Naturalmente Einaudi!
Naturalmente dovuto in questo periodo di pandemie, già affrontato in Musiche per le epidemie, e in sintonia con Delirium…
S’è detto tutti quanto sia stato perturbante che Ammaniti, nel 2015, abbia immaginato un virus che portava via l’intero mondo nel 2020, e che, in qualche maniera, lasciava per un po’ liberi i bambini (anche se oggi si parla di connessioni con le troppe polmoniti Kawasaki occorse ai bimbi)…
Tutto quel che si è immaginato Ammaniti, dal punto di vista epidemiologico, si può dire che si è avverato, anche se il primo focolaio, lui l’ha immaginato in Belgio…
È anche vero, però, che, dopo la SARS e dopo il film Contagion (di Soderbergh, del 2011, oggi al top dei noleggi Warner, secondo solo a Harry Potter), molti parlottavano già di possibili disastri che il vivere globalizzato avrebbe comportato se, nel mondo, fosse apparso un virus… Bill Gates ci faceva le conferenze e David Quammen ci scriveva i saggi (Spillover è del 2012 e Adelphi l’ha tradotto nel 2014)…
Ma, a tutto questo, io mi sento di rispondere «Grazia Alcazzo»…
Si fa presto a prevedere i disastri in un mondo, oggi è evidente più che mai, che non intende in nessun modo munirsi di piani d’emergenza, in nessun contesto…
Si fa prestissimo a prevedere una disastrosa inondazione di Genova che sfascerà l’intero centro città, un devastante terremoto nel centro Italia appenninico che cancellerà paesini di cui si “compone” l’economia e il vivere di intere regioni, o un’eruzione del Vesuvio che ucciderà 4 milioni di persone, o un’altra crisi economica come quella del 2008 che farà finire senza lavoro chissà quanti…
E lo si può fare facilmente non perché si è geni o grandi pensatori, ma in forza del fatto che basta osservare un attimo quanto il sistema vitale, chiamiamolo “capitalistico”, su cui si basa la convivenza sociale, in qualche modo *implichi* di per sé la rinuncia a certe reti di salvataggio che, in quanto estranee al “guadagno”, non possono essere per niente prese in considerazione dal “sistema vitale capitalistico”…
E ciò lo si vede da sempre…
E perfino l’appellarsi a un sistema non capitalistico, che preveda piani di salvataggio o fondi d’emergenza finanziari, è inutile, perché un sistema non capitalistico non attecchisce in una popolazione umana che è dai tempi della scelta dello stanziamento agricolo che *preferisce* avere una percentuale di “mortalità” compatibile con una moltiplicazione di individui, moltiplicazione che si realizza proprio grazie all’illusione di possedere e guadagnare *di più*, illusione che il capitalismo “garantisce” più di ogni altra cosa…
Ed è in forza di quella *illusione* che, col tempo, l’uomo ha concepito e poi accettato, in modo delusionale, di non poter avere *emergenze*, né finanziarie né infrastrutturali…
Si è preferito costruire sul Vesuvio, perché così guadagnava la ditta edile, invece di avere un piano d’emergenza del Vesuvio…
Si preferisce, vedi il modello Bertolaso, ogni volta tirare su dal nulla baracconi e capannoni effimeri per “contenere le vittime” invece di avere strutture “fisse” in grado di amministrare quelle che non sono “emergenze” ma “certezze” e quindi fare in modo che di vittime non ci siano…
C’è il terremoto? Bertolaso fa la baraccopoli con le unità abitative costruite da un imprenditore…
Sarebbe meglio avere rifugi appositi fissi così che, alla prima scossa, ci si metta lì e non si muoia?
Ma no, naturalmente: chi le pagherebbe?… e che non le paghi nessuno viola il contratto sociale che è basato solo e soltanto sul comprare e vendere…
C’è il COVID? Bertolaso fa un ospedale effimero, costruito dagli imprenditori, e ne propone uno dappertutto…
E non era meglio avere ospedali pubblici, con terapie intensive, fin dall’inizio?
No, naturalmente: perché col pubblico non si guadagna…
Tutto questo è radicato nella mente dell’uomo, perché il capitalismo è come una religione… è una religione che promette ricchezza come le grandi religioni monoteiste promettono paradisi e resurrezioni ultraterrene…
Per ottenere il paradiso, le religioni “impongono” comportamenti idioti, cose specifiche da mangiare, ripartizioni morali inventate, cose del tutto al di là di un quotidiano… e se non obbedisci ai comportamenti e non mangi come prevedere la religione, finisce che il paradiso non lo ottieni, e muori come tutti gli altri… ma l’illusione, nell’uomo, attecchisce lo stesso… e anche se ti comporti benissimo, come le religioni vogliono, e muori lo stesso, vabbé, la cosa, per il pensare religioso, non inficia la validità del comportamento religioso, perché “si sa per certo” che tutti quelli che seguono i dettami sono andati in paradiso, solo tu sei stato sfortunato a non andarci… sei aneddotico rispetto alla regola…
Il capitalismo propone ricchezza, e per ottenerla “impone” i suoi comportamenti, le sue morali inventate, e le sue categorie di pensiero: e se non segui quei dettami non diventi ricco, e anche se seguendole ricco non diventi, vabbé, sei anche lì l’aneddotico che non inficia la regola: molta più “conferma della regola” si vede dai quattro morti di fame che, obbedendo alla religione capitalista, diventano ricchi quasi “per caso” (tipo Zuckerberg o Jobs), e grazie a questi esempi, quindi, possono essere trattati come semplici episodi singoli i miliardi di individui che, pur vivendo in modo “capitalistico”, ricchi non diventano, e rimangono morti di fame…
Nei secoli le religioni monoteistiche, e l’analoga religione capitalista, hanno prosperato… evidentemente perché il cervello dell’uomo, si diceva, trova in essi il terreno maximo di soddisfazione delle sue voglie di moltiplicazione della specie (e interessanti, spesso, sono le implicazioni proprio riproduttive di queste religioni: l’ebraismo impone ai fedeli di fare almeno due figli, un maschio e una femmina, e impone perfino di insistere finché non si producono esemplari di entrambi i sessi! Il cattolicesimo vieta il sesso se non è finalizzato alla procreazione! Il capitalismo si serve dei “bambini” [naturalmente solo quelli occidentali] perché è proprio con la scusa di dover mantenere i bimbi fatti che impone lavoro anche schiavistico agli adepti… Queste sono tutte cose che solleticano una infinita moltiplicazione della specie, evidentemente insita nell’encefalo umano)…
Ma se le regole capitalistiche sono religiose, come si pretende di pensare a piani d’emergenza contro calamità naturali o virus?
Che si sia nella “religione” si vede dal fatto che tutti quanti, per mangiare, debbano lavorare, avere uno stipendio dovuto a un lavoro, un lavoro che però non può esserci a causa del virus…
A questa gente che deve mangiare gli si dice «eh, non lavori, allora non mangi»… allora viene fuori «ma come faccio a lavorare se c’è il virus?»…
A questa domanda, non prevista dai dogmi della religione capitalista, il sistema va in crash…
Quel sistema che non ha previsto emergenze, perché quelle emergenze erano al di là del guadagno!
Finisce che l’unica cosa che si sente dire in proposito non è «occorrono fondi d’emergenza»… si dice «bisogna trovare un cavillo, nel dogma capitalista, per avere finanziamenti a fondo perduto per l’emergenza, che però non intacchino il dogma capitalistico stesso!»…
E si sente dire anche «si deve riaprire tutto così la gente torna a lavorare e guadagnare, così potrà mangiare, e si deve riaprire anche se c’è il virus!»…
E si dice anche «negli altri paesi veramente capitalistici, veramente credenti nella religione, si apre, e si apre “prima”: finirà che quei paesi, davvero credenti, mangeranno meglio di noi, mentre noi si morirà di fame!»
E questi sono sofismi teologici, religiosi, non tecnici né realistici… è, secondo me, evidente…
Come è evidente che il COVID non cambierà nulla di quel cervello umano che è così adatto a quelle religioni così tanto che quelle religioni le ha appunto *create*…
E già Camus, nella Peste, che è del 1947, ci era arrivato: nel suo romanzo la Peste arriva inutilmente e non porta ad alcun “risveglio di coscienza”, ma solo a ricordi nella mente di chi l’epidemia l’ha vissuta, ricordi che però svaniscono nella mente di quelle persone, che ritornano alle loro vite, e “scordano” e muoiono, così come scordavano e morivano anche prima dell’epidemia…
Sicché che un autore, nel 2015, sia arrivato, come un miliardario, un giornalista e un regista, a dire che un virus scardinerebbe un mondo religioso capitalista che vive in forza del guadagno così tanto da non prevedere alcun elemento d’emergenza estraneo al guadagno, alla fin fine, non è una cosa così insolita…
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Tra l’altro Anna di Amminiti, di tutto questo non parla affatto!
Anna è una piacevole storiellina horror, costruita anche fin troppo su 28 Days Later di Boyle (2002), piena di quei macabrismi schifosi che ad Ammaniti piacciono tanto…
Le descrizioni di teschi, di ossa rotte, di cadaveri putrefatti, non si contano…
Così come non si quantifica la gioia, anch’essa connaturata ad Ammaniti (e ne sto parlando come se lo conoscessi: invece è il primo romanzo che leggo! Di lui conosco solo il film di Salvatores tratto da Io non ho paura e un’intervista con Dario Argento in cui diceva, contrapponendosi ad Argento, proclamante la sua ossessione horror originata dalla scoperta in gioventù di Edgar Allan Poe, di aver trovato una vocazione macabra senza alcun appiglio letterario: in modo innato, da bambino, era più attratto dai teschi che dalle caramelle!), di descrivere i bambinacci, i bimbi cattivi, amorali, che si scrivono le regole da soli, privi di qualsiasi influsso adulto, arrivando a costruire società strambe, forti delle loro convinzioni “assurde” inventate senza alcuna mediazione razionale ma solo con l’istinto di un cervello non ancora “cresciuto”…
Anna descrive i bimbi che, col cervello non cresciuto, ma già carichi di alcune esperienze traumatiche che non sono stati in grado di capire anche se rappresentano il loro unico orizzonte cognitivo capace di creare “istinti” e modalità di azione, reazione e pensiero, assurdamente tirano a campare in un mondo devastato, in una Sicilia deserta, infuocata, con città aggredite da alberi e arbusti, che rappresenta uno dei più slurpanti motivi di interesse di un romanzo che, pur sciorinando bene le istanze del nichilismo comuni a Camus, incappa in alcuni problemi narrativi…
Problemi dovuti alla troppa frequentazione di quei prodotti che, oggi, sono considerati il top, ma che, al contrario, rappresentano il più atroce rattrappirsi dell’arte della narrazione… quei prodotti sono le SERIE…
Ammaniti, in Anna, più che un romanzo fa una serie, una miniserie di MERDflix (House of Cards, la prima serie di massa dell’agglomerato mediatico, è del 2013, due anni prima di Anna), in 6-7 puntate… e sono puntate che, purtroppo, al di là dell’ottimo paesaggio, della ficcante efficacia delle descrizioni degli stati d’animo e delle configurazioni nichilistiche, sono puntate che non dicono granché…
come in tutte le serie, specie quelle di MERDflix, anche in Anna si narra benissimo ma non si sa bene cosa effettivamente narrare…
Perché le serie sono organismi fallaci…
Perché sono prevedibili… quasi sempre…
anche quando non lo vogliono essere, finisco per esserlo…
Cerco di spiegarmi…
Spesso, nelle prime puntate, una serie si definisce…
Se in una serie, a puntata, che ne so, 7, i protagonisti si trovano ad affrontare una difficoltà atroce, in quella puntata si assisterà alla definizione della serie…
Se davanti a quella difficoltà ci saranno concrete minacce di morte dei protagonisti, su quel terreno si giocherà la definizione…
Se, nella difficoltà, si *salveranno* tutti i protagonisti allora la serie è definita: e, visto che è definita è prevedibile…
perché, dalla puntata 7 in poi, si saprà automaticamente che i protagonisti non moriranno MAI, anche se dovesse verificarsi la qualunque… al massimo, qualcuno morirà nel cliffhanger di un season finale, o, addirittura, nel series finale… ma, in mezzo al continuum della serie, i protagonisti saranno sempre salvissimi: e se uno si getterà nella lava, generando suspence, quella suspence è inutile, poiché si saprà che quel personaggio tornerà dalla lava sano e salvo…
Se, invece, a puntata 7, davanti alle difficoltà, uno dei protagonisti *muore*, allora i protagonisti moriranno SEMPRE… in tutte le puntate…
anzi: appena un personaggio userà un tempo verbale al futuro, in qualsiasi condizione, allora quel personaggio morirà… anche se solo dirà «domani vado a comprare le sigarette», quel personaggio è condannato…
Secondo queste premesse, le serie si *prevedono*: risultano macchine di narrazione precisa di qualcosa che, in qualche modo, si sa già, è già definito…
Alla prima season finale si definirà altresì il fatto che le serie sono organismi che, proprio in quanto serie, viventi appunto di continuazione, accettano poco bene le conclusioni: sono organismi che fanno finta di poter procedere all’infinito, seppur nei limitati orizzonti della loro prevedibile definizione… vanno avanti, avanti, avanti, avanti, anche, e soprattutto, là dove non c’è più nulla da dire…
sono narrazione, si diceva, senza narrato, senza neanche un narrabile…
e infatti è facile non solo rintracciare episodi clone di altri, ma anche serie cloni di altre serie…
Essendo Anna un libro che di episodi ne ha solo 6 o 7, si definisce ben presto…
Quando, a episodio 4 o 5, si vede il destino di certi protagonisti, allora i restanti episodi vanno avanti di una inerzia un po’ pesantina, a determinare un nichilismo sì ineliminabile dalla vita, ma che non è “vera narrazione”…
In Anna c’è una mancanza di narrazione che giunge anche ad episodi cloni (il penultimo che clona il secondo, per esempio), che solo con grosse licenze si possono giustificare con Ringkomposition…
In Anna, la mancanza di narrazione traspare, anche, dalla mancanza di conclusione!
E il dire «come lo finivi, se dovevi giungere al nichilismo?», non tiene conto delle possibilità offerte, in contesti simili, a quelle che sono vere narrazioni, e che, come aliti di spirito, aleggiano fin troppo su ogni aspetto di Anna… quelle vere narrazioni, se si conoscono le quali, Anna sparisce un pochino…
Il pensiero va al solito Lord of the Flies di Golding, 1954 (se proprio è troppo ovvio pensare al Peter Pan di Barrie dell”11)… ma non solo…
Anche Empire of the Sun (il libro di J.G. Ballard, del 1984, più del film di Spielberg dell”87)…
O The Fisher King di Gilliam, 1991 (vedi Sam Simon)…
Naturalmente The Road di Cormack McCarthy (2006), di cui Anna è certe volte puro calco (e io ho soltanto visto il film di Hillcoat del 2009, da tutti adorato, ma da me solo pacificamente rispettato e non di più: vedendolo mi calò la palpebra, lo ammetto!)
Tutti questi esempi hanno dalla loro il procedere, più o meno, secondo una certa parabola narrativa (di esposizione-sviluppo-ripresa, oppure di situazione-peripezia-crescita) che è studiata e “unica”, là dove Anna è, con ossequio a MERDflix, “moltiplicata” e “plurima” di odiosi episodi, senza alcuna peripezia, alcuna parabola, ma solo constatazione del nichilismo, solo soggetto che è una bella idea ma che non comporterebbe narrazione… la narrazione si costruisce intorno a questo soggetto-idea senza però che la narrazione sia effettivamente necessaria: si deve davvero narrare il nichilismo?
Si può eccome, ma va plasmato in storia: non basta la sola idea…
Golding, Gilliam, Boyle, Ballard, la storia ce l’hanno e difatti la concludono!
Anna, invece, ha solo l’idea, un geniale paesaggio, ma ha poco altro… e difatti cincischia, inventandosi 6 o 7 episodi, che finiscono per essere prevedibili, nella follia di strutturare una serie invece che un libro, una serie priva di peripezie e parabole, solo piena di fatterelli, come MERDflix, piena del tutto di contorno ma di ben poca sostanza, tutto fumo diegetico senza niente da narrare…
La serie Anna finisce, perfino, con un cliffhanger!
Cosa che è assai fuori luogo, là dove una serie Anna non c’è: Anna è un libro… che si è vestito e strutturato da serie MERDflix senza narrazione, ma che serie MERDflix non è: è un libro impossibilitato ad avere una seconda stagione e quindi che cacchio finisce col cliffhanger?
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Sono certamente troppo severo, perché a me Anna m’ha preso: m’ha acchiappato la vicenda del fratello, mi sono interessato alle tematiche nichiliste della morte, della inutilità dell’esistenza, della sempre presente assurda religione che viene fuori nella disperazione (e il culto mortifero della Picciridduna è affascinante), e mi stanno simpatici i bimbetti di Ammaniti, luridi, sporchi, amorali e cattivelli…
È tutto molto bellino, ma non è al livello di Golding, di Ballard, di Gilliam, di Boyle…
e la sua struttura priva di parabola narrativa, fatta di frammentazione episodica ripetitiva invece che di peripezia diegetica, che finisce perfino nell’inconcluso, come finiscono sempre ‘ste cazzo di serie MERDflix, me l’ha reso, alla fine, poco meritevole di lodi…
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il nichilismo preferisco vederlo in Gerry, nel non narrativo, invece che con una scimmiottatura libroide di MERDflix!
Sbuffando vapore bollente dalle nari come i draghi, per l’ahimè nota pessima considerazione che hai delle religioni (e non, sia chiaro, per il parallelo che fai tra queste e la religione-capitalismo, evidente e sacrosanto), ti lascio un like acciocché (vedi come parlo bene) i miei lettori possano incappare in ciò che scrivi – di Ammanniti ho letto una sola cosa che non è Anna, infatti mi interessa più la prima parte del post, ma anche la seconda mi dice cose utili e ne prendo nota.
Buona serata, piccolo miscredente.
Ammaniti con una enne, magari.
Grazie e buona serata anche te, sacerdotessa di Rachel Weisz!
Pensavo di venire a leggere qualcosa su Ammaniti e invece ho letto tante cose su cui sono completamente d’accordo.
Alla gente che crede che dopo il Covid cambieremo io rido in favvia, e sono perfette le tue parole: “Come è evidente che il COVID non cambierà nulla di quel cervello umano che è così adatto a quelle religioni così tanto che quelle religioni le ha appunto *create*…” (continuo a vedere l’influenza di Sapiens!)
E pure sulle serie sono più che d’accordo!!! E su Merdflix… Insomma, su tutta la linea! :–)
Non ho letto Anna. Di Ammaniti ho letto e apprezzato Ti prendo e ti porto via e Io non ho paura, poi ho intuito un certo decadimento della sua ispirazione, insomma mi sono fatta l’idea che i suoi successivi romanzi fossero delle boiate e ho smesso di leggerlo…
In quanto alle serie, non tutte sono buone, forse una minoranza, ma alcune sono belle davvero, e Netflix non è poi così merd…
Netflix è uno degli argomenti di polemica più virulenti di questo blog… sono anni che, con amici (quelli di Ultimo Spettacolo, per esempio), ne discutiamo animatamente… — ci sono molti post a riguardo (sugli Oscar di quest’anno, per esempio; o su Marriage Story)… — io non lo demonizzo, ma non riesco a capire chi lo idolatra così tanto; e, paragonata a tale idolatria, la mia accesa critica è sentita come insopportabile eresia… al ché io mi polarizzo per reazione e iperbolizzo ancora di più la mia idiosincrasia, constatando che, finora, non ho verificato come effettivo nessuno dei “miracoli” su cui gli adepti netflixiani (quelli che agiscono da PR di Netflix senza neanche farsi pagare!) costruiscono veri e propri chiese e culti (roba come Annihilation e Marriage Story, appunto: robetta carina ma “miracolosa” no di certo, se si ha presente il passato su cui furbescamente si basa)… — e sulle serie, che ci devo fare, proprio non concepisco come “interessanti” le banalità proposte spesso dalla lunga serialità…