Edison, l’uomo che illuminò il mondo

Dopo averne sentito parlare tanto male per me è stata una sorpresa constatare quanto questo film non sia così orribile…
Forse il cattivo passaparola mi ha fatto predisporre a qualcosa di molto brutto, e ciò ha abbassato assai le mie aspettative, così tanto che, trovandomi al contrario davanti a qualcosa di molto “normale”, è andata a finire che le mie percezioni mi facciano quasi parlare del film in termini perfino parecchio positivi…

Parliamoci chiaro, a prima vista:

  • non ha misura,
  • è costruito con lusso ma quasi per assomigliare a un pezzo di modellismo,
  • ha uno stupeficio visivo perfino sgrammaticato, che sembra essere tutto forma e poca sostanza,
  • ha vertiginosi piani sequenza,
  • è fatto di peregrini e frequenti sintagmi a graffa,
  • è zeppo di primi piani deformati “scandalosi”,
  • sciorina punti macchina dei più astrusi e sciocchi…

Sembra, per certi versi, un film di Damien Chazelle: inquadrato a caso e montato peggio, con scenografie di cartapesta…

Poi ci entri dentro…
e tocca tirare fuori una particolare antinomia teorica: perché Damien Chazelle risulta alla fine fare schifo e questo no?

Nelle Suggestioni di ‘musica colta’ dalle canzoncine di Sanremo mi sono trovato a spiegare perché la canzone di Loredana Bertè fosse migliore di quella del Volo, anche se, in superficie, potessero apparire similari canzoncine melodiche adatte ai melomani nostalgici…

Per Gomez-Rejon e Chazelle la questione si risolve similmente: Chazelle è a caso per imperizia, perché non sa fare nulla e nulla esprime e quindi va per inganni sperando che nessuno si accorga del fatto che non dice niente, mentre Gomez-Rejon è sgrammaticato e a caso perché così richiede la sua trama e, soprattutto, così richiede la sua ambientazione Storica…
Già si diceva in The Greatest Showman di quanto l’Ottocento fosse un periodo di bizzarria policromatica e polistilistica, e di quanto il non bellissimo film di Michael Gracey avesse uno dei suoi punti più forti proprio nella ricostruzione d’epoca…
Gomez-Rejon fa assai meglio di quanto fatto da Gracey, perché, oltre che nel décors rende la fibra di quell’Ottocento anche nello sguardo…

  • Gli strampalati punti macchina sono quelli delle ardite quanto inutili poli-prospettive del realismo virtuosistico della pittura ottocentesca (penso ad Antonio Basoli, per esempio, o anche al primo Corcos, o a Giovanni Boldini)…
  • L’estetica del modellismo della scenografia era cosa che proprio nasceva nell’Ottocento, e faceva parte dell’idea di kolossal multiculturale che l’Ottocento positivista adorava nella sua spinta di “dominio” del mondo (concetti che si esprimono nel Ballo Excelsior come in certi romanzi di Rudyard Kipling)… Jan Roelfs, uno scenografo coi controbudelli, ricostruisce quell’estetica in modo specialissimo, così come Michael Wilkinson fa coi costumi… e la parte del leone la fa Chung Chung-hoon (Chŏng Chŏnghun o Jeong Jeonghun) con una fotografia controllatissima e molto suggestiva…
  • Il divisionismo delle inquadrature e del discorso visivo, tutto organizzato in sintagmi a graffa, ricorda il tipo di racconto che appunto si sviluppa nell’Ottocento, quello zeppo di digressioni naturalistiche, di riflessioni, di sbandamenti (vedi Hugo, Melville, Dickens e Tolstój come Turgénev e Dostoévskij, oppure anche Georges Bizet e gli stessi Verdi e Músorgskij)…
  • Gli attori, ben piazzati e ben scelti, presentano un misto di gigioneggiamento e di misura impostata, ferma e marmorea, tipica della recitazione grandattoriale precedente agli incontri di Stanislavskij-Craig-Appia (la recitazione dei sommi Tommaso Salvini ed Ernesto Rossi)… Oltre agli uomini, Katharine Waterson e Tuppence Middleton si rivelano vere sorprese…

Un film che è Ottocento distillato, ricco anche di salutari sciocchezze, cadute di tono, ma anche queste rientranti nel tutto della rievocazione…
Su Edison che guarda un suo film proiettato, per esempio, e da lui ripreso, si potrebbe discutere su cronologie ed esistenza di William Dickson, ma certamente nessuno crede davvero alle considerazioni linguistiche sull’origine della radice del termine Whale che Melville fa nelle prime righe di Moby Dick, e nessuno considera effettivamente veritiera la ricostruzione che, in Les Misérables, Hugo fa della battaglia di Waterloo: sono cose di racconto, di gioco, di *letteratura*: e appunto letteratura sono i numerosi romanzismi del film…
E gioco e letteratura sono anche i continui rimandi al cinema, pensiero fisso nella mente di Edison, e anche geniale contrappunto teorico-diegetico di una trama fatta di sotterfugi, inganni e bugie, cose da nascondere e menzogne insite nella presentazione di “progetti” da impapocchiare a commissioni giudicanti e giornalisti: il film allude che il cinema, l’arte demistificante e ingannante per eccellenza si originò proprio in un’epoca già di per sé costituita, a livello socio-politico, di demistificazioni e inganni…

Non fila tutto liscio, certo:

  • Tesla (Hoult) ha una story arc del tutto ancillare se non direttamente inutile;
  • di Ottocento, e con medesime e più radicali argomentazioni sul rapporto tra il “visto” e la “menzogna”, hanno parlato meglio altri (un solo nome: Nolan in The Prestige);
  • della vicenda in sé, poco cale a chiunque…

Ma è un film che si guarda, che riesce a creare tensione e curiosità, ed è ben poggiato su una solidissima struttura post-moderna di ricreazione d’epoca… se di quell’epoca che è ipotesto si apprezzano di già le condizioni e le impostazioni estetiche, l’omaggio che il film attribuisce a quelle condizioni in ipertesto filmico risulterà graditissimo… se invece l’Ottocento non si apprezza in prima istanza, allora, vabbé, il film risulterà una noia e basta (discorso simile si può fare per The Nutcracker and the Four Realms e Interstellar: se piacciono le fiabe e se piace Meyerbeer allora quei film si ameranno, sennò sono tempo perso)

C’è anche da considerare che il produttore (oltre a Martin Scorsese, che non si sa quanto abbia davvero contribuito nella sua veste di executive producer) è Timur Bekmambetov e cioè l’abbonato alla tamarraggine (vedi Abraham Lincoln Vampire Hunter e Wanted, che, a meno di non essere come lo stimatissimo Wwayne, non lo so se si possa interpretare come un film “misurato”)…
Invece di seguire Bekmambetov, Gomez-Rejon ha fatto di testa sua e ha finito per far assomigliare questo The Current War più a Enemy at the Gates del vecchio Annaud che a Abraham Lincoln Vampire Hunter… e secondo me è un bene non indifferente…

I doppiattori di Rodolfo Bianchi (Antonio Genna, purtroppo, non li elenca tutti: tra i non elencati credo di aver riconosciuto solo Massimo De Ambrosis su Matthew MacFadyen, ma potrei sbagliarmi) ci credono davvero tantissimo e fanno un doppiaggio proprio appassionato…
Valentina Mari è un incanto su Waterson…
Niseem Onorato è una poesia su Cumberbatch…
Pino Insegno non è né Pasquale Anselmo né Pierfrancesco Favino su Shannon, ma Insegno ha sempre una impostazione “ottocentesca” e quindi fa una interpretazione davvero top…
Era una meraviglia anche la doppiatrice di Tuppence Middleton, che purtroppo non è elencata in Genna e non ho riconosciuto…

3 risposte a "Edison, l’uomo che illuminò il mondo"

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  1. Mi intrigano i “sintagmi a graffa”.
    Potrei fare una ricerchina, ma preferisco prima chiederti: ma cusa l’è un sintamma agrafa?

    1. Ahahaha: è questo: https://youtu.be/1SUzcDUERLo… — o questo: https://youtu.be/BNPD3f_Epu4 — ma anche il momento in cui, mentre narra la voce off, Barry Lyndon gioca con Patrick — è un montaggino veloce, spesso ritmato da musica, che condensa in pochi minuti molto tempo “diegetico” (giornate intere, mesi, anni), proprio come se quel tempo fosse racchiuso tra parentesi, appunto, graffe… — io ne parlo nella Famiglia Fang (https://matavitatau.wordpress.com/2016/09/03/gz/), nell’IT di Muschietti dove indico anche la fonte teorica (https://matavitatau.wordpress.com/2017/10/25/it-di-muschietti/) e in Walk the Line (https://matavitatau.wordpress.com/2019/05/20/walk-the-line-un-precedente-importante-per-tutti/)

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