Sono andato molto prevenuto a vedere quello che, invece, si è rivelato essere il miglior film di Ozpetek dai tempi delle Fate Ignoranti (che è del 2001, cosa che rende Ozpetek un regista che ha fatto quella che si può definire cacca per quasi 20 anni: basti pensare che il suo miglior pezzo, prima della Dea Fortuna, è stato lo spot delle Poste con la «ringhiera ligure», anch’esso, bene o male, se non è di 20 anni fa poco ci manca, e determinò uno smaccato product placement delle Poste in Saturno Contro, nel 2007: un film che era quindi uno spot gonfiato, che a me ha suscitato solo vomito)
Nella Dea Fortuna, Ozpetek non rinuncia ai suoi tic manierati (i piani sequenza “vuoti”, con inquadrate stanze senza nessuno, popolati solo dall’audio di fatti atroci accaduti nel passato ancestrale e indicibile; la cantatina strapacchiana con la gente danzante sui terrazzi, durante la quale i nodi emotivi vengono riassunti con inquadrature degli sguardi estatico-pensierosi, da pesce lesso, dei personaggi che si osservano comprendendo le loro emozioni, che noi pubblico abbiamo purtroppo già compreso da tempo, rendendo la cantatina puro riempitivo; la tendenza ad accarezzare troppe forze centrifughe di sotto-tramette sciocche che non fanno altro che disturbare la trama principale), ma riesce, miracolosamente, a incastrarli in una unica linearità, dentro la quale si organizzano anche le peggiori svolte digressive…
Il passato ancestrale, che in Ozpetek occorreva a caso in sequenze oniriche imitanti Leone giungenti del tutto a sproposito ogni tanto, nella Dea Fortuna trova finalmente una ragione d’essere dettata dalla diegesi: finalmente quel passato indicibile è GIUSTIFICATO dalla storia!
La cantatina spiattellata arriva in un momento in cui effettivamente ce n’è bisogno, invece di essere del tutto gratuita e indigesta…
Una sotto-trametta centrifuga, quella di Filippo Nigro smemorato, no, quella ancora non ha senso, ma, per fortuna, occupa solo pochissime scene!
Ma altre sotto-tramette (le corna varie, i rimpianti vari) sono consustanziali all’ambiente e alla vicenda e costruiscono un vero mosaico di tessere che non sono spinte centrifughe, ma sono forze centripete che si scoprono col tempo: un mosaico che si disvela via via!
Le rivelazioni di passato non sono più metafora di vissuto perseguitante che non si comprende mai e che si tira fuori a sproposito, anche dove non c’entra niente, ma sono (ed era ora!) messa a fuoco mostrante la situazione, sono sorpresa diegetica, perfino colpo di scena, oltre che concretizzazione eccezionale dei personaggi! Evviva!
Inoltre, sorpresa delle sorprese, Ozpetek mette in pausa la sua prosopopea lagnante e “ueueante”, quella che rende i suoi film eterni lamenti («la mia vita fa schifo; sono un poveraccio; non so cosa fare senza la mia amata nonnina morta proprio nel mio momento di trapasso dal fanciullo scapestrato all’adulto; nessuno mi vuole bene; e nessuno mi vuole perché mi piacciono gli uomini; e la società bigotta non mi vuole; tutti mi dicono di lottare e mettere le molotov per ottenere i miei diritti ma io preferisco piangere e rompere le palle a tutti ricordandomi di quando, nel 1931, a mio nonno lo picchiavano! E io rivivo le sue sofferenze!»), per fare un film che, rispetto a quelli fatti in passato, è quasi un film d’azione!
I personaggi agiscono, prendono decisioni, ed esprimono un mondo variopinto di amicizia e reazione alla barbarie (Barbara Alberti, geniale strega cattiva nel maniero da fiaba, che spassosamente quasi si prende in giro in quelle che sono le scene più comiche del film), un mondo che si riflette negli impagabili ragazzini (un fattore che ricorda Anni felici di Daniele Luchetti, 2013, anch’esso supportato dai bambini), bravissimi, metafora di futuro insieme roseo e concretissimamente realistico in un’Italia non più gabbia di tristezza e sopraffazione (come è sempre in Ozpetek), ma probabile culla di nuove famiglie arcobalenate! Famiglie in grado di far comprendere a fondo la natura dell’amore, anche di quell’amore che sembra prosciugato!
Una libidine!
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Tra gli attori il più massicciamente efficace è Edoardo Leo, che però non va tanto al di là del suo type cast (il nerboruto romanesco fanfarone e simpatico)…
Accorsi, invece, ce la mette tutta, con un personaggio più mieloso e passivo, nel cercare di “rinnovarsi” in un ruolo per lui diverso…
Jasmine Trinca è sempre Jasmine Trinca…
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L’espediente dell’immagine mentale della persona amata è una per me graditissima metafora di cinema, ma è usato con molta più suggestione nel bellissimo finale di In America di Jim Sheridan (2002)…
Ecco una cosa che mi ha molto colpito di quello che hai detto: certe scelte registiche di Ozpetek sono giustificate. E questo è stato qualcosa che mi ha incuriosito. Forse potrebbe essere uno dei pochi film di Ozpetek che potrei guardare senza sofferenza.
Io mi sono davvero meravigliato di essere riuscito ad arrivare alla fine senza conati di vomito o tedio colossale!
Ahahahah, può essere che Ozpetek sia veramente maturato come regista.
Me lo auguro davvero! E lo verificheremo molto presto: fa un film all’anno, o ogni due anni…
Nel promo mi sembra di aver visto le stesse scene che c’erano in “Le fate igniranti”, magari mi sbaglio…
La situazione “spaziale” è proprio identica: l’attico con la terrazza popolato da amichetti vari dei protagonisti: uguale alle Fate Ignoranti: Ozpetek avrà capito che è l’unico che gli è venuto bene e lo ricicla!
Eh, ma non vale… 😅