Spielberg II (1981)

continua da Spielberg I

RAIDERS OF THE LOST ARK (1981)

Si sa che Indiana Jones fu concepito da George Lucas in chiacchiere informali con Philip Kaufman, 8 anni più anziano di lui, e regista abbastanza rispettato nella temperie di New Hollywood descritta in Jaws (aveva diretto diversi film di foggia western già dal 1972, aveva fatto diversi soldi con il remake dei Body Snatchers di Siegel nel 1978, e con gli Wanderers del ‘79 aveva incontrato il gusto di molti tardo-sessantottini quasi quanto il coevo Hair di Milos Forman)… Al momento di concretizzare le cose, Kaufman però si dimostrò poco interessato: in ogni caso si dice che fu lui a suggerire che l’archeologo avventuriero plasmato soprattutto da Lucas potesse essere coinvolto nella ricerca della biblica Arca dell’Alleanza…

Lucas usciva dal set, soprattutto tunisino e inglese, di Star Wars non proprio benissimo: odiò lavorare con gli attori, odiò avere a che fare con tecniche di ripresa e di fotografia che non voleva granché mediare con un cinematographer (alla fine di una ripresa, Lucas diceva direttamente ai tecnici di spegnere questo o quel faretto per avere più “oscurità”, mandando in bestia Gil Taylor, che avrebbe preferito parlare *prima* con Lucas riguardo all’atmosfera da perseguire, invece di perdere tempo a fare luci che poi si scopriva si dovessero spegnere! Lucas era uno che parlava poco, che evitava il dialogo con chiunque, e comunicava assai male quello che voleva, che sembrava scoprire in progress invece di averlo in testa a priori… In Inghilterra le cose migliorarono, perché Taylor riuscì a bypassare diversi problemi nella scenografia di John Barry, fatta più per “arte” che per “ripresa”, poiché manchevole di adeguati spazi per luci e macchine, cosa che Taylor, genialmente, amministrò con eccezionale know how), cose che gli fecero concludere di non essere granché adatto a fare il regista…

Con Spielberg, Lucas fu chiaro su come agire: come aveva agito per The Empire Strikes Back (1980), il secondo capitolo di Star Wars: dare a un regista il controllo totale della principal photography e ritagliare per sé il lavoro di post-produzione, soprattutto degli effetti speciali, in uno studio con zero attori, zero cinematographer entranti, e, soprattutto, in un ambiente del tutto sperimentale abituato ad andare avanti in un sistema di prove ed errori

Per Empire Strikes Back quel regista fu Irvin Kershner e per Raiders of the Lost Ark fu Spielberg…

Raiders fu lavorato mentre 1941 e The Empire Strikes Back si ultimavano: la sceneggiatura, da soggetto di Lucas e Kaufman, fu commissionata da Lucas a Lawrence Kasdan dopo la conclusione della fase di scrittura di Empire (lasciato incompiuto dalla vecchia Leigh Brackett) con il benestare anche di Spielberg, che affidava a Kasdan anche lo script di Continental Divide con John Belushi… Kasdan, poco amante delle macchine da scrivere, secondo lui poco adatte a correggere immediatamente i numerosi refusi che lui, scarso dattilografo, faceva spesso, scrisse tutte le sue sceneggiature per Lucas e Spielberg a mano…

Spielberg, reduce dal tonfo di 1941, accontentò Lucas in un film giramondo, pagato quasi del tutto da Lucas, che, forte degli incassi di Star Wars, non ebbe problemi a trovare gli appoggi della grande major Paramount… il produttore (Robert Watts), la star (Harrison Ford) e lo scenografo (Norman Reynolds) erano tutte persone di Lucas… Spielberg chiamò a sé, oltre che Kahn a montare (ovviamente), Douglas Slocombe da Close Encounters, una leggenda della fotografia che si avviava già verso i 70 anni di vita e i 40 di attività… Con la gente di Lucas, Spielberg si trovò comunque benissimo: Reynolds costruirà i set anche di Empire of the Sun nell’’87 e dirigerà un paio di puntate della serie Amazing Stories che Spielberg rende possibile per la Universal; e Robert Watts (già scafato con lavori con Kubrick, Schaffner e Guillermin) amministrerà anche altre produzioni di Spielberg (Who Framed Roger Rabbit per esempio)… A rendere possibile i molti esterni dei Raiders c’è anche Frank Marshall, produttore e aiuto regista di Spielberg, che si era fino ad allora fatto le ossa con Peter Bogdanovich: con Kathleen Kennedy, Marshall diverrà il produttore/amministratore principale di Spielberg (almeno 8 sono le loro collaborazioni)…

È risaputo ed evidente che la prima parte dei Raiders è un “film di Lucas”, mentre il finale è “un film di Spielberg”…

Durante quasi tutto il film (che, al contrario delle tante chiacchiere, vide Lucas spesso fisicamente sul set, a girare due o tre shots), Indiana Jones ha a che fare con una trama in cui si vedono gli stilemi del Lucas laureato in antropologia: il Perù, il Tibet e l’Egitto (che è la Tunisia già sperimentata malamente in Star Wars e che torna a regalare un set infernale fatto di intossicazioni alimentari e dissenterie per tutti) offrono un variegato panorama di facce e costumi del tutto congruente al dedalo di alieni della Mos Eisley di Star Wars, e alla molteplicità di brillantine, acconciature, auto e moto di American GraffitiRaiders è per gran parte un film di Lucas, con il ganglio centrale di trama che non arriva mai (American Graffiti, questo ganglio manco ce l’ha), rappresentato solo da un cattivissimo, quanto generico, impero del male (i nazisti sono come gli imperiali di Star Wars o come l’ordine spersonalizzante di THX 1138), e con lo sguardo che si crogiola sugli ambienti, sui mondi creati, sulle scenografie, i costumi e gli aggeggi, invece che concentrarsi sulla trama…

Alla fine però arriva Spielberg, che proprio negli ultimi minuti conclude la cosa con una sorta di remake di Close Encounters: un identico set, con un identico santone-regista (Belloq) a imbastire uno show cinematografico…

Rispetto a Close Encounters, però, Spielberg mette giù una nuova e particolare componente teorica… Indiana Jones, dopo una sorprendente epifania, capisce di NON DOVER GUARDARE l’apertura dell’Arca dell’Alleanza… uno sguardo negato che gli risparmia la vita…

È un fatto assai diverso, quasi opposto a Close Encounters: là Richard Dreyfuss era andato felice e contento dagli alieni, che tutti avevano visto felicioni senza alcuna remora…

L’Arca dell’Alleanza, invece, esige un passo indietro, un rifiuto volontario della capacità di guardare, un “sacrificio” dell’immagine: chi la vede, muore… e i primi a morire sono perfino gli operatori di macchina: i loro cervelli sono sfatti dai mostrilli biblici (che sembrano fasci di luce olgrammatica, simile alla luce che esce dai proiettori) che passano proprio attraverso gli obiettivi delle macchine da presa (i mostrilli sono quasi un cinema che “torna indietro”, che si rifiuta di essere stato “buttato fuori”)!

Che è successo rispetto a Close Encounters?
Spielberg, che ci aveva così rassicurato di un universo/cinema in cui perdersi come artisti, che permetteva anche film colorati e belli (di Truffaut, di Brakhage), adesso afferma che il cinema è anche cattivo, il cinema è anche morte, e che non deve esserci, non deve *essere guardato*…?

Forse Spielberg, in vista dei blockbuster della Nuova Hollywood che lui ha di nuovo innescato (roba forse come Grease, Moonraker o Rocky, che magari Spielberg detestò, chissà), ossequia tanta teoria del cinema classico, che vede nel cinema un qualcosa di *morale*, di *sacro* e non di giocattoloso: un cinema che esige rispetto, perché sennò si vendica, ammazza e distrugge… André Bazin, il maestro di Truffaut, negli anni ‘50, aveva detto che il cinema ha dei tabù, oltre i quali cessava di essere cinema e diventava menzogna, mistificazione, propaganda o addirittura immoralità etica e comportamentale: quei tabù erano il sesso e la morte… non si può, secondo Bazin, inquadrare la morte al cinema, perché per forza quella che inquadri non è la morte vera, è una morte finta, che quindi denuncia la fintezza del tuo film, a meno che tu non uccida davvero un attore, e allora saresti un assassino, e il tuo film non avrebbe quindi alcun valore morale; e non puoi inquadrare il sesso per ragioni analoghe, a meno che tu non sia un losco pornografo sfruttatore di prostituzione!

Forse Spielberg, trasferendo il cinema dagli amichevoli alieni di Close Encounters alla biblico-fideistico-misterica Arca dei Raiders, riafferma, con Bazin, che non tutto è cinema, che molto è anche mistificazione, è stoltezza morale, è “perversione visiva”, per evitare la quale occorre sottrarsi, mostrarsi umili, rinunciare a *vedere*, rinunciare a *filmare*, rinunciare perfino a fare cinema…

Belloq, naturalmente, vestito di un improbabile costume para-liturgico, è un regista assai meno serio del professionalissimo Lacombe di Truffaut… Truffaut riprendeva gli alieni in una sorta di comunicazione da pari a pari, imparando con gli alieni, in un sistema non di provocazione della «manifestazione cinema» ma di pura partecipazione/documentazione di quella manifestazione… mentre Belloq si atteggia a officiare/provocare un rituale altisonante quanto ridicolo, da uno scranno che lo rende un sacerdote mistificatore più che un regista… forse per questo il cinema (l’Arca) mostra a lui la sua vendetta di morte, mentre a Lacombe lo stesso cinema (gli alieni) avevano presentato luci, musiche e colori…

Questo forse anche perché a vedere il cinema, in Close Encounters, c’erano spettatori per bene, dolci e carini, e c’era anche l’artista-creativo (Dreyfuss) pronto a perdersi nel cinema; in Raiders, invece, coloro che guardano il cinema sono nazisti, bestie, cattivoni, usurpatori che usarono il cinema storico (quello tedesco del 1933-1945) come propaganda, come sterminio, come insozzamento di un’arte… invece che vedere e produrre quel cinema (prodotto e mistificato da santoni come Belloq, che potrebbe essere un Goebbels), così immorale, è meglio *non guardare*, è meglio non fare cinema, è meglio *chiudere gli occhi*… perché, se invece quel cinema brutto si fa, il cinema, vero e primigenio, l’arte, si vendicherà…

Raiders è un’avventura mitopoietica eccezionale, divertente, con uno strepitoso ritmo di montaggio, e a ogni fotogramma ossequiante un tipo di spettacolo degno della Hollywood antica (i film di avventura Paramount, i film anni ‘50-’60 di David Lean, o i film esotici di Tarzan), ma ha in sé anche questo logos filmico, questo apologo di attenzione verso le valenze etiche del cinema, che funzionano anche come monito a un certo pubblico (oltre che a un certo sistema produttivo corrotto), sul vedere i film veri, non le mistificanze… un logos che non trascura il fatto di quanto sia difficile, per il pubblico, operare la scelta di Indiana e Marion di *non guardare* le ciofecate (Indiana si era dimostrato vicino allo spirito “buono” del cinema, identificando il Well of Souls con un gioco di luci, ovvero con un cinema, da scovare più che da allestire [quindi da “trovare” più che da “provocare allestendolo”: l’atteggiamento di Lacombe/Truffaut], grazie a un vero set scenografico in miniatura): il governo, invece di “emendare” o “assorbire” il cinema/Arca, rendendolo “di tutti” e dandolo a un pubblico educato, lo rinchiude in loculi segreti, che non gioveranno ad alcuna audience; e senza la “guida” del cinema, il pubblico è passibile di ricadute verso la mistificazione…

Raiders of the Lost Ark fa tornare a galla uno Spielberg inciampato in 1941, e lo rende indipendente quanto basta per affrontare una delle sue produzioni più “elettive”: E.T….

L’antinazismo di Spielberg, nonostante il primo approccio sia indiscutibilmente 1941, parte forse da qui: nel 1983, Spielberg tratta i diritti cinematografici del romanzo Schindler’s List, che vedremo in Spielberg IV e Spielberg V

Impossibile non vedere nel tema della rinuncia a qualcosa una tessera che diverrà costante spielberiana, dall’obolo da lasciare a One-Eyed Willy nei Goonies all’artiglio di velociraptor di Grant in Jurassic Park all’abbandono di un’ideologia di finta patria in Munich

continua in Spielberg III

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Una risposta a "Spielberg II (1981)"

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  1. Wow, questo tutto su Raiders! Un film che adoro, naturalmente… ma su cui non avevo riflettuto così tanto riguardo ad una lettura del finale quasi contrapposta a quella di Close Encounters! Spettacolare come sempre, Nick!

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