante le tante letture precedenti, immense e “classiche” (le tante proposte di Karl Böhm, dal live di Amburgo del ’70 al film di Götz Friedrich dell”81; la osannata incisione di Karajan della Sofiensaal di Vienna nel ’77; la splendida edizione di Georg Solti, anch’essa dalla Sofiensaal, del 1960), il “mercato” ha molto distribuito i 4 dischi del ’90 che erano, anche, le più aggiornate proposte delle major, certe volte anche le “uniche” Salome del catalogo delle etichette (Mehta per Sony e Ozawa per Philips)…

La versione di Mehta, per giunta, grazie alla perizia dei Berliner Philharmoniker, si imponeva come gioiello lampeggiante di tutta la discografia dell’opera…

Sentire qualcosa di “diverso” da queste 4 proposte è stato, dal 1990, molto difficile…

E anche a livello “scenico”, si è “imposto”, a un certo punto, un modello rappresentativo “standard”, stabilizzato soprattutto da Robert Carsen (nel 2008 o giù di lì) o anche da Jürgen Flimm (intorno al 2004), cioè una Salome con costumi contemporanei, spesso anni ’30…

Chailly, riprendendo le prove da Mehta, si instrada molto sulla sua lettura del ’90, anche se ammanta molto la musica di quella texture roboante ma lenteggiante proposta da Ozawa…

Non ha fatto una lettura brutta, ma, come ha fatto nella Fanciulla del West (che fece proprio con Carsen nel 2016) ed esattamente come ha fatto Ozawa nel ’90, nella voglia di far sentire i preziosismi strumentali, ha un po’ sfilacciato e perduto la tensione e il senso narrativo… l’apertura della cella di Jochanaan, i suoi rifiuti, le ripetizioni di Herodes su non uccidere Jochanaan, oppure la disputa tra i dotti ebraici, sono cose che Strauss aveva fabbricato con ottima verve teatrale, diegetica e di grande “azione”, e che Chailly annacqua, preferendo, alla spinta tramesca, l’ordito timbrico dell’orchestra…
e va bene eh, ma fa rientrare Salome nella vecchia idea del poema sinfonico con canto, come è stata intesa fino alla Seconda Guerra Mondiale, e quindi un pochino immobile e marmorea, invece che viva e vegeta da splendida azione teatrale come era in origine, e che proprio da Sinopoli e Mehta nel ’90, e da Solti nel ’60, si era “riscoperto” essere…

In ogni caso, l’orchestra ha seguito Chailly in questa impostazione “illustrativa” con grande efficacia, e, ovvio, alcune caratteristiche “decorative” straussiane, tipo i suoi arzigogoli Secession, grazie a questa impostazione rifulgono ottimamente: avulsi dal loro contesto narrativo, ok, ma rifulgere rifulgono eccome!

O meglio, avrebbero rifulgato con una ripresa audio adeguata, come NON è stata quella della RAI, che ha appiattito massicciamente tutte le accensioni orchestrali che si sentivano essere molto più strong di quelle che uscivano dalla trasmissione…

Michieletto ha seguito bene le idee figurative di Flimm e Carsen cercando di buttarla sui drammi del patriarcato, con un Salome bambolosa e innocente che è stata insozzata dalla mamma e dall’incestuoso patrigno…
Una Salome che sarebbe stata un angelo se non fosse stato per la società che l’ha lordata…

Vabbé, ok… non c’è nulla di male e tale idea è stata realizzata in modo eccellente in uno show bellissimo…

certo è che sentire, nella musica, una Salome innocente e angelicata, com’era quella che hanno realizzato Michieletto ed Elena Stikhina, una Salome che gioca con le bamboline e che vede una se stessa infante carina e carezzevole, beh, a me sembra assai difficile… poiché nella musica a me sembrano evidenti i gineprai psichici e patologici di Salome; nella musica mi sembra evidente che la sua lussuria è bella volontaria invece che “subita”; mi sembra evidente che la sua vendetta nei confronti di Jochanaan, tutta ammantata di scopofilia e di voglia di prevaricazione, è una sua “violenza” voluta e perfino, pazzamente, “liberatrice” della sua condizione di essere stata rifiutata, come se vendicandosi di essere stata ignorata, Salome si “eroicizzasse” nel suo narcisismo pazzo, perpetuando la follia nichilista del matto da legare che preferisce essere matto invece di guarire: una violenza che Wilde e l’estetismo hanno presentato spesso (vedi, in Wilde, la Florentine Tragedy; vedi le violenze anche di Ibsen, come Hedda Gabler che preferisce ammazzarsi piuttosto che imborghesirsi; o i tanti aggrovigli sadico-edipici di D’Annunzio, Maeterlinck o Pirandello), e che Strauss mette in musica colpendo sì la società patriarcale, ma di lato… Cioè, secondo me, Salome preferisce rimanere folle come parte integrante di quel patriarcato che l’ha insozzata, e facendoci vedere il suo trionfo manicomiale Strauss e Wilde ci dicono «vedete cosa si produce col patriarcato? si produce questa follia felice di essere follia»…
Senza contare, ovviamente, le tematiche estetizzanti sadomasochistiche del ‘comparto’ Eros/Thanatos, che la musica avviluppa ben al di là del problema del patriarcato! [Joris-Karl Huysmans spiega benissimo perché il “mito” di Salomé abbia tanto attecchito nel Decadentismo: perché “paradigmatico” di tutti gli interessi distruttivi e autodistruttivi del Decadentismo: dai riferimenti iconografici usati, si vede bene quanto Michieletto abbia tratto da Huysmans, purtroppo, però, a questo punto, solo nella forma e poco nella sostanza]

Se invece si fa del gesto impazzito di Salome una liberazione dal patriarcato, dicendo che, in fin dei conti, poverina, non è colpa sua se ha ammazzato e, non solo, se si dice che Salome sta lì a godere della morte perché “gliel’hanno insegnato gli altri”, mah, secondo me si veicola il messaggio della musica solo a metà, visto che di “angelico” e di “buono”, la musica odaliscosa (quando si rivolge a Narraboth si sente che Salome sa di stare agendo “perversamente”), rincretinita (quando “parla” Salome risuonano a ripetizione le sue quattro note come se fossero inceppate [per altro, la terza nota, più lunga delle altre, denota di per sé un andamento “sdrucciolevole”: è come una improvvisa “scivolata”], segno che, nella sua psiche, qualcosa “non va”) ed esoticamente lasciva (mentre sta lì a baciare la testa di un morto la musica è iperbolicamente lussuriosa, produce davvero quasi uno “schifo” nell’ascoltatore) che Strauss le appioppa non ha proprio nulla!
Vedere una Salome porcellanosa e infantile quasi presessuale, che si macchia di sangue, in quella musica lì, che invece dipinge una Salome pimpante di sesso e di assurdo piacere ematico (simile ai coevi protagonisti di Franz Schreker, vedi le Musiche per il giorno della memoria, che di Strauss erano interlocutori quotidiani), mah, mi risulta difficile…
Vedere una Salome che si catatonizza via via, nella presa di coscienza di essere stata vittima del patriarcato, in quella musica che la rende di fuori come un terrazzo e imbevuta di sadomasochismo di Eros=Thanatos fin dall’inizio, mi risulta difficile…
Vedere una Salome che si atteggia a presessuale anche quando blatera (in musica, non solo a parole) a Jochanaan di volerlo rimbalzare di amplessi cannibalistici, mi risulta difficile…
Però, vabbé, quello che penso io è ininfluente e anche il contrasto con la musica, comunque, non è stato privo di fascino e efficacia!

[inoltre, anche in Wilde, il dramma di Salome, spesso, è “edipico” se non “elettrico” (da Elettra): è con Erodiade, più che col patriarcato, che Salome ha evidenti problemi di amore/odio e di repulsione che si accompagnano a perversa imitazione, problemi che la musica azzecca a mille, e che Carsen, genialmente, sviscera con classe (la Danza dei Sette Veli di Carsen è fatta da Salome che imita Erodiade; e, alla fine, Carsen uccide Erodiade, e lascia Salome a vagare nella sua eroicizzante follia!)… E sono i problemi che Strauss e Hofmannsthal trovano anche in Elektra, ovviamente… (anche Elektra sta tutta l’opera a voler uccidere la madre! E curioso notare come sia Salome sia Elektra non riescano a fare un bel nulla da sole, devono irretire o attendere qualcun altro che le “accontenti”: sono in un certo senso “mandanti oscure”, “anime nere” che manipolano, sentimenti ctoni di violenza, oppure funzioni di giustizia che manovrano il destino e che quindi periscono una volta che quel destino si compie, o magari sono lascivia e istinto che una volta eruttato svanisce lasciando solo i cocci: e la musica le descrive così, non certo come bamboline poverine sante e lordate da qualcuno “più cattivo” di loro; forse esprimono anche il dramma delle donne di allora, private del potere, e quindi è il raggiro degli altri l’unico modo che hanno per fare qualcosa, parenti della Marchesa di Merteuil e naturalmente di Lady Macbeth, della Kundry del Parsifal di Wagner, e delle donne bibliche – Dalida, Giuditta ecc. -, e magari mamme della Renata dell’Ognennyj Angel di Prokof’ev, di Emilia Marty aka Elina Makropoulos del Věc Makropulos di Janáček, della donna sola di Erwartung di Schoenberg, della Lulu di Berg, della Lady Macbeth di Mcensk di Šostakóvič, ecc. ecc.)
le idee di Michieletto sarebbero funzionate meglio se, invece di Jochanaan, Salome sterminava Erode e tutta la sua corte prima di delirare sui «misteri della morte e dell’amore»]

Sempre vittima dei miei attacchi (vedi il Macbeth da Parma), stavolta Arnalda Canali alla regia TV è stata *perfetta*, da Oscar!

Come è successo per l’Otello al Maggio, l’assenza del pubblico le ha permesso di posizionare carrelli davanti al palco capaci di fascinosissimi movimenti di macchina, fluidi e goduriosamente ancorati all’andamento melodico della musica, capaci di farci vedere, in un unico shot, sia il particolare sia l’insieme della scena (ricca di tutti i simbolismi stramboidi nei contorni) conservando quella tensione narrativa che in Chailly mancava!

Uno spettacolo!

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