Il «Trittico» di Galli/Krief al Maggio Musicale Fiorentino

Partivo da uno spregevole pregiudizio…
Nel 2008, vidi Valerio Galli dirigere una Turandot a Torre del Lago, e la cosa fu imbarazzante: veramente pessima… tremo ancora al ricordo…

Perciò, l’anno scorso, evitai la Cavalleria rusticana da lui proposta al Maggio, e denigrai la sua presenza, convinto che il Maggio, ormai decotto, sacrificasse la qualità pur di mettere in scena qualcosa…

Stavolta, anche per aiutare un Maggio davvero con l’acqua alla gola (con le dimissioni simultanee del sovrintendente e del direttore musicale Fabio Luisi), ho deciso di dare una chance a Galli e al suo Trittico… ma gli ho dato una chance molto risicata: ho deciso di spendere solo 10€…

Il Trittico sono 3 opere complesse, di cui un giorno dovrò parlare a modo…

Qui dirò solo che Puccini, dopo Tosca, nel 1900, si mise a fantasticare di tre atti unici uniti, magari suggestionato dalla buona riuscita degli atti unici in quel periodo, per esempio della Djamileh di Bizet (che è del 1872; non si sa quanto Puccini fosse a conoscenza dell’atto unico di Cezar Kjui Pir vo vremja čumy andato in scena con scarsissimo successo a Mosca proprio nel 1900; né si sa se conoscesse l’esperimento studentesco di Sergej Rachmaninov, Aleko, del 1892; né, tanto meno, si sa se fosse a conoscenza di Iolanta di Pëtr Čajkovskij, anch’essa del 1892: e Čajkovskij fu un autore molto presente nella giovinezza di Puccini, vedi la Tosca scaligera) o, più probabilmente, all’inseguimento del successo ottenuto, in ambienti più vicini, da Mascagni e Leoncavallo con Cavalleria rusticana (1890) e Pagliacci (1892, che formalmente di atti ne ha due), opere che dal 1893 vennero accorpate dall’editore/impresario Sonzogno con ottimissimi risultati [il clamore del successo di Mascagni, Leoncavallo e Sanzogno, planetario, indusse a cavalcare l’andazzo degli atti unici anche Jules Massenet, con La navarraise, proprio nel 1893]…

Il suo editore, Giulio Ricordi, però, non era come Sonzogno, e credeva poco negli atti unici, e, per vari motivi e vicissitudini, fece spostare Puccini verso altri soggetti (Madame Butterfly, 1904; e Fanciulla del West, 1910), anche se, in quegli strascichi di 1900, il compositore aveva anche vagliato dei modelli letterari per gli atti unici nelle opere di Alphonse Daudet e Maksim Gor’kij…

L’idea degli atti unici, di stampo un pochino “fortino”, anche abbastanza “sanguinoso”, ritornò però spesso in mente a Puccini soprattutto da quando, nel 1905, Richard Strauss aveva fatto strafortuna con Salome, atto unico abbastanza scioccante (numero 10 delle Musiche ispirate alla luna), a cui Strauss affiancò, nel 1909, l’ugualmente agghiacciante Elektra (numero 8 delle Opere per Halloween)… Quelle due opere stimolavano la competizione in Puccini, e lo resero sempre più ansioso di fare anche lui i soldi con gli atti unici, e in maniera più “geniale” di Strauss, visto che il suo ghiribizzo non era semplicemente fare un atto unico ma di farne alcuni da rappresentare insieme, cosa mai fatta prima!

Le vicissitudini produttivo-biografiche, nonostante le voglie di Puccini (che, a Daudet e Gor’kij comincia ad affiancare anche la Florentine Tragedy di Wilde, proprio per tallonare ancora di più Strauss [anche se pare che Puccini facesse il nome di Wilde già nel 1903, due anni prima della Salome: in ogni caso non se ne fece di nulla e la Florentine Tragedy fu musica nel 1917 da un Alexander von Zemlinsky del tutto estraneo ai desideri, interessi e voglie di Puccini]), continuavano a non far sfogare affatto la competizione, che però si inasprì da sola quando Strauss abbandonò gli atti unici per fare un’opera “comica”, il Rosenkavalier, nel 1911…

Da allora Puccini cominciò a insistere davvero con Ricordi sugli atti unici uniti: la rivalità con Strauss faceva “vedere” a Puccini non solo atti unici da rappresentare insieme, ma anche atti giustapposti in “registri” diversi, dal sanguigno al comico, con evidente voglia di misurarsi con il Rosenkavalier (che, per altro, atto unico non era per niente, visto che ha 3 atti e dura più di 3h!)…
Stranamente a Puccini importò poco che un altro importante compositore, Maurice Ravel, nello stesso 1911 avesse composto anch’egli un atto unico, L’heure espagnol… Davvero Puccini sentiva “rivalità” solo con Strauss! [non c’è traccia di interesse pucciniano neanche per altri due atti unici di quegli anni, cioè Skupój Rýcar e Frančeska da Rimini di Rachmaninov, entrambe del 1906]

Nel 1912, Giulio Ricordi muore e Puccini si trova a lavorare male con il suo successore, il figlio Tito II. Anche a Tito piacciono poco gli atti unici e preferisce le operette, che propone a Puccini con argomenti comunque convincenti: Strauss, sì, stava facendo i soldi con atti unici e opere comiche, ma Franz Lehár ne stava facendo altrettanti con le operette (Die lustige Witwe è del 1905, come la Salome): perché non inseguire lui invece che quel depravato di Strauss?

Puccini lotta con le unghie e con i denti con Tito e nel 1913, con l’amico giornalista/drammaturgo Giuseppe Adami, trova il soggetto giusto per un atto unico violento e collerico: La houppelande di Didier Gold…
Tito non sente ragioni e insiste per un’operetta e propone La rondine di Reichert & Willner…
È lotta…

Puccini, fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, lavorerà a tutt’e due i progetti, ma è senz’altro la Houppelande, che Adami traduce Il tabarro (un mantello con colletto), la destinataria dei suoi gusti… Non solo: nella Rondine è chiaro che Puccini sta pensando a Strauss, che intende “sfidare” apertamente col Tabarro e gli atti unici, poiché al suo interno vi risuona proprio la melodia di Salome (nel primo atto Prunier dice: «La donna che conquista dev’esser raffinata, elegante, perversa… Degna insomma di me: Galatea, Berenice, Francesca, Salomè!»)

Non si sa come, ma le cose devono essere in qualche modo precipitate tra Puccini e Tito: ciò portò Puccini a un atto sconsiderato: abbandonò Casa Ricordi per firmare un contratto con Sonzogno, l’eterno rivale!
Puccini, forse, pensò di aver agito da sommo stratega, ma dovette ricredersi ben presto quando scoprì che Sonzogno, esattamente come Tito II, non voleva affatto Houppelande ma voleva la Rondine!

Intanto scoppiò la Prima Guerra Mondiale… e la Rondine porta le cicatrici sia della guerra sia dei continui litigi che Puccini ebbe anche con Sonzogno… è finita che la Rondine ha ben 3 versioni del finale ed è l’unico pezzo di teatro pucciniano di cui non ci è pervenuto l’autografo (Puccini si sconcertò della diversa attenzione che Sonzogno prestava agli autografi rispetto a Ricordi)…
E mentre la scriveva (ancora con Adami), Il tabarro fu messo “in pausa”…

Quando la guerra era al termine, con tutti abbastanza demoralizzati, Puccini tornò a leccarsi le ferite da Ricordi e trovò un Tito II molto più aperto verso gli atti unici uniti, visto che La rondine fu un flop e che la privazione del “Re Mida” Puccini, passato alla concorrenza, si era fatta sentire molto…

Il tabarro venne ripreso e ultimato, e i restanti atti furono vagliati, abbastanza in fretta e alquanto “alla carlona”, con Giovacchino Forzano…

Forzano (il nonno del giornalista pasticcione Luca Giurato: vi giuro che non sto scherzando), era un personaggio abbastanza disgustoso: nazionalista (Puccini l’aveva già contattato con in mente Tabarro, ma Forzano aveva rifiutato per via delle origini francesi, quindi *straniere*, della vicenda: questo per ribadire la particolare freschezza del personaggio), maschilista, pre-fascista (e poi fascistissimo convinto)… ma era anche una persona pratica, di poche storie e ripensamenti, e, soprattutto, era veloce e sbrigativo… e non solo: viveva in Toscana, a pochi chilometri da Torre del Lago e Viareggio (dal 1915, una torbiera turbava l’abitato di Torre del Lago, dove Puccini risiedeva in pianta quasi stabile dal 1900, cosa che fece ricercare al compositore altre residenze, con grande gioia della moglie Elvira, che aveva sempre un po’ detestato il villaggio allora un po’ sperduto e disabitato: dal 1915 fu soprattutto Viareggio una loro “seconda casa”: lì si misero a costruire, con l’ingegner Federigo Severini, un secondo villone, in Via Michelangelo Buonarroti 75 all’angolo con Via Marco Polo, che però fu pronto e abitabile solo nel 1921)…
Del processo di scelta e composizione di Suor Angelica e Gianni Schicchi ci sono rimaste pochissime tracce scritte, poiché Puccini e Forzano lavoravano insieme, di persona…
Di certo, durante il lavoro, i due non sapevano che la vecchia idea di accorpamento di atti unici era venuta in mente anche ad altri: Ferruccio Busoni stava pensando di accorpare le sue operine Arlecchino e Turandot a Zurigo (lo fece nel 1917, un anno prima della prima del Trittico a New York), e Béla Bartók stava acconsentendo a gemellare in un unico spettacolo Il castello del principe Barbablù (numero 11 delle Opere per Halloween) e la pantomima Il principe di legno a Budapest (la pantomima era già stata data nel 1917 e fu accorpata all’opera nel maggio del 1918, sette mesi prima della creation newyorkese del Trittico)…

Suor Angelica ha echi manzoniani (evidenti nell’ambientazione seicentesca e nella sorte della protagonista del tutto identica, nelle premesse, a quella della Monaca di Monza), e ha forse origini concrete nel vissuto di Puccini, la cui sorella Iginia era badessa (in religione suor Giulia Enrichetta) nel convento di Vicopelago (a cui Puccini dava spesso generose elemosine)…
Gianni Schicchi, anche se nominato nell’Inferno (XXX, 31-33, 40-45), Forzano lo plasma su un commento anonimo (forse trecentesco, ma chissà) che Pietro Fanfani dice di aver seguito per la sua edizione della Commedia del 1866 (pubblicata a Bologna da Romagnoli)…

Suor Angelica e Gianni Schicchi sono giustapposizioni, rispetto al Tabarro, un po’ «alla san fasò» (si dice a Livorno), ma Forzano e Puccini, furbissimi e scaltri toscani, maestri nel “farla tornare”, presentarono la cosa con l’eloquenza giusta per far intravedere un *programma* che dal presente (il 1913) del Tabarro si intrufolava nel passato storico-letterario italiano (il Seicento di Suor Angelica, eco di Manzoni) fino alle “origini” di Dante e della “civiltà” italiana (toscana?) dei Comuni…
Quel che è sicuro è che è Il tabarro l’opera che appare curata nei dettagli, mentre le altre due si vede essere lavoro di sicuri professionisti bravissimi, ma che hanno lavorato in fretta, trovando, comunque, soluzioni più che suggestive…
È sicuro anche che Forzano fu il librettista ideale di Puccini: lesto, efficace, presente a fornire soluzioni nuove e correzioni immediate a un Puccini sempre bisognoso di un aiuto testuale per la sua invenzione melodica… è davvero curioso che, nonostante il buon risultato, i due non siano più riusciti a trovare un soggetto: tra il 1919 e il 1920, Forzano insistette tanto con Puccini sul mettere in musica la storia di Sly, protagonista del prologo della Taming of the Shrew di Shakespeare, ma Puccini non si dimostrò mai interessato davvero (lo Sly di Forzano fu musicato da Ermanno Wolf-Ferrari nel 1927: Puccini era morto da 3 anni)…
Rimasero però in contatto fino alla fine: Forzano fu il regista della prima dell’incompiuta Turandot nel 1926 alla Scala (Puccini era morto da due anni) e fu uno dei promotori, nel regime mussoliniano, delle manifestazioni che, alla fine, portarono alla costruzione del Teatro all’Aperto (il «Teatro dei Quattromila») di Torre del Lago e del Festival Puccini (cosa che richiese, ironicamente, molta cementificazione di quel Lago di Massaciuccoli che Puccini tanto amava: la sua Villa, un tempo, sorgeva direttamente sul Lago e non sul piazzale odierno)…

Fare tutte e tre le opere insieme, come le volle Puccini (a rappresentare tre atti che durano quasi, guarda caso, come i tre atti del Rosenkavalier), è difficoltoso… e c’è da tener d’occhio il fatto che Tito II Ricordi, col benestare di Puccini, distribuì le opere, con gli spartiti per canto e pianoforte e con le partiture stampate, singolarmente: ci furono solo due edizioni canto e pianoforte delle tre opere riunite nel titolo Trittico, che appare sì nel frontespizio ma non si ripete prima delle tre opere (sul Tabarro, quindi, non c’è Trittico, 1: Tabarro)… chi le considera “opere separate” non commette questo grandissimo errore…

Il Maggio Musicale Fiorentino ha realizzato il Trittico interamente solo con produzioni ultra-blasonate di Sylvano Bussotti, Gianadrea Gavazzeni, Mario Monicelli, Bruno Bartoletti ed Ermanno Olmi… e non ha disdegnato lo smembramento: solo un paio di anni fa, nel 2016, Andrea De Rosa e Xu Zhong accostarono la sola Suor Angelica (con Amarilli Nizza) con La Voix Humaine di Poulenc (con Annick Massis)…

In quel caso, De Rosa optò per smascherare la completamente inconsistente trama di Suor Angelica facendone tutta un’allucinazione di una matta internata in manicomio: era un’idea geniale, corroborata, per altro, dagli “strali” di cori celestiali/estranianti accostati al suicidio del protagonista proprio da Puccini (in modi che anticipano di 30 anni quasi l’Ognennyj Angel di Prokof’ev [numero 18 delle Opere per Halloween] e i Dialogues des Carmelites di Poulenc)…

Il regista Denis Krieg, invece, ripropone al Maggio l’interno Trittico, con una coproduzione che coinvolge anche il Teatro del Giglio di Lucca e il Teatro Lirico di Cagliari, in chiave molto più normally, in linea con le ristrettezze economiche che affliggono il Maggio da anni…

A dispetto dei miei pregiudizi c’è da dire che Valerio Galli ha portato a casa un risultato più che dignitoso, guidando bene un’orchestra che si è dimostrata pronta a misurarsi con partiture difficili: Galli ha bene amministrato gli strumenti, concentrandosi soprattutto sulla verve teatrale e sui recitativi, dando a tutto un passo abbastanza svelto…
Dal punto di vista della narrazione e dell’azione, quindi, Galli ha ottenuto ottimi risultati…
Ha trattato però le arie e i concertati (numerosi) come “staccati” dall’azione, cosa che invece Puccini aveva (finalmente!) accuratamente evitato…
«È ben altro il mio sogno» nel Tabarro, l’«Ave Maria» iniziale di Suor Angelica, e «Oh, mio babbino caro» nello Schicchi non sarebbero “arie da applauso” simili a quelle scritte da Puccini prima della Fanciulla del West, quelle che, come tutte le arie dai tempi di Metastasio (1720s), “mettono in pausa” la diegesi, ma sarebbero sapienti modi teatrali maturi di Puccini, del tutto concorrenti all’azione e azione essi stessi: e questa era una conquista eccelsa di Puccini…
Galli, invece, riporta quei pezzi “indietro”, rendendoli di nuovo “pause” e non solo: sembra avere paura di trattarli…
Sono pezzi famosi, che il pubblico aspetta al varco, e Galli sembra aver temuto la loro resa, restituendole un pochino “smorte”… Per capirsi: quella verve un po’ febbrile che Galli ce l’ha fatta a imprimere alle scene d’azione, in quei momenti latitava: Galli si limitava a “leggere” quei momenti invece che “interpretarli”…
Per fortuna, però, pur nella mera illustrazione, Galli non ha sbavato affatto: tutto è stato abbastanza preciso anche nei concertati
Galli si è comportato né più né meno come altri ben più blasonati direttori/amministratori odierni (vedi Francesco Ivan Ciampa): e questo rappresenta, dal mio punto di vista pregiudiziale, un guadagno assai immenso!

Nel cast Maria José Siri (frequentatrice assai spesso del teatro di Puccini) è stata Giorgetta nel Tabarro e la protagonista di Suor Angelica
È una cantante che ci crede, e che tecnicamente ce la fa, e assai bene…
Vederla è un piacere di immedesimazione e di soluzioni adeguate, e anche quando quelle soluzioni non sono perfettissime risultano comunque ottimamente efficaci…
Non ha più il physique du rôle di una decina di anni fa, e ha un po’ acquisito abitudini leggermente deteriori (per nulla adatte ad altri compositori se non a Puccini, tipo il misurare la voce con portamenti che sembrano frutto di un fader faringeo che la fa partire prima piano e solo successivamente arrivare all’intensità che ci vorrebbe fin dall’inizio: in Verdi questo atteggiamento è pessimo, ma in Puccni si sopporta), ma risulta ancora una eccellente e simpatica cantante!

Nel Tabarro, il baritono Franco Vassallo è stato molto bravo, ma la parte del leone l’ha fatta il tenore Angelo Villari: spinto, vorace e feroce, agilissimo e controllatissimo sia negli acuti puntuti e cattivi sia nella morbidezza languida, e dalla cura attoriale adeguatissima: un portento da 10 e lode!

Davvero bravi anche i componenti della squadra dei numerosi comprimari…

Krieg ha optato per un impianto da tréteau nu, una cosa che mi aggrada molto… ha avuto l’ottima idea di mettere una vera e propria cartolina di Parigi sullo sfondo (i trucchi musicali di Puccini, tipo le sirene di porto registrate, volevano ottenere lo stesso effetto “cartolinoso”) e la più discutibile concezione di mostrare in scena quello che Puccini destinava al solo suono: lo smerciatore di canzonette, con citazione della Bohème, e i due amanti: pure voci di contorno che, se solo sentite, risultano pregnantissime di mistero/atmosfera, ma che se si vedono, con tutte le circostanze date stanislavskiane del caso, si banalizzano un po’…

In Suor Angelica, il tréteau nu si replicava in modo non banalissimo (le strutture in legno del Tabarro si trasformano in una sorta di torre funzionante come una alta prigione), ma non era supportato da soluzioni di gestica all’altezza: Krieg ha mantenuto le suore proprio suore, con tutto il ridicolo involontario che ne consegue (e ne consegue già in partitura)…

Anche in Suor Angelica sono state ottime le comprimarie…

Nel Gianni Schicchi, Krieg ha invece deciso di attualizzare al massimo con costumi odierni, ma ha mantenuto movimenti da immaginario collettivo…

Bruno de Simone è stato il solito Schicchi istrionico e del tutto attorico… Schicchi si può fare solo così: non è per nulla un ruolo “cantante”, forse non lo è mai stato…

Dave Monaco è stato squillante, argentino, molto adeguato a rendere la giovinezza di Rinuccio, anche se, con Krieg, si è adagiato sul puro e risaputo stereotipo…

Anche Francesca Longari, carinissima e di portentosa efficacia in Lauretta, era però lo stereotipo di Lauretta… ma vabbé: questo volevano Puccini e Forzano: Schicchi è un’opera di tipi

I comprimari del Tabarro si sono replicati ottimamente anche nello Schicchi

Una menzione d’onore spetta ad Anna Maria Chiuri che, con ottima efficacia, ha affrontato tutte e tre gli episodi: Frugola nel Tabarro, la zia Principessa in Suor Angelica e Zita nello Schicchi… Per la zia Principessa, che sarebbe per contralto, ha fatto un po’ fatica, ma l’efficacia c’era…

È stato un Trittico non male: diegetico, dal passo svelto… sia la regia sia la direzione d’orchestra hanno preferito adeguarsi al consueto invece che interpretare, ma lo hanno fatto con sicurezza… la paura di sbagliare (specie sul versante musicale) era tanta, e quando non si vuole strafare e lavorare sul sicuro è ovvio che si finisce un po’ sottotono… ma la sola e pedissequa lettura teatrale si adatta a queste opere che Puccini voleva proprio “teatrali” e recitate…
Certo, dispiace di non aver sentito un afflato “artistico”, un lasciarsi andare alla musica, e di aver invece assistito al puro professionismo… ma il puro professionismo non fa mica male…

Dall’8 dicembre entrerà in carica al Maggio il nuovo sovrintendente: Alexander Pereira, direttamente dalla Scala…

Ha già annunciato divi sommi (Domingo nella Traviata; un recital di Edita Gruberova) ma ha già aumentato i prezzi e ha buttato tutto sul ritorno di Zubin Mehta in pianta stabile, nonostante tutti i suoi problemi…
Andare in galleria del Nuovo Teatro costerà minimo 50€: una cifra abbastanza esagerata considerando le condizioni di visione…
Ha puntato, certo, molto sulla quantità (il Festival del Maggio durerà fino a luglio, come negli anni ’30, e, come negli anni ’80, presenta ben 7 opere, l’integrale delle sinfonie e dei concerti per pianoforte di Beethoven), con numeri da teatro che “funziona”, che però appaiono più come una maschera: la maschera di un teatro che non ce la fa che si maschera da teatro che ce la fa…
I risvolti del maquillage si vedono (le opere sono 7 ma ognuna ha solo 4 repliche, e gli integrali beethoveniani accorpano anche 3 sinfonie in una sola sera, e i concerti tracimano in sole tre serate) e fanno sembrare il Festival molto ansioso di bruciare la propria candela da due parti… ma, come si sa, la luce che arde col doppio di splendore brucia per metà tempo…

Boh…

io non so che pensare…

sono numeri che ho sempre voluto vedere al Maggio, ma vedo con sospetto il cercare di alimentarli con l’aumento dei prezzi… perché i prezzi potranno pagarli solo ricche persone attempate, che se faranno quadrare i conti per qualche anno, di certo non potranno essere presenti tra 20 o 30 anni (e, solamente pagando, non avranno certo educato ad andare all’opera figli e nipoti ugualmente ricchi): allora che si farà?

ci sta che l’espediente sia efficace e che trasformi il Maggio nella Scala: costosissima ma con una stagione extralusso attirante i miliardari di tutto il mondo… oppure come il Bol’šoj a Mosca: così esclusivo e costoso da attrarre tutti gli influencer che c’è, anche quelli a cui dell’opera non frega una mazza…

ma il prezzo non sarà rendere l’opera, anche a Firenze, puro trastullo dei ricconi? com’era appunto negli anni ’30 e ’80?

evidentemente non c’è compromesso né soluzione…
l’opera sarà ed è solo per gli arruffoni e i colletti bianchi…

ai comuni mortali resteranno solo i DVD…

mah…

vedremo eh…

[di Tabarro si parla anche nelle Musiche per l’estate]

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