Orchestra della Toscana, Gringol’c & Buškov: concerto per violino di Čajkovskij e Sinfonia Pastorale di Beethoven

Io non amo il concerto per violino di Čajkovskij…
Ma questo non conta nulla…
La forza melodica dei due temi su cui si costruisce il primo movimento, e l’energia con cui il primo tema si ripresenta, perentorio, felice e potentissimo non può mai lasciare indifferenti (spesso, nelle riprosizioni, quel primo tema è supportato dal basso ritmicissimo, quasi a marcetta veloce ribattuta, degli ottoni che stilettano a tamburo battente: nessuno ce la fa mai a salvarsi: tutti vengono sempre trascinati dal ribattere così imperioso che si sposa così bene alla melodia, formidabile, esposta in un emozionale forte da tutti gli archi in parata!), e “portano via” le volute dinamiche dello slavissimo terzo tempo…

Evgenij Buškov e Ilja Gringol’c, cresciuti a pane e Čajkovskij nella natia Russia, hanno impresso all’Orchestra della Toscana la giusta carica passionale, la giusta verve incessante, la giusta potenza decisa adatta a rendere al meglio questo concerto, che, a parte i pregi che si è detto, ha anche una dose un po’ pleonastica di atletici virtuosismi perfino un po’ vuoti (per almeno 3 anni fu ritenuto “ineseguibile” e neanche coloro che contribuirono a scriverlo nel 1879, i violinisti Iosif Kotek e Leopold Auer, lo eseguivano in pubblico: solo Adol’f Brodskij ne fu un campione a partire dal 1881: c’era stata una prima esecuzione, con solo violino e pianoforte, a New York, nel 1879, ma nessuno se n’era accorto, e quando Brodskij fece la sua prima performance in pompa magna a Vienna nel 1881, con direttore Hans Richter, i critici reagirono con una serie di stroncature mentre il pubblico andava in delirio!)…
Sentire il concerto in queste condizioni, cioè orchestra top e interpreti di DNA identico al pezzo, è stata davvero un’esperienza galvanizzante!

La Sinfonia 6 di Beethoven (numero 4 di Symphonies) è molte volte descritta con un motto attribuito a Beethoven: «più espressione dei sentimenti che pittura»…
Come spesso si diceva ai corsi di analisi musicale all’università è difficile però pensare a qualcosa di più pittorico della sesta di Beethoven…
Una sesta che studi recenti vogliono molto meno extramusicale di quanto siamo abituati a pensare… pare che i titoletti dei 5 movimenti siano più idea dell’editore Breitkopf & Härtel che di Beethoven, e così sia anche l’appellativo Pastorale
ma forse no…
perché comunque è Beethoven che imprime in partitura il suono del cuculo, usignolo e quaglia (clarinetto, flauto, oboe) nel secondo movimento, ed è comunque Beethoven che accenna ad alcuni titoletti (Erwachen heiterer Empfindungen bei der Ankunft auf dem Lande; Szene am Bach; Lustiges Zusammensein der Landleute; Gewitter, Sturm; Hirtengesang. Frohe und dankbare Gefühle nach dem Sturm) nell’autografo alla Beethoven-Haus di Bonn… ma né titoletti né quaglie sono presenti negli altri autografi al Musikabteilung del Preußischer Kulturbesitz della Staatsbibliothek zu Berlin, dove però sembrano esserci più che altro schizzi…
Beethoven voleva essere più espressione dei sentimenti che pittura?
O voleva solo aggiornare la pittura di certa musica precedente, per esempio delle illustrativissime Stagioni di Vivaldi (numero 1 della Musica delle stagioni) o di altri pezzi simili di un sacco di gente (tipo Händel)?
Il temporale (movimento 4) è quasi un calco di quello dell’Estate di Vivaldi, tanto per dirne uno…
In ogni caso, la grandezza di Beethoven è quella di stare sempre in bilico tra l’ispirazione extramusicale, la vera e propria pittura (senza dubbio presentissima), e la precisione impeccabile della musica pura! La Forma Sonata (esposizione a due temi, sviluppo tonalmente incerto e ripresa alla tonica o al quinto grado) risplende nella Pastorale in tutto il suo linguaggio drammaturgico puramente armonico; e così la musica, di per sé, nella Pastorale esiste anche *da sola*, senza appigli non musicali: il trionfo del linguaggio tonale I-V-I c’è, supportato dalla pittura di laghetti e cuculi presa anche a pretesto, ma esiste anche *di per sé*; e così anche le variazioni, che rendono via via sempre più pulviscolo musicale un tema presentato, sono variazioni di musica che c’è *di per sé* senza bisogno di pittura
Tutto questo (armonia, I-V-I, Forma Sonata, variazioni) è MUSICA senza nient’altro, che la pittura lambisce senza mai travolgere…
Eppure la pittura è tutta lì: quella variazione è su un tema costruito su intervalli decisamente bucolici; quella scena ha pause e ribattuti che, in grammatica musicale, non avrebbero ragione di esistere e che quindi ci sono solo in ossequio a una descrizione di un panorama pittorico extramusicale
…e così via…
In questi anni di dibattiti su Joker ambiguo, con tanti che ritengono che il film non regga a livello *realistico* se letto come sogno (e come potrebbe un film mai essere realistico? vedi anche The Lion King), e che preferiscono stigmatizzarlo come improbabile invece di accettare il dubbio, anche furbo, con cui le immagini (non certo il racconto, mero accidente nel cinema vero, che è linguaggio di immagini) si baloccano, riascoltare la Pastorale, così furbamente in equilibrio funambolico tra musicale ed extramusicale, così sfacciatamente e consapevolmente *accarezzante* l’extramusicale nel mentre è così *autenticamente* e *solidamente* musicalissima, è davvero nutriente!
Pochi anni dopo la morte di Beethoven, dal 1830 in poi, con Berlioz e Liszt, l’equilibrio tra musica ed extramusica si romperà del tutto e la musica, per certi versi, rimarrà pura solo con Johannes Brahms (e per tutti gli altri sarà il trionfo di musiche composte sulla base extramusicale di poesie, drammi, descrizioni di paesaggi, fatti storici ecc. ecc.: e mica è stato un male!)

Sentire la Pastorale, quindi, è sempre una somma gioia, anche quando il direttore, come Buškov in questo caso, ne dà una lettura fin troppo ossequiosa dell’idea di prassi esecutiva odierna, desunta da Hogwood, Norrington, Gardiner, Brüggen, e oggi perorata da Zinman, Chailly, Vänskä, Rattle ecc.
Non è una cosa brutta: è decisamente vero che Beethoven voleva la Pastorale come l’ha eseguita Buškov, ma certe idee Illuministiche della musica, evidenti se si legge la musica solo nel grado neutro di un’analisi quantitativa, vengono perdute se alla stessa musica si applicano concezioni storicistiche e “poietiche”…

Non c’è che da adattarsi e comunque godersi una Pastorale aguzza, tagliente, velocissima, fulminea, vorticosa di virtuosismi, geometrica e squadrata, puntuta, seghettata, sbalzata in modo grezzamente efficace come un bassorilievo tardoantico, strombettante di ottoni (come la voleva anche un direttore del tutto avulso dalle problematiche di prassi esecutiva, e cioè Karl Böhm), e goduriosa di polarizzazioni tra sussurri e grida…

Nella velocità forsennata generale, i professori (anche giovanissimi) dell’Orchestra della Toscana, hanno seguito Buškov con una perizia spettacolare: gli scambi cameristici dei fiati e le sinergie tra fiati, ottoni e archi, roba già complessa in tempi classici, diventa impossibile nei tempi spediti imposti da Buškov: e l’ORT ha realizzato questa Mission: Impossible con una maestria che m’ha lasciato a bocca aperta!
Davvero bravissimi!

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