Io Pinocchio l’ho sempre detestato…
Non sono mai riuscito a schiodarlo dalla morale dell’Italia bigotta post-Unitaria, una morale verso cui, a mio avviso, lo stesso Carlo Lorenzini (detto Collodi), l’autore, aveva grossi problemi, avendo popolato il suo romanzo di paradossi etici e strizzate satiriche strambe che si amalgamano molto male ai principi di comportamento esposti, alla fin fine, nell’intreccio…
Non ho mai trovato efficace l’approccio molto realistico e cinico della prosa di Lorenzini…
Non ho mai capito perché le situazioni in cui Pinocchio deve capire di «essere buono» sono così tante e reiterate (lo capisco solo considerando che la prima pubblicazione, tra il 1881 e il 1883, fu seriale)…
Non ho mai capito perché la polarizzazione tra essere monello molesto e anarchico e bambino buono, bravo e borghesuccio fosse così sbilanciata…
Non ho mai compreso perché Lorenzini non optasse per una sola linea di Bildung, invece che moltiplicare le monellerie…
Né perché essere “buoni” significhi avere a che fare, in ogni caso, con uno stato del tutto assurdo, dove vige solo la regola della furbizia, e dove scuola e giustizia sono così pesantemente prese in giro… Perché Pinocchio deve andare in una scuola presa in giro?
Né ho mai capito da che parte stesse questo Pinocchio, così odioso e capriccioso: che vuole fare? dire che è necessario essere cattivi per sopravvivere in un mondo assurdo? ma come può dirlo se subito dopo ci dice che essere cattivi comporta punizioni?
Vuole forse dirci che la vita è una merda e che, sia buoni sia cattivi, c’è comunque da soffrire?
Sei cattivo e diventi asino, sei buono e ti mettono in ginocchio sui ceci!
Sei cattivo ti impiccano, sei buono ma per esserlo sei costretto a lavorare nelle maniere più nonsense (per esempio fare finta di essere un cane da guardia!)
E su tutto aleggia l’irrazionale, gli interventi della fata, che ti liberano praticamente a caso, ma solo a te, dalle pene: un intervento quasi “divino” sempre inesplicabile se non per pura grazia gratuita quasi agostiniana, con cui si palesa il fideismo allucinato dell’Italia umbertina…
Mah…
Lorenzini, forse, toscanaccio molto poco simpatico a detta di tutti, ha distillato il suo nichilismo più cupo in Pinocchio, ma, non si sa perché, il mondo lo ha amato per questo…
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Quelli che hanno avuto, a mio avviso incomprensibilmente, la fascinazione per questo Pinocchio monello che riesce, dopo molte disavventure, a redimersi, hanno quasi tutti optato per una delle due polarizzazioni etiche offerte da Lorenzini:
Walt Disney, nel 1940, per esempio, ha fatto un Pinocchio buonissimo, più ingenuo che cattivo, che mai è abbandonato dal grillo parlante (che Lorenzini vede bene di far schiacciare senza pietà quanto prima: davvero edificante)…
Luigi Comencini, nel 1972, è forse quello che ha mantenuto un certo equilibrio etico, ma anche il suo è un Pinocchio molto poco brusco…
Roberto Benigni, nel 2002, è rimasto perplesso sulla strada da intraprendere…
Invece “cattivisti” sono stati Francesco Nuti, in Occhio Pinocchio (1994)…
e Massimo Ceccherini e Alessandro Paci nel loro spettacolo teatrale (distribuito in Home Video nel 1998)
Adesso aspettiamo Guillermo del Toro, che pare uscirà col suo adattamento per Netflix nel 2022…
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E intanto vediamo Matteo Garrone…
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L’inattività di Lamberto Bava, e la senilità di Dario Argento, rendono Garrone uno dei maestri italiani odierni del fantastico…
Come aveva già dimostrato con Tale of Tales (2015), Garrone è capacissimo di creare immagini fantasy come nessun altro nel nostro paese, scegliendosi sempre i collaboratori più adatti (in Tale of Tales scelse addirittura Peter Suschitzky, qui in Pinocchio c’è Nicolaj Brüel con lui già in Dogman), ma Pinocchio di Lorenzini rimane Pinocchio di Lorenzini…
Garrone lo narra e illustra benissimo…
Ma le problematicità della vicenda rimangono…
Garrone è bravo nel decolorare tutto assecondando il nichilismo di Lorenzini, e quindi realizza un’Italia diroccata e fatiscente, rurale nel verso più deteriore, buzzurro e tetro… [fossi la pro-loco dei posti in cui è girato, un po’ me la prenderei: le location sono così rustiche da fare davvero schifo, perfino Matera è scelta quasi solo perché è rovinosa: ma qui sono io che non amo mai il georgico architettonico]
Un’Italia, e una vicenda, che Garrone traduce come polverosa, pazzesca (l’antropomorfizzazione del tutto incredibile), deteriorata, infelice, praticamente morta…
Morta è la fata turchina (da piccola e da grande, specie quella grande è evidente essere cerea), e “morta” appare la sua casa zeppa di ragnatele e lanugine… quasi zombie sono anche i suoi servi…
Quasi crollato è il Palazzo di Giustizia, e sfracellante è il paese dei balocchi…
Il gatto e la volpe, azzoppati e ciechi, sembra che abbiamo ben poco da vivere di espedienti…
Gli abitanti del paesello di Geppetto sono tutti vecchi, e perfino il Grillo Parlante non sembra tanto fresco…
Tutto sembra morente…
Una configurazione di décors e di iconografia molto in linea con Lorenzini e ricorda molto l’impostazione “artigianale” di Comencini, là dove Benigni (con Tonino Delli Colli e Danilo Donati) era invece ricchissimo e lussureggiante nel rincorrere un fiabesco che Lorenzini non ha mai avuto…
Garrone, alla fine, rende quindi una giustizia immensa a Lorenzini, ma ci riflette sopra: riflette sulla sua natura decrepita, marcescente, e sgretolante… e rappresenta tutto come sporco e sdrucito…
Forse, come il quartiere/parcogiochi di Dogman (ugualmente cadente), il Pinocchio di Garrone rappresenta una mente: una mente vecchia, fideista, arrugginita, nichilista e impegnata nell’irrazionale di una Bildung imperfetta, polarizzata tra nichilismo e fede d’abitudine: polarizzata tra sardonica presa in giro di giustizia ed educazione, e crudele rappresentazione di un mondo homo homini lupus pieno di assassini e ladri; una Bildung straziata tra il diventare buoni e il sacrificio mortificante di diventarlo attraverso la cattiveria, la monelleria, l’insopportabilità, da cui ti salva solo un “dio” benevolo quanto irrazionale quasi come te (Pinocchio gioca con la bambina/fata/dio a muovere come un burattino la povera chiocciola: bella cosa da fare per uno che è esso stesso un burattino che vuole diventare buono! e davvero un giusto modo di comportarsi per una che è, in fin dei conti, “dio”)…
Una mente geriatrica che è, purtroppo, la mente dell’Italia umbertina come quella dell’Italia odierna: invecchiata, arcaica, inattuale, e alla fine tragica: una mente, guarda caso, simile a quella del Valino della Luna e i Falò di Pavese: rurale quanto brutale, violenta, atroce… la mente, in fin dei conti, di Dogman (e 2!)
Forse era davvero illustrare questa mente l’intento di Lorenzini… e certo è l’intento di Garrone, che ha voluto tanto rappresentare questo “schifo di storia”, questo schifo di mente, da cercare l’aiuto di altri che l’avevano rappresentata in precedenza: vedi Benigni (che fa Geppetto) e Ceccherini (quest’ultimo già attore in Tale of Tales e in Pinocchio accreditato con Garrone addirittura alla sceneggiatura!)
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Se Pinocchio di Lorenzini vi piace, è il film per voi…
per me, tanta morte è stata un po’ depressiva…
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Avevo letto che Marine Vacth aveva recitato in italiano, ma non ci credevo!
Nei titoli finali il doppiaggio è segnatalo come di Francesco Vairano, ma non m’è sembrato di vedere alcun doppiatore accreditato… La voce di Vacth mi sembrava, alla lontana, quella di Stella Musy…
Il portale Roba da Doppiatori ha invece segnatalo, il 2 gennaio 2020, che la doppiatrice di Vacth è Domitilla D’Amico!
Per lei ottimissimo lavoro, visto che, parafrasando Maura Vespini, quando non riconosci un doppiatore vuol dire che il doppiaggio è fatto benissimo (e io ho antipatia verso D’Amico, non mi piace quasi mai, ma stavolta è stata davvero top)!
Per me Pinocchio è sempre stato deprimente, con Benigni che fa Geppetto lo sarà ancor di più.
Felice di trovare altri antipinocchiani!