Clint Eastwood fa quello che è un calco identico di Sully…
La motilità nervosa che Bélanger aveva impresso in alcuni tratti di The Mule scompare per far posto, di nuovo, al classico découpage quasi da Kammerspiel di Eastwood, che risulta in una poesia dei primi e primissimi piani, in una goduriosa gestione dei frame piccoli domestici, che sembrano fermi ma non lo sono, anzi, danzano con una dolcezza di montaggio (ed è quasi 50 anni che Eastwood lavora con Joel Cox) per esprimere il lento e surrettizio sgomento della vicenda, il subliminale serpeggiare dell’ansia e dell’impotenza che investe i personaggi…
Bélanger si riserva un certo supeficio di colori (soprattutto nelle scene al pub tra l’FBI e la giornalista), ma anche Eastwood, alle volte, sa stupire per azione ed efficacia…
Anche nel tedioso Attacco al treno, Eastwood riusciva a svegliarsi nell’unica scena d’azione presente, e qui si “sveglia” con l’esplosione (effettivamente improvvisa e scioccante) e l’onirismo (ripreso paro paro da Sully)
–
Per il resto, Eastwood, al solito, parla di etica e di differenza tra buoni e cattivi…
Chi è davvero buono?
Il politicamente corretto di facciata che però intanto imbratta la vita degli innocenti…
…o il non inquadrato, lo strambo, magari sgradevole da vedere, petulante nei comportamenti e deplorevole nelle intenzioni private, ma intanto integerrimo come cittadino e come “persona” pubblica?
E chi è il buono?
Lo stato preposto a essere buono che però abusa del suo potere con singoli personaggi meschini e inadatti…
…o il singolo cittadino non conforme e poco attraente per gli schemi generali ma tranquillissimo e innocentissimo?
E lo stato come mai agisce tramite personaggi meschini?
Essere al servizio dello stato dovrebbe forse essere un compito da affidare solo e soltanto ai migliori, agli áristos classici, solo ai Nestore dell’Iliade?
E come si fa se questi áristos non ci sono?
C’è da accontentarsi e affidarsi a gente “normale” ma professionista del settore, magari sconcia nel privato ma sopraffina nel lavoro?
C’è da affidarsi ai Dirty Harry? ai buzzurri come quelli di Attacco al treno e American Sniper, tanto cretini quanto “adatti” a difendere e solo a far quello?
C’è da affidarsi ai Gunny, agli Stranieri senza nome e ai Cavalieri pallidi, che si muovono oltre la legge apposta per ristabilire un ordine che, come quello di Antigone, è giustizia che è ben al di là e ben più importante della legge?
Eastwood si chiede tutto questo da 50 anni, e se lo chiede una volta all’anno…
…in film confezionati con un professionismo sempre così cristallino da destare ogni volta meraviglia e ammirazione, anche quando è ormai prevedibile, scontato, ripetitivo e del tutto manierato…
Un Eastwood molto alla Woody Allen…
–
Dopo Sully, in questo Richard Jewell il “film di Eastwood” si applica ai poveracci vittime di uno stato non áristos, uno stato di Creonte invece che di Antigone, contro cui questi poveracci si difendono con fatica perché sentono moltissimo il senso di *autorità*…
Nell’essere cresciuti nel dogma che lo stato ha ragione, che la legge e la giustizia sono identiche e abitano nelle stesse istituzioni governative, questi poveracci subiscono le “punizioni” dello stato come le subisce il K di Kafka, o come denuncia Victor Hugo (vedi il processo a Esmeralda in Notre-Dame e l’arresto di Gwynplaine nell’Homme qui rit): l’istituzione, l’autorità è così potente da non poter mai ammettere di avere torto (discorso che fa anche Polanski in J’accuse), e quindi va avanti ad agire anche quando palesemente in errore, usando tutte le tecniche forensi fatte apposta per garantire la giustizia in modo storto, rovesciato, così da trovare burocraticamente la colpa anche dove non c’è…
Agendo così lo stato infanga tutti quei meccanismi “nobili” che erano nati per il contratto sociale, meccanismi che partecipano ad azioni malevole svuotandosi quasi di significato…
E per chi è nato, è stato allevato ed è cresciuto nel culto di quei meccanismi è difficilissimo lottarci contro, e finisce, quasi, per accettare la condanna, metafisicamente, anche quando non ha fatto alcun male, perché l’irreggimentazione dell’educazione al dogma è più forte di qualsiasi evidenza, perfino della stessa volontà e certezza cosciente di essere innocente…
Vedendo Richard Jewell qualsiasi persona che si occupa di “legalità” si ferma a riflettere sulle eterne falle di un sistema che non può essere perfetto, perché è in mano a gente fallace… per concludere che il sistema è in ogni caso necessario, anche col corollario di dolore ed errore che genera per entropia…
Eastwood, in questo noiosetto e manierato film di Kammerspiel, ci fa riflettere di nuovo su tutto ciò, accodandosi ai grandi logos di Michael Cimino (suo compare dei tempi andati: fu proprio Eastwood a scoprire Cimino e a imporlo come regista di Thunderbolt and Lightfoot nel 1974: Richard Jewell somiglia quasi, nelle tematiche, a Year of the Dragons, in cui il poliziotto americano e lo spacciatore di droga delle triadi cinesi sono entrambi coinvolti in una lotta cosmica che li fa mal vedere dalle rispettive organizzazioni di appartenenza e comporta per entrambi perdite che, essendo, alla fine, la lotta senza senso, risultano davvero inutili), e lasciandoci con un sacco di interrogativi degni di Sofocle, Eschilo e Kafka, finendo per farci comprendere bene quanto il mondo e la convivenza tra umani comporti tutta una teoria di equilibrio tra condivisione e privato, tra legge e giustizia, tra “bene” e “male”, tra lecito e illecito, che è ben lungi dall’essere semplice, anzi, è forse il coacervo più arzigogolato, a livello di pensiero, dell’intera esistenza dell’Homo sapiens…
Sicché, sì, ci va il latte alle ginocchia, ma per una giusta causa!
Sully mi era molto piaciuto e da quanto detto da te Richard Jewell lo ricorda parecchio. Ammetto che Eastwood mi piace molto di più come regista che come attore e, tranne Attacco al Treno, mi sono piaciuti tutti i suoi lavori dietro la camera da presa.
Io amo Eastwood ma non in maniera incondizionata… Questi “ultimi” (come per Allen c’è da capire quali sono gli “ultimi”: io direi dopo «Mystic River») e soprattutto questi “ultimissimi” (dopo «Jersey Boys») li trovo fin troppo film a tesi, quasi coincidenti con una “serie” che sembra perfino televisiva (del tipo «Eroi controversi americani»)… Di tutti gli “ultimissimi” questo «Richard Jewell» è il secondo dopo «The Mule» a non avere la glorificazione del protagonista con video documentari con l’eroe vero, in carne e ossa, che si bea della “santificazione”… riesce, quindi, a smarcarsi da una certa agiografia che ha, secondo me, appesantito sia «American Snuper» sia «Sully» sia il fiacchissimo «Attacco al treno»…