Mah…
A livello di sceneggiatura regge…
Certe cose, lì lì che le vedi sei lì che dici «ecco, questo è un difetto», ma alla lunga invece non dànno fastidio…
per esempio:
molte volte Piccole donne si *rivelava* il romanzo di Jo solo alla fine…
l’esperienza raccontata si faceva racconto a posteriori…
questo permetteva erranze varie e permetteva di concentrarsi con calma sulle diverse March senza alcun problema, perché il romanzo finale era il ricordo di quanto successo… un ricordo letterario che rimaneva letterario, cioè il film, le immagini, erano precedenti allo scritto, e lo scritto non era incluso nel sistema visivo… per capirsi: «il film è l’esperienza dalla quale scrivo il romanzo che c’è da leggere, eccolo qua: ma esperienza/film e romanzo non sono correlati: il romanzo è lì, leggetelo»…
e lasciamo perdere il fatto che questo proposito è sempre fittizio, poiché il cinema non è mai esperienza ma è sempre racconto… ma i registi hanno, finora, inquadrato il racconto di Little Women come se non fosse narrato da Jo, ma come se fosse narrato da un regista-narratore, e solo alla fine Jo trae uno scritto dal narrato del regista-narratore in cui era inclusa anche lei…
Gerwig, invece, ci fa vedere il romanzo subito (la copertina costituisce addirittura il titolo) e rende il film una serie di flashback del romanzo: tutto quanto, quindi, le March e le loro azioni del passato sono tutte esistenti sempre e solo nella mente di Jo…
Ma non sono flashback le azioni delle March del presente…
E nel “presente” una Amy di Florence Pugh, senza agire alcun flashback, si erge altissima nel ruolo di deuteragonista quasi antagonista…
Una struttura molto complessa e priva di un vero senso organico, poiché, se tutto il “passato” è flashback della sola Jo, allora si spiegano poco le erranze, per esempio, sulla Meg di Emma Watson, coinvolta in intere sequenze tutte sue che non c’entrano un cacchio col resto…
Ne vengono fuori quasi 3 incastri (Jo-presente, Jo-flashback, Amy-presente) che reggono, certo, e sono un espediente originale per rinverdire questa calla lessa periodica di Piccole donne, ma non spiccano come perfettamente oliati… come al solito, Gerwig si dimostra perspicace ma acerba…
Alla fine, comunque, ce la fa a buttarla sull’ironia e l’obliquità, aprendo, dopo un intero film sui soliti registri del lacrimevole patetico che contraddistinguono Louisa May Alcott, alla ridancianeria meta-narrativa, con un gustoso siparietto tra Stoppard (la sua Anna Karenina del 2012 con Joe Wright è la madre spirituale di questo Piccole donne) e Mejerchól’d, che riesce ad aggiornare le tematiche femminili riflettendoci (nel bene e nel male, come vedremo)…
alla fine, quindi, anche la struttura farraginosa, se è giunta a fare quel bel finaletto, è servita!
A livello visivo siamo, ugualmente, davanti a una regista che ci crede ma che riesce a fare solo a metà:
i primi 15 minuti sovrabbondano di ralenti che poi non si vedono più… come mai?
Certi momenti scenici hanno un montaggio compulsivo ritmato e veloce, altre no… come mai?
Alcuni momenti super-clou (soprattutto quelli del versante di Amy, un personaggio con cui Gerwig si è dimostrata più compatta) dimostrano una certa consapevolezza, altri (tutto l’amour tra Jo e Laurie) sono nervosi, con una macchina che non sa cosa inquadrare e che si affida agli esagitati attori, limitandosi a guardarli e ogni tanto li guarda anche male (con piccoli shots quasi distratti sulle mani o sui busti che finiscono perfino per perdere di vista battute importanti!)…
Da una parte, cioè, c’è qualcuno che sa come fare, dall’altra sembra proprio ci sia qualcuno che non sa dove mettere le mani e va a caso!
Un peccato…
Ed è da qui che in me nasce quel sentimento di ripulsa verso gli incensamenti oscarosi di roba come questa…
Fosse uscito senza il clamore dell’hype, in un festivalino estivo, questo lavoro di Gerwig sarebbe anche potuto essere «bah, sì, carino: tante cose belline in un impianto normale medio di un giovane alle prime esperienze: interessante»
Uscendo, invece, con tutti gli onori, gli incensi, gli osanna e le esageratissime nomination agli Oscar non viene che da dire «ma che cacchio!? Gli Oscar a una cacchiatella di impianto medio-normale mai davvero riscattata da alcune cosine belline!? Sono degli idioti!»
Come sempre succede e come ormai dico ogni volta come mantra: il cinema degli anni 2010s è «sono lucciole scambiate per lanterne»
All’attivo c’è da registrare la capacità di Gerwig di illustrare le March come caciarose e pucciose sanbastarde (sanbastardo è un termine delle Colline Metallifere indicante un monello dispettoso ma alla fin fine bonario) che inondando di vita allegra e di piacevole cicaleggio estrogeno l’oscuro Ottocento guerresco e parruccone del New England…
Al passivo c’è da osservare il particolare aspetto di tentativo e di frammento che il film finisce per avere…
La regia non coerente, fatta appunto di scene singole (ognuna ripresa secondo istinto e non secondo drammaturgia), gli attorucoli (di cui riparleremo), la struttura assurdamente complicata…
…tutto quanto fa pensare a una impresa di giovinastri che ha quasi giocato a fare Piccole donne… impegnandosi, ma credendoci davvero molto poco…
È gente “bambina” che si vede che recita…
In un décors professionale fatto apposta per loro, dai grandi, per farli divertire…
A metà strada tra positivo e negativo c’è la configurazione comunicativa di fondo secondo cui Gerwig, a mio avviso palesemente, sta facendo un film destinato a qualcuno che Piccole donne già le conosce!
La cosa è giustificata, essendo il trecentomilionesimo adattamento, ma è una cosa curiosissima da vedere, anche perché è una cosa che palesa l’atteggiamento postmodernista ludico di questa operazione, alla J.J. Abrams…
Lo Spock di Zachary Quinto che urla «Khaaaaaaan!» a Cumberbatch nello Star Trek Into Darkness di Abrams è una strizzata d’occhio a chi Star Trek già lo conosce, è un giocare a fare Star Trek più che fare davvero Star Trek, in un universo dove si dà per scontato che la trama sia accessoria visto che è risaputa (si sa cosa succede in Star Trek, sempre) e quindi si possa puntare sul superfluo e sugli ammiccamenti a un pubblico solo per farsi due risate…
Idem Gerwig gioca a fare Piccole donne in un universo in cui si dà per scontato che tutti sappiano tutto di Piccole donne, e quindi, con quel tutto che costituisce Piccole donne (la guerra, il proto-femminismo, la sorella malata, la sorella vanesia, la sorella gelosa, il bimbo friendzonato), si può fare quel che ci pare: lo si può impastare, tagliare e rimontare, frammentarizzare (in scene ognuna ripresa a caso senza connessioni stilistiche con le altre), e perfino prenderlo in giro…
È un modo di fare che a me, istintivamente, piace (ed è comune a diverse regie d’opera moderne che a me tanto piacciono), ma che alla fine, nel suo risvolto ludico più che esegetico (Gerwig gli elementi della trama, ripeto, li prende in giro più che cercare di capirli davvero), palesa una orribile voglia di bimbominkiezza…
La Jo di Saoirse, più che una femminista, è una che ha paura di crescere, e che diventa capitalista quasi per continuare a giocare invece che per essere adulta ed avere in mano il suo destino… oppure diventa capitalista proprio perché crede che diventandolo riuscirà a rimanere bimba tra i bimbi (i suoi allievi): un denaro come libertà di restare chiotti nell’infanzia più che come coscienza del valore di sé da usare da grandi… [come certi miliardari che coi soldi non fanno altro che comprarsi i giocattoli da bimbi che vogliono continuare ad avere anche da grandi: le macchinine, il telefonino, il computerino ecc. ecc.]
Mah…
Sì…
Ci si può ridere…
O anche rimanerci perplessi…
O anche fregarsene, visto che nel film molte cose sono a caso e prive di senso, mindless, e potrebbe quindi così essere, mindless, anche il finale soldo-bimbominkioso…
–
Saoirse è nata nel 1994 e recita dal 2007…
Sono quindi quasi 13 anni che fa lo stesso medesimo ruolo di adolescente impazzitella e combinaguai con seri problemi con la maturazione mentale…
È un ruolo che fa certamente bene, come no…
Ma anche Sal Borgese era bravo a fare lo scagnozzo incattivito e attonito, e non mi sembra che nessuno gli abbia mai dato né nominations né Oscar…
Emma Watson lavora bene, un peluche carinissimo, ma è anche piena di espressioni svenevoli…
Io, certe volte, ho capito male la sua presenza…
Eliza Scanlen, sì, va bene, ma Beth da sempre è un personaggio meramente funzionale… è solo lì per morire…
Florence Pugh, in effetti, fa davvero un bel lavoro, ma cacchio, di qui a darle l’Oscar… ma nella cinquina odierna, a parte la Dern, potrebbe anche farcela…
Laura Dern è un’attrice vera, piena di quelle sfumature che le bambine non hanno mai: fare il confronto è impietoso…
Chalamet è metonimia del film intero, è frammentario e discontinuo: certe volte c’è, altre no…
Io ammetto di non averlo mai visto davvero coinvolto, in nessun film che ha fatto… sembra, molte volte, un Chirocefalo Marchesoni che tenta di fare l’ingegnere civile… si atteggia, magari si mette anche il casco di protezione nel cantiere, ma rimane un chirocefalo di pochi millimetri di dimensione, sicché è difficile dargli retta…
Alcune scene le azzecca, come no…
Ma altre, mah… si limita a fare presenza…
Garrel va solo di physique du rôle perché certe volte sembra un manzo fuori dal pascolo…
–
Tra i tecnici, sono agguerriti:
Durran ai costumi…
Nick Houy al montaggio, perché è stato dietro alle sciocchezze frammentarie di Gerwig…
Jess Gonchor alle scenografie ha fatto di meglio…
Anche Yorick Le Saux ha fatto di meglio, e nella gestione casuale di Gerwig brilla, anche lui, per frammenti…
Desplat fa una musica molto presente e quasi invadente, che cerca di supplire alla frammentazione con una serie di temetti leitmotivici giusti (quello dell’amore Laurie/Amy, quello di Beth, quello del friendzone Laurie/Jo), che ossequiano anche loro la frammentazione puntando sull’eclettismo stilistico (il Laurie/Amy riecheggia il duo d’amore del Ratcliff di Mascagni, Beth è una sequela di calchi di Chopin, Laurie/Jo tenta di riprendere l’incipit dell’Adagietto della quinta di Mahler), ma che alla fine riescono a compattare la storia molto più della regia…
–
Sicché, Little Women è frammentario, certe volte bimbominkia, magari anche poco credibile, ma non si guarda male, tra una perplessità e l’altra… un’operazione innocente a cui le tante nomination si attaccano davvero malissimo…
Senza dubbio, però, è meglio di quel travaso di bile di Lady Bird!
Leggere anche Sam Simon!
Mi aspettavo molto di peggio! :–P
Molto interessanti le tue critiche, come sempre, e naturalmente condivido la sorpresa per le nomination agli Oscar. Ma d’altronde in un anno in cui quel troiaio di Joker si porta a casa 11 nomination, lamentarsi di Little Women è quasi secondario.
Poi dopo aver visto The Lighthouse e Parasite io avrei semplicemente diviso gli Oscar a metà tra i due, ma… Perché parliamo tanto di Oscar! Sono una buffonata!
Infatti!
Però, sempre «Viva Joker»!
X–D
Ero l’unico a non sapere praticamente niente di “Piccole donne” fino a qualche settimana fa! 😁 E comunque ancora non ho letto il libro né visto il film, ma tanto è stata riassunto tutto nelle varie recensioni qui su WP.
Lo “spoiler” è una dannazione!
E, di certo, di «Piccole donne» non ne trovi per niente poche! [le trasportano, periodicamente, sugli schermi piccoli e grandi, almeno dal 1919!]