Burton II (dal 1989 al 1993)

Continua da Burton I

DOPO BEETLEJUICE: MICHAEL MCDOWELL E DENISE DI NOVI
Rispetto a Scrooged e a High Spirits (che lo studio rimontò senza il consenso di Neil Jordan), Beetlejuice fa molto successo… David Geffen riesce a vendere il soggetto alla ABC Television che, con il benestare di Burton, realizza una serie animata sul film, in onda dal 1989 al 1991… Geffen si mette subito anche a pensare a un seguito, Beetlejuice Goes Hawaii, che rimane nel limbo praticamente per sempre… Subito dopo l’uscita, nel 1988-’89, Burton cerca, però, come al solito, di portare avanti progetti più “suoi”: è forse a quest’altezza di tempo che comincia ad adattare Nightmare Before Christmas, già coccolato alla Disney ai tempi di Frankenweenie, con Michael McDowell… ed è forse in questi anni che, tramite Winona Ryder e Glenn Shadix, Burton comincia ad avere contatti con Denise Di Novi…

LA FACTORY DI DI NOVI
Denise Di Novi sarà una delle muse numero uno di Burton, una delle persone chiave nello sviluppo del suo concetto autorale…
Di Novi era una produttrice giovane, sempre alla ricerca di nuovi talenti, e nella sua scuderia, modellata quasi come la American Zoetrope di Coppola, c’erano già gli scrittori Daniel Waters e Caroline Thompson, il regista Michael Lehmann, e gli sceneggiatori Scott Alexander & Larry Karaszewski… Mentre Beetlejuice esce, nel 1988, usciva anche Heathers, che Di Novi aveva prodotto con Lehmann alla regia e Waters alla sceneggiatura, e che era un contrappunto perfetto a Beetlejuice, molto più violento e crudo…
Già a quest’epoca (1988-’89) Burton assume, con la Warner Bros., Caroline Thompson, dello staff di Di Novi, per concretizzare un’idea tratta dalle tante storie che Burton ha scritto nell’infanzia, dalle quali proviene anche Nightmare Before Christmas: la storia di un ragazzino che ha le forbici al posto delle mani…

UN VENTO BATMANIANO
Ma tutti questi contatti rimangono sospesi perché, dopo Beetlejuice, la Warner Bros. accetta di affidare il progetto Batman a Burton, senza se e senza ma… la cosa “congela” tutti questi progetti ma non li pausa: la Warner vende il progetto del bambino con le forbici alla Twentieth Century Fox, che accetta di finanziare lo script di Thompson…
La Fox è meno chioccia della Warner e dà a Thompson e Burton una copiosa libertà, anche perché sa di poter pubblicizzare il film come nuovo lavoro dell’ottimo regista di Beetlejuice: nessuno ancora pensa a Batman come a un successone… Thompson e Burton, durante la pre-produzione di Batman, pensano anche di rendere il film delle mani-forbici un musical operistico, simile a Sweeney Todd, e la Fox non batte granché ciglio…

BATMAN: UN NUOVO TIPO DI BLOCKBUSTER
Tutto questo mentre Burton viene assorbito del tutto in Batman… e si trova così coinvolto nella produzione del primo blockbuster “scientifico” della Storia… il primo film obbediente a un piano industriale che ha per scopo l’hype, il merchandising e il marketing più che il cinema…
Tutti i blockbusters, dall’alba di Hollywood erano stati così: il merchandising già c’era, almeno, dal 1968 (dal Planet of the Apes di Schaffner) e la pianificazione del film top di gamma era una cosa all’ordine del giorno già dagli anni ‘20, da Erich von Stroheim, De Mille e William Wyler fino al Graduate (di Mike Nichols, 1967), dal Godfather (di Francis Ford Coppola, 1972 e 1974) a Jaws (di Steven Spielberg, 1975) e poi naturalmente da Star Wars, Indiana Jones e i grandi film degli anni ‘80: Lethal Weapon 2 (di Dick Donner, 1989), per esempio, stava plasmando la forma del blockbuster in quanto a titoli iniziali (con il titolo del film anteposto a tutti, e secondo solo al nome della major) e a estetica fracassona… Ma Peters & Guber, con gli executives Benjamin Melniker & Michael Uslan, e con la Warner Bros., colei che stava appunto lavorando a Lethal Weapon 2, alle spalle, stavano progettando qualcosa di congruente ma di diverso…
Una volta deciso che Burton faceva il film, il film divenne un unico e neanche indispensabile elemento di una grande operazione commerciale: l’uscita del VHS si pianificò prima che ci fosse il film, così come la vendita di figurine, giocattoli, mutande, dischi e singoli delle canzoni, costumi di Halloween, libri, serie TV animate: la Warner “distribuì” l’idea di Batman a tutti i suoi innumerevoli rami editoriali (e la Warner, allora, alleata con la Time, era probabilmente l’industria dell’intrattenimento e dell’editoria più grande del mondo) ben prima che ci fosse il film…
Il film di Batman, in qualunque modo fosse stato, era solo un ingranaggio di una catena di montaggio già perfettamente funzionante senza il film… Burton poteva effettivamente fare come voleva, ma doveva essere consapevole che il suo non era un film, era appunto una parte di un sistema commerciale: il design sarebbe dovuto essere compatibile con la costruzione di giocattoli, i costumi adattabili ad abiti di Halloween, personaggi passibili di riduzione a giocattolo ecc. ecc.
Se Godfather o ancora Lethal Weapon 2, erano usciti e poi IN CONSEGUENZA si erano avuti ninnoli e merchandising, per Batman l’apparato economico esisteva PRIMA DEL FILM…

BATMAN: LO SCRIPT
Giovane e per niente attratto dai fumetti (aveva presente solo The Killing Joke di Alan Moore, Brian Bolland e John Higgins, uscito da poco, nel 1988), Burton si trovò a trattare il supereroe trovando in ogni caso una ottima base “dark” già rodata alla Warner e alla DC (The Dark Knight Returns di Frank Miller, Lynn Varley e Klaus Janson è del 1986; Year One di Miller e David Mazzucchelli è del 1987), che però intendeva più cavalcare che rispettare… Voleva fare un Batman abbastanza “suo”, appetibile per chi i fumetti, come lui, non li aveva presente… è su questi temi che si scontra con lo sceneggiatore Sam Hamm, col quale stava riscrivendo il suo primo trattamento, fatto con Julie Hickson un paio di anni prima… al ritorno da Beetlejuice, Burton non è più granché disposto a discutere con Hamm sulla fedeltà a questa o quella storyline del fumetto, e chiama a scrivere Warren Skaaren, così geniale nell’adattare lo script di Beetlejuice
Burton riflette su Batman in maniera psicanalitica, rendendolo esso stesso un “mostro”, non dissimile dai mostri criminali che combatte, ognuno simbolo di patologie psichiche precise… forse non sa, o forse sa, che mentre lui sta cercando di fare questo al cinema, Grant Morrison e Dave McKean stanno usando questa impostazione anche nei fumetti, nell’albo speciale Arkham Asylum: il Batman di Burton esce nel giugno del 1989, l’albo di Morrison & McKean a ottobre…
Tali idee psichiche abbisognano di gente in gamba: nel cast, Burton riesce con seri problemi a scritturare Michael Keaton, che era tecnicamente un comico: la Warner Bros. storse il naso… poi le cose si calmarono quando si riuscì ad affidare a una star vera, a Jack Nicholson, il Joker (in caso di netto rifiuto di Nicholson, il ruolo sarebbe andato a Robin Williams)…
Nicholson si trovò alla grandissima con Burton e fu grazie a Nicholson che il film si fece con il look psichico voluto da Burton: era Nicholson a garantire per la resa del film e, non solo, era Nicholson che minacciava di andarsene se non veniva dato il giusto peso all’impostazione creativa del regista…

BATMAN: LA LAVORAZIONE TRA STEAMPUNK E PROBLEMI “INGLESI”
Impostazione che Burton plasma finalmente con Anton Furst, scenografo che può lavorare con lui senza altri impegni, e che con Peter Young, e i super-tecnici inglesi dei Pinewood Studios, disegna una Gotham City espressionista, ispirata soprattutto alla città di Metropolis di Fritz Lang (1927), e dall’affascinante quanto “universalizzante” miscuglio di “futuro” e di “antico”: idee “futuriste” (macchinari veloci, aerei, sistemi di sollevamento alla James Bond) realizzate però con devices assolutamente anticheggianti, che sembrano funzionare con valvole antidiluviane, con connessioni di cablaggio improbabili, e dall’aspetto completamente vetusto… un tipo di configurazione che Burton e Furst desumono dal Brazil di Terry Gilliam, che aveva fatto un grande succès de scandale nel 1985, catalizzato dai litigi di Gilliam per distribuirlo senza le manipolazioni della Universal… Gilliam, con Norman Garwood, aveva ideato una città funzionante grazie a grosse tubature, che si inerpicavano per tralicci urbani dall’aspetto meccanicamente industriale, ferreo ma dalla adombrata precarietà di equilibrio… Burton e Furst li seguono, riciclando il loro design e le loro tubature, in una configurazione implementante il tipo di narrazione che verrà chiamata steampunk, narrazione sì già in essere, ma che si stava teorizzando proprio in quel momento (e che si era cominciato ad applicare al cinema proprio con Brazil)…
Forse per garantirsi la sapienza visiva di Brazil, Burton chiama alla fotografia Roger Pratt, l’amico di Gilliam…
Batman si girò a Londra perché si rivelò impossibile mantenere la sicurezza anti-pirateria negli studi Warner a Burbank… l’hype già predisposto dalla Warner era colossale, con milioni di macchine fotografiche pronte a far trapelare l’aspetto di Batman o del Joker… la Warner fu, in questo senso, vittima di se stessa…
Fu permesso a Burton di girare in Inghilterra, si diceva ai Pinewood di Iver Heath, nel Buckinghamshire (gli studi dove si girava proprio James Bond, a pochi passi dagli studi EMI di Borehamwood, i preferiti di Stanley Kubrick, George Lucas e Steven Spielberg), tra l’ottobre del 1988 e il gennaio del 1989 (Spielberg aveva chiuso la principal photography di Indiana Jones and the Last Crusade a Borehamwood a giugno 1988)…
Il cambio di ambiente fu per Burton terribile…
Abituati ai colossi che passavano di lì, le maestranze giudicarono Burton poco pronto a gestire il budget e il set, spesso indeciso, e dalle idee per lo meno eccentriche di composizione e di ripresa…
Le cose non sono nuove: altri cambi di nazionalità del set sdilinquirono altre lavorazioni: l’inglese Ridley Scott si trovò malissimo con la sua prima troupe americana in Blade Runner (1982), e James Cameron aveva trovato le stesse diffidenze nelle maestranze, che Burton sperimenta nel 1988, un paio di anni prima, durante la lavorazione di Aliens (1986), lavorato agli stessi Pinewood Studios con gli stessi macchinisti scenografi coinvolti (che, peraltro, riciclano con Furst e Burton un set costruito da Cameron e Peter Lamont: la Axis Chemicals è costruita sul supporto dell’Atmosphere Processor di Aliens)…
…Burton ha in più il problema della balbuzie, presa spesso in giro dagli inglesi… per cui la lavorazione fu un vero inferno…
Dalla sua, Burton aveva Furst, gli attori, soprattutto Nicholson, ma gli remavano contro Pratt e Jon Peters, colui che metteva i soldi… Peters spesso prendeva decisioni al posto di Burton, scombinando la tabella di marcia stabilita e perfino le battute già scritte… Fu Peters a imporre, in corso d’opera, l’ambientazione finale della cattedrale, cattedrale che né Burton né Furst avevano ideato, e che accettarono loro malgrado…
Per sistemare il copione, bucherellato dalle astrusità di Peters, Burton assunse Charles McKeown, anche lui proveniente da Brazil (film che, evidentemente, fu di supersonica ispirazione per Batman) e il drammaturgo inglese Jonathan Gems…
Dopo McDowell, Gems è stato il secondo sceneggiatore principale di Burton: con lui progetterà decine di film, e riuscirà a realizzarne solo uno (Mars Attacks!, nel 1996)…
È Gems che riesce a incorporare le idee assurde di Peters nel copione, e lui, Burton e Nicholson si misero a fare squadra e a supportarsi a vicenda…
Una sera andarono insieme a vedere The Phantom of the Opera di Andrew Lloyd Webber (aveva debuttato due anni prima) all’Her Majesty’s Theatre al West End a Londra e tornarono con un sacco di tematiche nuove sul rapporto simile alla «Bella e la Bestia» che avrebbero potuto avere Vicky e il Joker, tematiche che riuscirono a inserire, alla zitta, nel copione…
A complicare le cose ci fu anche l’infortunio di Sean Young, scritturata nella parte di Vicky: Burton fu costretto a una veloce e disperata ricerca di una sostituta, che finì per essere Kim Basinger…

BATMAN: LA POST-PRODUZIONE (ELFMAN, LOVEJOY E PRINCE)
Dopo la lavorazione cominciò la post-produzione, con Burton che chiamò l’ormai amico Danny Elfman a fare le musiche, pronte ad adattarsi alle canzoni che la Warner aveva già commissionato al cantante Prince, alcune delle quali già circolavano in radio per fare hype
Peters avrebbe voluto Michael Jackson a scrivere le musiche (il film Moonwalker, anthology di alcune storie musicali di Jackson è appena uscito nel 1988), e Elfman ne tiene conto, anche se, alla fine, preferisce optare per un mix di diversi brani classici (Verdi [Dies Irae della Messa da Requiem, 1874], Schubert [Sinfonia incompiuta, 1822] e, soprattutto, Strauss, il cui Also sprach Zarathustra [1896] riecheggia nel finale, e Dvořák: i rapporti intervallari dell’ultimo movimento della Sinfonia dal nuovo mondo [la sua nona sinfonia, 1893] sono quelli del Batman Theme), che però si sente poco pronto a orchestrare, per cui chiede l’apporto dell’amico Steve Bartek e della professionista Shirley Walker (Bartek sarà quasi sempre l’orchestratore di Elfman, e Walker, già con Elfman in Scrooged, 1988, figura come suo aiuto fino almeno al 1995, per film [tra cui spiccano Edward con Burton, Nightbreed di Barker, Dick Tracy di Beatty e Darkman di Raimi] e, soprattutto, per le serie TV gemmate da Batman: la serie animata di Bruce Timm e Paul Dini del 1992, e il Flash di Danny Bilson e Paul De Meo del 1990)…
Il montatore fu Ray Lovejoy (lo stesso che la Fox aveva affibbiato al “transfugo” Cameron in Aliens), un geniale professionista, amico di Kubrick, che però lavorò più con Peters che con Burton, ed ebbe un gran da fare per rendere coerente tutto quanto…
Essendo però la strategia della Warner completamente indipendente dalla qualità del film, Batman esce e conferma un successo già in essere: la gente stava già comprando magliette di Batman e i CD di Prince già prima dell’uscita del film… e il successo il film lo conferma in maniera davvero sorprendente: un successo esponenziale…
Nonostante Lethal Weapon 2 (della stessa Warner Bros.), e Indiana Jones and the Last Crusade (Paramount) come concorrenti (da citare anche The Abyss di Cameron, che la Fox fa uscire nella stessa estate: una scelta che si rivela terribile, dati i competitors in campo), Batman stravince gli incassi, e per molti anni è il film con maggiore incasso di tutti i tempi…

EDIPO E FOLLIA
E questo nonostante il suo essere un film edipico (a dispetto di qualsiasi storyline di Batman, Joker è rappresentato come omicida dei genitori di Bruce Wayne: è quando Burton gli propose questo che Sam Hamm protestò tantissimo fino a licenziarsi), del tutto anti-eroico, e dalla morale intellettualoide perfino simile a quella del Barone rampante di Italo Calvino (1957) e della Luna e i falò di Cesare Pavese (1950)… sottrarsi al mondo onde, paradossalmente, viverlo al meglio, e in qualche modo “migliorarlo”, poiché non è un mondo perfetto, anzi, è pieno di funzioni mentali riferiti alla psiche, alla tragedia della morte dei padri, all’ansia di poter avere rapporti sentimentali completi, al sentimento di inadeguatezza allegorizzato da un mondo del tutto corrotto, in cui non ci si può fidare di nessuno, e in cui perfino la città ha l’aspetto sghembo e irrealista di una mente poco lucida…
Il film esprime il dramma di vestirsi da pipistrello per dare giustizia a un mondo affetto dal male, un male che però, in fin dei conti, è colpa nostra (è Batman a far cadere Napier nell’acido), oppure è colpa di una nostra nemesi, dal male già plasmata, il nostro essere adulti invece che bambini, quando invece bambini ci sentiamo – fu Joker a uccidere i genitori e l’infanzia di Batman, un’infanzia che Batman continua a “preferire” all’amore, rifugiandosi in ninnoli e in balocchi (perfino Joker dice di Batman: «Where does he get those wonderful toys?»), perché sente di averne ancora bisogno, almeno fin quando non “digerisce” quella nemesi, quella causa principale di “male” che lo rende bimbo (Batman dice a Vicky: «He’s out there, right now, and I have to go to work»)… Un rimanere “bimbo” che Batman sa essere una malattia, da cui cerca di guarire senza riuscirci… una malattia che gli altri vedono (Vicky gli dice: «You’re not exactly normal, are you?»), e che lui imputa proprio al mondo stesso (Batman le risponde: «It’s not exactly a normal world, is it?»), come un bimbo egosintonico (che dice: «non sono io a capire male, è il mio cervello!»)…
Come Cosimo Piovasco di Rondò, Batman cerca come può di esistere, a modo suo, con le sue nemesi e le sue stranezze, e incarna ancora il personaggio “burtoniano”, che era stata la Lydia di Beetlejuice e lo stesso Beetlejuice: figure al limite di mondi diversi, dalle strutturazioni mentali uniche e poco congruenti con un Erlebnis perbenista condiviso… ma forse per la prima volta questo personaggio deve fare i conti con se stesso, mentre Beetlejuice e Lydia, in fin dei conti, raggiungono un’armonia scanzonata tra vivi e morti senza particolari catarsi… per questo Batman è il primo vero capolavoro di Burton, il primo lungometraggio davvero “serio” di un regista che solo in Vincent e in Hansel and Gretel era stato così truce: la carica “cattiva” di Beetlejuice e della sua invasione del mondo dei vivi, pur bella pesante, si risolve in termini più sereni della lotta psicologica di Batman, che, nonostante tutto e nonostante le nemesi sconfitte, nel finale non rinuncia a vestirsi da pipistrello e ad arrampicarsi sui grattacieli poco sicuri della Metropolis/Brazil di Furst (grattacieli che sembrano reggersi malamente su transenne e tubature poco probabili: segno di una mente ancora non guarita?), lasciando Vicky da sola, in un finale sì fragoroso (con Strauss in colonna sonora), ma non così certamente felice…

PROGETTI DOPO BATMAN
Con il trionfo di Batman, Burton può imporre tutto quello che vuole alla Warner Bros. e le idee sono tante… e anche la gente con cui lavorare… anche perché Burton comincia a essere coccolato da altre majors
Con McDowell consolida Nightmare Before Christmas, ma la concretizzazione latita e nel frattempo i due, l’abbiamo detto, accettano di far realizzare una serie TV con protagonista Beetlejuice che va in onda dal 1989 al 1991… Forse grazie al pretesto della serie, Burton ritorna a parlare con David Geffen riguardo al seguito di Beetlejuice, già in essere nel 1988… Incarica Jonathan Gems di occuparsene…
Intanto Burton riprende anche i rapporti con l’adorato Vincent Price, voce di Vincent e partecipante a Hansel and Gretel… è con lui, ormai anziano, che vorrebbe tanto rilavorare in un lungometraggio…
Oltre a Beetlejuice 2 con Gems, e al sempre pausato Nightmare Before Christmas di McDowell, Burton riprende anche il progetto del ragazzino con le forbici al posto delle mani che aveva cominciato a prendere forma con Caroline Thompson, del team di Denise Di Novi, e che la Warner aveva venduto alla Fox durante la pre-produzione di Batman
La Fox aveva già dato ampia libertà a Burton, sicura del successo di Beetlejuice, e gliene dà ancora di più grazie al trionfo di Batman

JURASSIC PARK
La Warner capisce di aver venduto uno dei suoi talenti, e cerca di rallentare la produzione del film con le mani-forbici proponendo a Burton lo script di Drop Dead Fred… e proponendo Burton addirittura per Jurassic Park: Crichton stava vendendo i diritti filmici e stava considerando le offerte della Tri-Star (che presenta Richard Donner come regista), della Twentieth Century Fox (con Joe Dante) e della Universal (che ha dalla sua Steven Spielberg), e la Warner vorrebbe provare anch’essa a impressionare lo scrittore e riprendersi il suo “pupillo” Burton con un film kolossal da controllare al massimo… Burton però rifiuta tutto e con la Fox si butta a capofitto in quello che viene intitolato Edward Scissorhands

EDWARD SCISSORHANDS
Denise Di Novi è lì a produrre, in una collaborazione con Burton paradisiaca…
La scelta di fare di Edward un musical alla Sweeney Todd viene accantonata, e si opta per un film normale in cui Di Novi garantisce lo scenografo Bo Welch (con i soliti Duffield e Carasik: a Duffield, Burton affianca Rick Heinrichs), Danny Elfman alle musiche, e offre la costumista Colleen Atwood e il direttore della fotografia Stefan Czapsky, che per puro caso aveva avuto a che fare con Burton ai tempi (1985) di After Hours, a cui Czapsky aveva lavorato, come assistente di Michael Ballhaus, quando già era subentrato Scorsese…
Denise Di Novi produrrà i successivi 3 film di Burton, e Welch e Czapsky saranno con lui per due di quei tre film, solo perché il terzo è animato… Burton non abbandonerà mai più Colleen Atwood: tranne che per Batman Returns (1992, dove ritorna il costumista di Batman, Bob Ringwood, assistito da Mary Vogt), Charlie and the Chocolate Factory (2005, “vestito” da Gabriella Pescucci) e ovviamente per i film animati, sarà la costumista “totale” di Burton…
Edward diventa anche il film che riunisce Burton a Vincent Price… e quello in cui scopriamo la predilezione che Burton ha per il cantante Tom Jones, presente in un paio di canzoni in Edward e poi attore in Mars Attacks! sei anni dopo…
È il primo di tre film che Burton realizza con protagonisti chiamati “Edward” (seguiranno Ed Wood, 1994 e Big Fish, 2004)…
L’idillio tra Denise Di Novi e Burton nella realizzazione di Edward mette però un po’ in pausa la factory di Di Novi: Michael Lehmann e Daniel Waters, mentre Di Novi e Burton realizzano Edward, fanno un film con Joel Silver, Hudson Hawk (1991), sul quale vedi Madame Verdurin

IL SIMBOLISMO DI DEBUSSY E MAETERLINCK AL CINEMA
Edward Scissorhands finisce per essere il film più genuino sia di Burton, sia di Johnny Depp, scritturato come protagonista, sia di Danny Elfman…
Di nuovo con un protagonista “cattivo”, allucinato e poco a suo agio nel mondo dei “normali”, Edward è il grande testo dell’incomprensione e della lotta dei freak, e finisce per contenere e quasi “sostituire” in sé tutto quanto fatto dal Burton pre-Beetlejuice… I colori e gli attrezzi da fornaio di Hansel and Gretel, il finale nichilista di Vincent, la bontà tanto cercata in Frankenweenie: è tutta roba che trova ricollocazione seria in Edward
Edward continua e quasi “ultima” il discorso sul difficile accostamento di mondi diversi iniziato con Beetlejuice, e, come Batman, si conclude nella impossibilità di qualsiasi amalgama… La scanzonata accettazione mutuale dei mondi di Beetlejuice, già declinata in follia in Batman, in Edward si nega proprio a causa della violenza, in un’idea di mondo quasi simbolista, alla Claude Debussy e alla Maurice Maeterlinck, che Burton coccolerà anche in Nightmare Before Christmas… Come Mélisande di Debussy e Maeterlinck, Edward, più della Lydia di Beetlejuice e quasi più di Batman, entra in contatto con un mondo di cui non fa parte, un mondo che esiste per caso, e solo per creare sofferenza, dove l’Amore sboccia con naturalezza, del tutto involontaria, per “istinto”, per “passione”, ma reca solo altro malessere, altra afflizione, altra tristezza… Un mondo ordinato con colori pastello completamente assurdi, dove vigono regole comportamentali indotte prive di ogni senso…
Edward assaggia questo mondo, e prova l’Amore, ma non può stare in quel mondo, perché, un po’ come Batman, è un’entità forse malata, o forse inesistente: forse Edward è uno spirito al di là del tempo, un “mostro” automatizzato tra il replicante di Blade Runner e lo zombie, oppure un Geist animalesco ma benevolo, simile allo shintoista Totoro del film di Hayao Miyazaki (1988), e incarna la neve, la neve che lui produce… Edward è quindi un elemento naturale, ctonio e terrestre, che cerca di amalgamarsi con gli umani scemi che lo umiliano… O è un bambino che non riesce a crescere, come Batman, o che non vuole crescere, se crescere vuol dire diventare come gli abitanti del mondo…
Un bambino, come Batman e come il futuro Sweeney Todd, rinchiuso nei suoi giocattoli e nei suoi “luoghi chiusi”: la Batcaverna di Batman è come il castello in cui Edward torna: oscuro antro psichico-mentale in cui rifugiarsi a rappresentare se stessi (i costumi tutti uguali di Batman e le statue completamente “specchianti” la mente di Edward), avvolti dall’egosintonico narcisismo declinato in depressione per la perdita degli affetti (i genitori per Batman e l’inventore per Edward)… Sweeney Todd, 17 anni dopo, ma precedente nell’ideazione, avrà la sua soffitta, analoghe forbici (i rasoi) come mani, e la stessa perdita folle degli affetti…
Di certo, Edward è un bambino che, come Mélisande in Debussy e Maeterlinck esclama: «Dappertutto ma fuori da questo mondo!»
E di certo è un bambino che turba e che scopre la cattiveria dell’uomo, la sua volontà di potenza e di prevaricazione… Come Mélisande, con la sua ingenuità, provoca solo istinti omicidi e gelosia nel pacifico Golaud, così Edward, la sola esistenza di Edward, scopre e rivela la violenza del mondo, e l’ipocrisia della sistemazione pastello: lui, tutto nero ma sincero, smaschera il marciume purulento dietro i rassicuranti colori del mondo… Un mondo caramelloso del tutto simile a quello di Blue Velvet, che David Lynch aveva girato nel 1986 e che per la seconda volta, dopo Vincent, c’è da tirare in ballo come unico termine di paragone cinematografico a un film di Burton… E Lynch finiva nel rassicurare le funzioni psichiche (il “magico” ed “edipico” Dennis Hopper) e nel calmierare le pulsioni di morte (gli scarafaggi) forieri di ipocrisia… Burton finisce malissimo… Sancisce quasi un fallimento della società, descritta come fragile cartapesta di apparenza e affettazione così come crogiolo purulento di atrocità…
Edward Scissorhands è un pianto di dolore per la condizione tremenda dell’esistenza, per l’ipocrisia del mondo, e per l’impossibilità di reagire in alcun modo, che finisce nella tragedia del “sognato” (l’immagine, comune a Edward e Kim, della ricordata/immaginata Ice Dance: «Sometimes, you can still catch me dancing in it») e nel solipsismo del malinconico narcisismo… è come Batman ma ancora più cruento… anche perché quasi solo in Sweeney Todd e nella Trilogia della Morte, vedremo Burton impegnato nella rappresentazione di scene più violente di quella della morte di Michael Hall…
Forse Edward, più che elemento “esterno” simbolista, come Mélisande, è un agente inconscio della società stessa, il simbolo dell’oscuro, l’istintivo (mai definitivamente “positivo” o “negativo”) con cui la società, la mente, l’umanità non riesce mai a fare i conti, svicolando nella negazione, sommergendolo o sopraffacendolo… Edward come “archetipo primordiale” (direbbe Jung), ancora indistinto tra “positivo” e “negativo” (dato che la sua superficie, nera e spaventosa, è “negativa”, mentre il cuore è del tutto “positivo”), esprimente inadeguatezza e insicurezza…
In ogni caso e in ogni interpretazione è un film davvero epocale e indimenticabile… Czapsky affianca Burton in modi geniali: la scelta degli obiettivi, anche nelle scene più innocenti (tipo quelle a tavola), sottolinea al massimo la lontananza di Edward da tutto quanto; e Welch crea l’impianto della magione mentale con stilemi che Burton e Heinrichs citeranno in Dark Shadows, 22 anni dopo…
Un film tristerrimo e piangente ma dalla superficie caramellosamente natalizia e dai buoni sentimenti espressi come Julie Hickson avrebbe tanto voluto Burton li esprimesse nei film Disney dell’’84… e per questa componente “buona”, c’è chi rimprovera Burton e contrappone alla bontà un po’ imbambolata del simbolista Edward la cattiveria e il know how di Beetlejuice o l’anarchia monella di Pee Wee… Nel libro Tim Burton, curato da Emiliano Morreale per la Dino Audino di Roma nel 1995, si leggono tanti stralci di stampa americana che stroncano Edward Scissorhands, dicendo che Beetlejuice avrebbe sputato facilmente in faccia a Edward…
Un Burton che, pur nel suo trionfo creativo più grande, seguito al suo successo finanziario più enorme, comincia ad avere dei detrattori e delle critiche sterili…
In futuro, dagli anni 2000, le critiche imputeranno a Burton la nascita di un odiato movimento musicale e modaiolo, l’emo, come vedremo a proposito di Nightmare Before Christmas

DOPO EDWARD
Dopo Edward, Burton, nell’aprile del 1991, comincia a girare uno speciale documentario su Vincent Price, Conversations with Vincent… non lo terminerà mai, perché gli altri progetti finora in cantiere premono… il documentario sarà pausato per far posto a Batman Returns, e poi resterà incompiuto a causa della morte di Price nel 1993…
Con Edward, Burton ha due trionfi alle spalle e la Warner Bros. è disposta molto bene a realizzare i suoi progetti, ma le cose non vanno mai benissimo…
La Warner è sempre la matrigna di Burton, la sua sempiterna forza “attrattrice” dispensiera di amore e odio… e la Disney, molte volte, giunge a raccattare quello che Warner rigetta…
I primi progetti a cui mettere le mani sono i già in essere Beetlejuice 2 e Nightmare Before Christmas
Dopo Edward, Burton è più che mai disposto a produrre questi film con Denise Di Novi, la magica produttrice tanto adorata in Edward… e con Di Novi si pensa di ridimensionare entrambi i progetti…

LISA MARIE
Nightmare Before Christmas subisce molte riscritture derivanti anche dalla vita privata di Burton… siccome, dicevamo, la cronologia del matrimonio con Gieseke è problematica, si sa poco di quando comincia la crisi, e, soprattutto se Burton e Gieseke divorziano nel 1991 o nel 1993, e se si sposano nel 1989 o nel 1991… Fatto sta che molti rumors creativi riguardo Nightmare Before Christmas vogliono che la bambola Sally sia ispirata alla modella Lisa Marie, che Burton conosce l’ultimo dell’anno del 1991… Si incontrano a New York: secondo Burton si conoscono in uno Starbuck, secondo Marie, invece, in uno locale di spogliarello… Marie ricorda un Burton disperato per la crisi con Gieseke (a seconda delle date, Burton e Gieseke si sono appena sposati o sono in procinto di divorziare dopo 2 anni)…
Marie è una stramodellona con un corpo mozzafiato di 25 anni, con alle spalle particine in telefilm (Miami Vice nel 1988) e in film di Woody Allen (Alice nel 1990), e soprattutto tante copertine di riviste e un contratto con Calvin Klein, rescisso proprio nel 1991, motivo per cui, senza lavoro, aveva accettato di fare striptease… Se Sally arriva in Nightmare Before Christmas solo nel 1992, se è opportuno credere ai rumors creativi mai confermati, allora prima di quella data il Nightmare Before Christmas lavorato con Michael McDowell già dal 1989 forse non prevedeva l’amore trionfante… Non si sa… quello che è risultato è che dopo Lisa Marie, e dopo il lavoro con Edward con Denise Di Novi, Nightmare Before Christmas si trasforma: Burton in qualche modo lo “toglie” dalla mani di McDowell e lo affida a Caroline Thompson, in accordo con Di Novi…

ED WOOD
Di Novi, intanto, coinvolge Burton in un vecchio progetto che i suoi pupilli Michael Lehmann, Scott Alexander e Larry Karaszewski stavano portando avanti: un biopic sul regista Edward D. Wood. Jr., detto Ed Wood… il regista designato è Lehmann, ma il progetto è in stallo (Lehmann, l’abbiamo detto, dati i ritardi con questo film, durante la lavorazione di Edward aveva girato Hudson Hawk con Joel Silver) e Burton è ben felice di dare una mano, convinto di poter dedicare poco tempo al biopic visto che non solo Nightmare Before Christmas ma anche Beetlejuice 2 sembrano andare in porto con il vento in poppa dei contatti hollywoodiani di Denise Di Novi…

BEETLEJUICE 2
Beetlejuice 2, cioè Beetlejuice Goes Hawaii, non fu mai più così vicino alla realizzazione come nel 1991… c’erano tutti: Keaton, Ryder, e lo script già rodato da Jonathan Gems era stato riassemblato dalla factory di Di Novi, con a capo Daniel Waters (anch’egli, con Lehmann, durante Edward, aveva lavorato a Hudson Hawk con Joel Silver)… Di Novi era in contatto con David Geffen, proprietario del film, che con piacere stava contrattando la distribuzione con Warner Bros…

ULTERIORI INGAGGI, MARY REILLY
Ma le factory sono strambe, e le majors anche: non si sa mai davvero cosa trova lo sbocco monetario adeguato, e anche la creatività è labile e mobile… Due film stanno andando bene (Beetlejuice Goes Hawaii e Nightmare Before Christmas), un altro si sta sviluppando (Ed Wood, con la regia di Lehmann), ma altri corteggiano Burton…
La Carolco (Mario Kassar e Andrew G. Vajna) contatta Burton per Mai, the Psychic Girl, un anime da trasformare in musical con le canzoni del gruppo new-wave Sparks…
La Morgan Creek (reduce dal successo del Robin Hood di Kevin Reynolds) aspira a Burton per la regia di Stay Tuned, impressionata più da Beetlejuice che da Batman o Edward, e con alle spalle la Warner…
I produttori di Batman, Jon Peters & Peter Guber, con cui Burton non lavorò benissimo, parlano a Burton e a Denise Di Novi di Mary Reilly, riscrittura di Dr. Jekyll e Mr. Hyde
Burton rifiuta Mai (e considerando quanto è venuto male Annette, ideato dagli Sparks 30 anni dopo, la cosa è forse un bene), ma pensa seriamente a Stay Tuned: il regista che lo sostituirà, Peter Hyams, in qualche modo “imiterà” Burton nelle scenografie…
Su Mary Reilly è spaventato da tornare a lavorare con Jon Peters, ma non butta via del tutto l’offerta… Anche perché Peters fa parte di un progetto Warner che, inaspettatamente, si affaccia nello scheduling di Burton… il seguito di Batman

UN SEGUITO DI BATMAN
Seguito non voluto da Burton, traumatizzato dal lavoro con Jon Peters e dal set ostile, e poco recepito dalla Warner, che ritenne il primo Batman poco adatto alla compravendita di merchandising, è però un seguito chiamato a gran voce dai fan, dai produttori di giocattoli, e da quel business che la Warner aveva imbastito prima dell’ingaggio di Burton…
La Warner cercava di fare un seguito senza Burton, con Sam Hamm di nuovo all’opera… e fu Hamm a designare come cattivi il Pinguino e Catwoman, mentre Burton girava Edward
La Warner ha un rapporto ambivalente con Burton: lo vorrebbe, ma non per film che lui trasforma in *personali*: non lo vorrebbe in Batman: lo vorrebbe in cose più commerciali, dove il suo stile si può controllare, blockbuster privi di intenzioni psicanalitiche, dove l’estro visivo di Burton aiuta l’originalità dei giocattoli susseguenti, ma dove è invece tramortito il suo gusto emozionale e stragiante… Invece che Edward, venduto alla Fox, la Warner vorrebbe da Burton roba più gioviale, come Beetlejuice, e gli propongono sempre cose in quelle corde: Jurassic Park, nel 1990, o i filmetti con gli animali che gli proponevano nell’’89…
Poi Edward fa successo, la joint venture con Denise Di Novi lavora a tante idee e si fa ben vedere a Hollywood: gli agenti sono all’opera, e i soldi, tanti, fatti da Burton nel 1989 sono ancora lì a parlare… la Warner forse ha fatto due conti: ricercare un regista e un nuovo attore, dopo gli inferni passati prima del 1989 con Mankiewicz, Reitman, Dante e Donner? e attendere troppo per fare un nuovo film e passare all’incasso di un hype già garantito dal trionfo di Burton…?
La Warner capitola e offre a Burton il secondo lungometraggio di Batman… Un Burton che, avendo altri tre film “pronti” con Denise Di Novi, contratta e contratta bene: esclusione di Jon Peters, e lui stesso e Denise Di Novi a capo del progetto in toto…
La Warner acconsente, e acconsentendo mette in qualche modo in crisi Beetlejuice Goes Hawaii e Nightmare Before Christmas: script già pronti e in attesa solo di passare all’effettiva produzione…

TUTTI SU BATMAN RETURNS: NIGHTMARE BEFORE CHRISTMAS PASSA ALLA DISNEY
L’urgenza di Batman Returns fa sì che la factory si muova, con tutte le sue energie, verso Gotham City: Daniel Waters è prelevato da Beetlejuice Goes Hawaii per riscrivere la storia di Sam Hamm, e questo mette in pausa tanto Beetlejuice, anche perché Michael Keaton, allertato per Beetlejuice, è richiamato per fare Batman… Finisce che Beetlejuice non si farà più, mentre per Nightmare Before Christmas, Burton e Di Novi trovano una collocazione molto inaspettata: alla Disney…
La madre poco ricettiva che aveva poco apprezzato i primi tentativi creativi di Burton, che aveva relegato alla cantera di fondo della sperimentazione, e che lo aveva infine licenziato, dopo Beetlejuice, Batman ed Edward, torna a farsi sentire, e proprio con quel Jeffrey Katzenberg che aveva avuto a noia lo spendere denaro per progetti burtoniani che non si distribuivano…

LA NUOVA DISNEY DEGLI ANNI ‘90
Dal 1984 al 1992, Katzenberg era riuscito a diversificare la produzione disneyana: con Michael Eisner, suo “principale”, aveva creato altri marchi distributivi, Hollywood Pictures e Touchstone Pictures, proprio allo scopo di non ingabbiare la produzione in un brand disneyano troppo limitativo; aveva coinvolto Zemeckis e Spielberg in progetti ambiziosi come Roger Rabbit (1988), ed era riuscito a far confluire le intelligenze dei giovani (alcuni anche amici di Burton, e attori in Luau: Musker, Gabriel e Cartwright) in progettoni molto costosi, ma molto redditizi (The Little Mermaid, 1989, di Musker e Ron Clements; The Rescuers Down Under, 1990 di Gabriel e Hendel Butoy; e Beauty and the Beast, 1991), che costruirono quello che per Disney fu un grande rinascimento, che implementò una compagnia molto diversa da quella lasciata da Burton nel 1984…

RISCRITTURE DI NIGHTMARE IN DISNEY
Katzenberg acquista tutto il blocco di Nightmare Before Christmas che, fino ad allora, non era per niente a un brutto punto… McDowell, nel 1991, se n’era andato, ma con lui Burton era arrivato a uno stadio lavorativo ottimo: aveva organizzato i concept visuali con Rick Heinrichs, e aveva cominciato a lavorare alle musiche con Danny Elfman… poi, si diceva, nel 1992, entra nella vita di Burton Lisa Marie, e il film si trasforma in una storia d’amore e Caroline Thompson entra in azione per strutturare quella che diventa una sorta di operetta, con 10 canzoni, come, forse, era stato anche Edward durante la fase di scrittura pre-vendita alla Fox…
Occhio, però, che la cronologia, basata sugli assunti di Lisa Marie di essere base per il personaggio di Sally, potrebbe non quadrare affatto, visto che Nightmare Before Christmas si trasferisce alla Disney già nel luglio del 1991, e Burton e Marie dicono di essersi incontrati l’ultimo giorno di quell’anno… Boh… le cose non quadrano ma non sono da escludere, in ogni caso, cambiamenti in corso d’opera…
Alla Disney, Burton porta con sé tutta la factory con Di Novi, e trova amici di un tempo: Joe Ranft e Henry Selick, con i quali parlò tanto del progetto prima del 1984…

HENRY SELICK
Henry Selick è sempre stato abbastanza misconosciuto, anche alla Disney: come Burton visse male la lavorazione di The Fox and the Hound nel 1981 e non trovò posto nell’azienda… si riciclò come macchinista di effetti speciali e fu scritturato da Walter Murch nel suo sfortunato ma splendido Return to Oz (1985)… quindi riesce a lavorare, mordi e fuggi, alla concretizzazione visiva dello Schiaccianoci di Carroll Ballard e Maurice Sendak del 1985, e dà una mano, in segreto, all’amico John Musker per Basil, The Great Mouse Detective nel 1986… poi lavora ad alcune serie animate per MTV, ed è lì che Burton lo trova e lo richiama in Disney per Nightmare Before Christmas
Essendoci il via libera per Batman Returns, Burton affida totalmente la gestione di Nightmare Before Christmas a Selick… e, lavorando a Nightmare Before Christmas, Selick si dimostra essere un maestro, uno dei maghi illusionistici più supersonici del cinema di animazione, paragonabile solo a Ray Harryhausen e Karel Zeman, ma anche un genio della più pura fantasia costruttiva per la ripresa della macchina da presa, realizzatore di trucchi special al pari di Georges Méliès, Mario Bava o Michael Powell…
Selick e Burton trasformano del tutto Nightmare Before Christmas in un film animato, come forse era già (ma di questo non c’è certezza), e Selick insiste per farlo così come lo aveva sentito descrivere a Burton nel 1983: un film come Vincent, con animazione a passo uno, e con Vincent Price coinvolto in prima persona a lavorare su alcune caratterizzazioni vocali e su alcune narrazioni off
Mentre Selick lavora a Nightmare Before Christmas, Burton gira Batman Returns, e, nonostante il grosso narratologico e artistico già deciso da Burton, Elfman e Thompson, Selick prende in mano il film del tutto, quasi totalmente riscrivendo la storia di suo, e lavorando quasi autonomamente con Elfman alle canzoni, mentre Burton non c’è… e dopo poco neanche Vincent Price c’è più: anziano, malato di Parkinson (cosa che gli rese difficoltoso lavorare anche a Edward e al susseguente documentario girato nel ‘91), e afflitto dalla morte dell’amatissima moglie (proprio nel ‘91), Price non riesce a terminare le sue caratterizzazioni vocali…

ANTON FURST
Intanto, Burton richiama alle armi la sua troupe per Batman Returns… vuole di nuovo con sé Anton Furst, ma, come successe con Beetlejuice, lo trova già al lavoro, per Awakenings di Penny Marshall (1991), già praticamente finito, e nella concretizzazione visiva dei ristoranti Planet Hollywood (ancora da ultimare)… e lo trova anche nella congiuntura più drammatica della sua vita: nel film per il quale rifiutò Beetlejuice, l’High Spirits di Neil Jordan (1988), aveva conosciuto l’attrice Beverly D’Angelo, compagna di Jordan… il set di High Spirits, tormentato dalle ingerenze della Tri-Star (Jordan lo ha misconosciuto), vide una liaison nascere tra D’Angelo e Furst, forse addirittura spalleggiata da Jordan… Furst però aveva problemi di depressione già in essere, iniziati alla morte del padre, alcolizzato e mentalmente disturbato, nel 1965: la psichiatria britannica di allora lo curò con farmaci inadeguati, ai quali sviluppò una certa dipendenza, a cui egli aggiunse un certo grado di alcolismo… la relazione con D’Angelo fu altalenante, e lo portò in America… Furst viene descritto come impulsivo, passionale, incline a prendere decisioni contraddittorie repentinamente: un carattere compatibile con la malattia mentale forse ereditata dal padre, forse bipolarismo, o compatibile anche con l’alcolismo più spinto… In America viene curato ancora con farmaci inadeguati (il triazolam) e relativamente nuovi (commercializzati in USA solo dal 1982), che, uniti all’alcool a cui non fu mai capace di rinunciare, gli recarono paranoie e amnesie… È costretto a rifiutare Batman Returns per lavorare ad Awakenings e ai Planet Hollywood, ma a Los Angeles aveva tanto cercato di dirigere un film personalmente, tentativi andati a vuoto (uno dei responsabili fu il solito Peters: mise Furst sotto contratto esclusivo Columbia con la promessa di fargli dirigere un musical con Michael Jackson, musical che Peters stesso poi bocciò, con intanto il contatto in esclusiva che permaneva, cosa che impediva a Furst di tornare al lavoro al secondo Batman della Warner)… Amici e colleghi, una volta finita del tutto la storia con D’Angelo, lo convincono a disintossicarsi e a fare riabilitazione contro le sue dipendenze… Awakenings esce nel gennaio del 1991…
Batman Returns inizia la lavorazione a luglio del ‘91, stavolta in America, alla Warner di Burbank e alla Universal City a nord di Los Angeles…
il primo ristorante Planet Hollywood disegnato da Furst apre a New York il 22 ottobre 1991…
ma Furst muore suicida il 24 novembre: si getta dall’ottavo piano di un parcheggio di Hollywood…

BATMAN RETURNS
Per Batman Returns, Burton quasi non cambia la squadra di Edward: manca solo, dicevamo, Colleen Atwood (torna il Bob Ringwood di Batman). Si aggiunge il montatore Chris Lebenzon… Lebenzon è forse portato nel progetto dalla Warner; prima di allora aveva lavorato soprattutto con Tony Scott… dopo Batman Returns monterà tutti i film di Burton, escluso soltanto Big Eyes (2014)… per gli ultimi film, Lebenzon aiuta Burton anche a livello produttivo, come associate producer… Un collaboratore davvero importantissimo…
Ad affiancare il trio delle meraviglie scenografiche Welch-Duffield-Carasik c’è il solito Rick Heinrichs, anche se molto impegnato anche con Selick nel design di Nightmare Before Christmas
Sul set, l’idilliaco lavoro con Daniel Waters sembra andare a rilento, e la Warner incarica di veloci riscritture un suo impiegato, Wesley Strick… La cosa però non incrina i rapporti con Waters, anche perché pare che Strick abbia ideato solo e soltanto il piano finale del Pinguino di rapire i bambini di Gotham…

LA MENTE FASCISTA
Welch ha descritto la sua Gotham in termini più “storici”… la definì più fascista della Gotham di Furst…
In Batman Returns, Burton sviluppa il problema psicanalitico del primo Batman, giungendo a problematiche di psicopatologia di massa, nei termini descritti da Wilhelm Reich (Die Massenpsychologie des Faschismus, 1933 ma pubblicato solo nel 1946 in inglese; nell’originale tedesco fu edito solo nel 1971; Einaudi l’ha tradotto in italiano, Psicologia di massa del fascismo nel 2002) e Siegfried Kracauer (From Caligari to Hitler, 1947, tradotto da Mondadori nel 1977 poi presentato anche da Lindau), secondo cui l’espressionismo degli anni ‘20 fu insieme sintomo e causa della psicosi nazista… La Gotham di Furst era citazione diretta di Metropolis di Lang, e si strutturava bene come mente stramba dell’anti-eroe-pipistrello; quella di Welch accresce quest’idea proiettandola nella società che una mente malata può creare…
Se il primo Batman rimaneva chiuso in sé, e la sua città si riferiva solo alla sua nemesi edipica con Joker, la presenza di ben tre cattivi (Catwoman, Pinguino e Max Shreck, nome desunto dall’espressionismo: Max Schreck era l’attore del Nosferatu di Murnau) sistema il problema psichiatrico in termini molto più circostanziati, e apre una finestra sul valore etico della follia… per capirsi, se la follia di Batman rimaneva in Batman nel primo film, in Batman Returns i problemi psichiatrici di Batman si sono esacerbati, sono aumentati a livello esponenziale, in un malessere che ha creato non solo una mentalità, ma anche una società mentale sia malata sia totalitaria, così come il malessere espressionista degli anni ‘20 creò la società mentale totalitaria del nazismo…
Se la Gotham di Furst era quindi ancora soltanto espressionista (e citava Metropolis come molti altri film di Golem, di Murnau, Pabst e Wiene), quella di Welch riecheggia la Berlino vaneggiata da Hitler e Albert Speer, ha i telamoni antropomorfi molto più imperanti e disperati di quelli di Furst, un sistema urbano fatto di molte meno tubature simbolo di gangli mentali (ricordiamoci ispirate allo steampunk ante-litteram di Terry Gilliam e Norman Garwood in Brazil) e molte più piazze aperte e desolate… inoltre, la Gotham di Welch è soggetta all’inverno della perenne ambientazione natalizia, e lascia molte volte il posto al set dello zoo, inconscio del Pinguino…
I telamoni antropomorfi e le faccione espressioniste sono simili a quelle che Eugenio Zanetti aveva disegnato poco tempo prima per Flatliners di Joel Schumacher (1990), regista che prenderà il posto di Burton come capo-progetto della serie di Batman nel 1995…
Il mondo come cupa espressione nazista diverrà una sorta di topos sotterraneo di Burton, che riemergerà soprattutto nel remake di Frankenweenie nel 2012… e lo spettro del nazismo mentale delle scenografie viene instillato da Burton e Waters in una delle loro migliori trame… una trama in cui il Pinguino funziona come Es bestiale (Burton pare non amasse il personaggio dei fumetti, ma, in gioventù, aveva scritto una storia su un “penguin boy”, poi raccolta in Melancholy Death of Oyster Boy: è a quel disegno che si ispira per il trucco di DeVito), Catwoman come straziante Super-Io (la segretaria tutta educata e impacciata), e Max Shreck come evidente mostro hitleriano (evoca anche l’incendio del Reichstag per convincere il Pinguino a candidarsi sindaco, cosa che stimola moltissimo il Pinguino, più dell’altro modello di “incidente” presentato, il Golfo del Tonchino), mellifluo e raggelante di ipocrisia…
Queste funzioni popolano l’universo mentale di Gotham con una carica quasi maggiore, quasi più sincera di quella del Joker edipico di Batman, e suggeriscono il tema classico che ogni cosa, a Gotham City, continua a essere frutto della psiche malata e infantile di Batman, con ogni cattivo a personificare le sue imbarbarite e scure pulsioni…
La dicotomia Wayne/Batman, già poco sostanziale in Batman diviene quasi inesistente in Batman Returns, dove il disguise di Wayne è comune a tutti quanti, tanto che tutti quanti, alla fine, vengono a conoscenza delle identità segrete di ognuno, in un sistema di smascheramento inutile, poiché si scopre subito che le maschere vere sono le facce, le identità “pubbliche” e non quelle “segrete”… la maschera come pirandelliana rappresentazione del sé e della propria malattia, che affligge chiunque nella mente-nazista di Batman che è Gotham… maschere usate per farsi mostri quando mostri siamo dentro, maschera quindi come espressione, in piccolo, di quello che Gotham è in grande… mostri afflitti, mostri bestiali, mostri repressi, che popolano la mente… la cosa è enunciata al massimo quando Wayne e Selina, unici non mascherati in un ballo in maschera di Shreck, si riconoscono come Batman e Catwoman, si riconoscono come maschere che si sono travestite con identità “pubbliche” del tutto congruenti con i travestimenti posticci degli altri invitati… Il Pinguino afferma anche che lui, l’Es, è odiato dall’Io-Batman solo perché Batman, per esprimersi, deve indossare una maschera, mentre Pinguino (nonostante il disguise civile) è mostro autentico senza alcun bisogno si maschere…
In Batman Returns, Batman, oltre al bambino narciso, è anche un auto-costretto organismo in cerca di etica, più che nel primo: sempre alla ricerca di giustizia personale e sempre impegnato a calmierare i diversi impulsi dei tre cattivi (prova repulsione ma pietà per il bestiale Es del Pinguino, disgusto per l’ipocrisia di Shreck, ma è attrattissimo dal Super-Io educativo di Catwoman), in un lavoro sempre più pericoloso (molto di più che in Batman) e più foriero di problematiche eterodirette (Catwoman che riesce a ferirlo oltre l’armatura del costume) e anche autoinflitte (gli strumenti che Batman usa per la sua vestizione sono simili a strumenti di tortura medievali, come quelli che popoleranno gli incubi di Ichabod Crane in Sleepy Hollow, 6 anni dopo)…
La voglia di pacificare questa mente malata, e di rendere Batman il protagonista di una splendida fiaba simboleggiante la GUARIGIONE dal narcisismo così come la fine del nazismo interiore è espletata da Waters nei discorsi con Catwoman e addirittura nella capacità di Batman di smascherarsi, di togliersi volontariamente la maschera per riconciliare Io e Super-Io e avviare un futuro non nazista, ma è una prospettiva negata in accordo con le tematiche già in essere in Edward: la società è un fallimento, e quindi non si può illudersi con una fiaba che le cose vadano bene: come in Edward la fiaba non sussiste, la società libera è negata, la pacificazione è impossibile, e resta solo la tristezza… la società, essendo popolata solo di mostri e di espressionismo mentale, può essere solo e soltanto nazista: la società di Batman Returns è tragicamente condannata a replicare il nazismo: nonostante le morti dell’Es/Pinguino (pietosa) e dell’ipocrisia soldosa/Shreck (morte invece arcigna, con scariche elettriche e carne bruciata), Batman continua a sussistere, incapace di congiungersi col proprio Super-Io (Catwoman), in una fiaba negata che sancisce, col suo non esserci, solo la permanenza costrittiva, ancora autoinflitta e ancora torturante di Gotham, e quindi del nazismo…
Anche se, stavolta, la speranza è garantita: la visione di Catwoman ancora viva a guardare la luna fa intendere, titanicamente, che quella ricerca di pacificazione, pur sottratta, si deve sempre ricercare…
Con Batman Returns, Burton inaugura una serie di collaborazioni con Danny DeVito, quasi sempre in ruoli connessi col circo (tranne Mars Attacks!): proprio nel 1992, DeVito sta girando un suo film, Hoffa, nel quale Burton compare per un attimo, nel ruolo di un cadavere… e da Batman Returns si inaugura un ottimo rapporto con Christopher Walken, che però si concretizzerà solo in un unico altro film (Sleepy Hollow) dei tanti progettati… Con Michelle Pfeiffer, seconda scelta dopo Annette Bening (che aveva firmato ed era pronta, ma si scoprì incinta di Warren Beatty, con un pancione che sarebbe stato troppo evidente in fase di lavorazione: Bening lavorerà con Burton 4 anni dopo in Mars Attacks!), le cose non furono idilliache, ma, una volta saputo che era Burton il regista, fu lei a insistere per farsi assumere in Dark Shadows, ben 20 anni dopo… Per Catwoman, Di Novi ha detto che si è presentata a fare il provino qualsiasi attrice della A-list di allora compresa in una fascia di età tra i 17 e i 40 anni… le più agguerrite furono Sean Young, Jennifer Jason Leigh, Ellen Barkin e Sigourney Weaver: Weaver aveva perso la Lydia di Beetlejuice; e Sean Young ce l’aveva fatta a ottenere Vicky in Batman, ma era cascata da cavallo lasciando, malauguratamente per lei, il posto a Kim Basinger (Young visse il non essere riuscita a essere scritturata in un film di successo come la maledizione della sua carriera, rimasta nelle retrovie)… quando fu contattata, Pfeiffer era tanto entusiasta (e disposta a fare molte cose, anche mettersi un uccello vivo in bocca) perché adorava il personaggio fin da bambina…
Batman Returns è la seconda collaborazione di Burton con Michael Gough, già nel primo Batman, e compagno di Burton per altri tre film (Sleepy Hollow, Corpse Bride, Alice in Wonderland): con 5 performance ha la medaglia di legno delle collaborazioni burtoniane attoriche, dietro a Christopher Lee (6), Helena Bonham Carter (7) e Johnny Depp (8)…
Batman Returns è un risultato eccezionale di Burton, uno dei suoi film più genuini, più densi e meglio lavorati… ha anche un tono strambo completamente estraniante, che anticipa quasi quello di Mars Attacks… un tono sardonico e quasi “comicarolo” che si accavalla con momenti molto crudi e commossi in un dedalo di registri simile a quello presente in certi film di John Landis (tipo Into the Night, 1985, dove, per altro, c’era Michelle Pfeiffer, e Innocent Blood, del tutto coevo a Batman Returns)… un film ragionato (i dialoghi tra Batman e il Pinguino, così come quelli tra Wayne e Shreck, sono corpose dissertazioni etiche) e insieme poderosamente visivo, che sfoggia una potenza scenografica anche più sfolgorante di Edward e una mirabolanza visiva del tutto artistica, pittorica, fascinosamente plastica…
Batman Returns è una vera gioia, benché, certamente, abbia fisiologici problemi di equilibrio tra le tante parti in causa, che abbisognano ognuna di tanti minuti non sempre adeguati a irreggimentarsi in un film standard…

NIGHTMARE BEFORE CHRISTMAS: UN’ATMOSFERA ALLA BEETLEJUICE
Intanto Selick sta girando Nightmare Before Christmas, in cui, nonostante tutte le riscritture, si respira una certa atmosfera alla Beetlejuice (visto anche che il primo abbozzo, con Michael McDowell, è venuto fuori dopo quel film)… Il cast, per esempio, vedi Catherine O’Hara (Sally) e Glenn Shadix (il sindaco), provengono direttamente da Beetlejuice… forse, addirittura, “scritturati” già allora… e c’è anche Paul Reubens da Pee Wee, scritturato anche in una particina in Batman Returns e accreditato col suo vero nome, e non col nickname Pee-Wee Herman, dato l’ostracismo pubblico per il suo arresto del 1991… alla Beetlejuice è anche l’atmosfera più felice del finale, quello più roseo del Burton post-Batman
Ma Nightmare Before Christmas è un film totalmente di Selick: Burton non ha passato più di 10 giorni sul set (a San Francisco), e, nonostante tutto fosse stato deciso in fase di sceneggiatura, Selick ha messo del suo parecchio… Selick, tra l’altro, descrisse il Burton di Batman Returns immensamente felice: è Selick a dire che la relazione con Lisa Marie andava bene (dopo l’incontro alla fine del 1991, la loro relazione si impenna quando entrambi credono di avvistare un UFO nel 1992: lo dichiara Burton stesso al «Boston Herald», o, almeno, così dicono tutti, visto che trovare l’articolo originale del quotidiano sembra impossibile), che vedeva Burton più attento all’alimentazione, al suo aspetto, e all’igiene personale (curioso assunto)… a mettere in giro tutto questo, però, è Lisa Marie stessa, sul suo account Facebook… In ogni caso è un Burton felice quello che lavora a Batman Returns e lascia fare a Selick un Nightmare Before Christmas stupendo…

IL LITIGIO CON ELFMAN
È però durante Nightmare Before Christmas che Burton litiga con Danny Elfman… Non si sa niente di come siano andate le cose… a Salisbury, Burton dice soltanto che dopo Nightmare, lui ed Elfman erano un po’ “saturi” l’uno dell’altro… su tutto questo io ho sempre speculato una trama tutta mia, con Elfman molto coinvolto in Nightmare (autore e attore) e in perfetto accordo con Selick, che magari *disobbedisce* a un Burton-produttore che propone cambi indigesti all’ultimo minuto… e Burton che rimane male della “insubordinazione” del suo amico musicista e in quel momento impiegato… ma sono cose che ho totalmente inventato io… la verità non si sa… anche se non dev’essere stato un litigio enorme: Burton non chiama Elfman solo per Ed Wood, ma poi torna a ingaggiarlo sempre e comunque… mentre a Ed Wood lavora Howard Shore, Elfman non va tanto lontano: musica Black Beauty, il debutto registico di Caroline Thompson, sceneggiatrice di Burton… ma subito dopo conosce un altro regista che diverrà “suo”, Gus Van Sant (la loro prima collaborazione, To Die For…, è del 1995), e lavora anche alla splendida musica di Dolores Claiborne di Taylor Hackford (1995)…
alcuni offrono come catalizzatore del litigio su Nightmare Before Christmas anche i pochi tempi di composizione offerti da Burton a Elfman per la lavorazione della musica di Batman Returns

IL SIMBOLISMO SUBLIMATO
Nightmare Before Christmas, nonostante sia in tutto e per tutto di Selick (Burton, s’è detto, non solo girava Batman Returns ma, come vedremo, mentre Selick lavorava valutava anche altri film, e poi prende seriamente in mano Ed Wood), è da annoverare tra i capolavori di un sottinteso cinema di Burton, poiché Selick, come i grandi registi, non fa che potenziare e far funzionare quelle cose che spesso gli autori del testo non saprebbero come mandare a regime a causa del troppo amore… Se, per esempio, Batman Returns ha problemi di minutaggio indecisi sul dedicarsi ai tanti e vari personaggi, Selick, da esterno e da professionista, riesce senza rimorsi a tagliare dove serve e a rappresentare al meglio quello che il testo suggerisce…
Il simbolismo già presente in Edward si propaga in Nightmare al massimo grado… Jack Skellington, come (ancora) Pelléas di Maeterlinck e Debussy, sente una inadaguatezza molto speciale e un fremere verso qualcos’altro, uno Streben romantico esternato in uno spleen decadentista, che lo porta a cercare un anelito remoto, un altrove, un Brave New World dove sentirsi “meglio”, dove sentirsi a casa… ma la morale di Burton e di Selick, più di quella superficiale che di prim’acchito sembra di cogliere (e cioè quella di stare ognuno a casa sua senza dare ascolto ai fronzoli), è ancora sul fallimento di ogni società, sul fallimento dei sogni di “integrazione” delle varie componenti del mondo… Jack, come Edward, entra in contatto con il mondo nostro (stavolta l’identificazione col mondo è ancora più chiara poiché la città dove Jack porta i regali è effettivamente una città umana, e non l’allegoria caramelloso-psichica di Edward), e il mondo nostro lo distrugge, non tenta neanche di assimilarlo, né prova per lui la fascinazione che il quartiere-caramella provava per Edward: gli sparano anche addosso, da subito; invece che “giocarci”, lo vogliono direttamente uccidere… solo allora Jack comprende che il suo Streben per una cosa che sentiva fuori di lui, va rivolto a qualcosa dentro di lui, e non per reazione, né per sentimento di casa e chiesa (quello che si vede nell’odioso Lady Bird), ma per conquista del sé, per pacificazione tutta interiore della psiche… L’angoscia di Jack, in un film che la Touchstone genialmente e finalmente rivolge ai bambini, è quasi quella dell’adolescente o del ragazzo in pubertà (Caroline Thompson ha sempre dichiarato: «David Lynch’s obsessions are the obsessions of a nineteen-year-old, and Tim’s are the obsessions of a twelve-year-old», lo si legge in una classica intervista citata mille volte, io la riprendo da Alison McMahan, The Films of Tim Burton. Animating Live Action in Contemporary Hollywood, New York-London, Continuum, 2005-2006, p. 67; la si trova anche in Paul A. Woods, Tim Burton: A Child’s Garden of Nightmare, London, Plexus, 2002, p. 63; e nel Tim Burton di Emiliano Morreale, Roma, Dino Audino, 1995), ansioso di esplorare un mondo altro da cui è affascinato, in perenne voglia di scappare di casa, ma poi, una volta fatta l’avventura, scopre che la vera avventura è in se stessi, nella vita, nell’esistenza di tutti i giorni, e non serve cercarla in mondi artificiali, fittizi o anche aberranti (sia in senso materiale sia psichico)… Un sentimento da adolescente che è anche il sentimento di ogni protagonista delle fiabe: sempre chiamato da un mondo magico (lo vedevamo anche in Almost Famous) verso un’avventura che gli dà tutti gli strumenti per condurre, poi, la *vera vita* reale in modo migliore; un’avventura di pacificazione psichica che comporta *liberazione* anche etica…
E Jack è il primo protagonista di Burton a farcela a *pacificarsi*, il primo che torna a casa e fa effettivamente tornare la libertà nella sua mente-città (la pacificazione forse incarna anche l’unione geniale tra Streben e Bildung proposta da tutti i romantici, da Goethe e Novalis in poi)… nel film gemello Batman Returns permane il nazismo e la fiaba non è prevista, e in Nightmare, invece, la fiaba esplode, felice e stupefacente, con un’armonizzazione dei mondi diversi scanzonata, come non si vedeva dal ballo sospeso di Lydia in Beetlejuice (lo dicevamo prima); un’armonia in cui trova spazio uno dei finali più sentimentalmente romantici di Burton, precedente al successivo finale di Ed Wood: i protagonisti simbolisti, prima di adesso sempre destinati a non incontrarsi e a non finire insieme, percorsi da quel sentimento incontrollabile e scomodo dell’amore, che genera sofferenza, in Nightmare riescono invece a imbrigliare quel sentimento innato, quasi genetico, e a «live happily ever after» sublimando quella sofferenza in sempiterna continuità tra vita e amore, con una semplicità enunciante l’identità tra esistenza e convivenza supersonicamente micidiale («sit together, now and forever, for it is plain, as anyone can see, it’s simply meant to be» sono le ultime parole del film)…
In questo discorso fiabesco massimo ruolo deve aver effettivamente avuto Lisa Marie, essendo i finali di Burton ispirati da lei (Nightmare e, dicevamo, Ed Wood) quelli più felici… e Selick, di suo, incastona la fiaba in un discorso non banale sulla conquista del reale come valore: Jack che scopre che la vera avventura è a “casa”, riconosce quanto il valore da conquistare sia la normalità della routine, l’esistenza per come è e non per come dovrebbe essere, in una rinuncia ai sogni che non è affatto rinuncia ma trasferimento dei sogni là dove dovrebbero stare, nella vita, nel vivere, nell’Erlebnis e non nel fantasticato, nell’artificiale, e, soprattutto, nello scappare e nel fuggire in un sistema onirico tutto bambagia e positività del tutto “marcio”, più della realtà stessa: una realtà che, in Nightmare, Selick glorifica come vero terreno di fantasia, come fa Michael Ende nei suoi romanzi, e come fa il film Gattaca di Andrew Niccol (1997)… Selick sistemerà ancora meglio questo assunto grazie a Neil Gaiman, nel suo capolavorissimo Coraline (2009)…
Nightmare è quindi un prodotto essenziale per Burton, quello più “positivo” anche perché quello con l’equilibrio tra tragedia e commedia più eccelso, e anche quello finora più intelligente nel concretizzare le diverse spinte dell’uomo alla tristezza e alla sua sublimazione…
Nel non negare il problema dell’infanzia e l’ansia dell’adolescenza, Nightmare Before Christmas diventa anche il testo quasi definitivo della fiaba contemporanea… le grandi attestazione della malinconia (le canzoni di Jack, Jack’s Lament e Poor Jack e quella di Sally) sono duramente stroncabudella: mai in un film destinato all’infanzia la componente negativa di spleen e Streben della pubertà è stata così meglio rappresentata, neanche nei film di James Dean (Rebel Without a Case, di Nicholas Ray, 1955) o in The Wild One con Marlon Brando (di Laszlo Benedek, 1953), o in film hollywoodiani coevi, tipo Higher Learning (di John Singleton, 1995) o The Program (di David S. Ward, 1993)… forse, anticchie di precedenti si possono trovare in To Sir, with Love (di James Clavell, 1967), nell’American Graffiti di George Lucas (1973), o, molto più edulcorati, nei classici anni ‘80 di John Hughes (The Breakfast Club, 1985; Ferris Bueller’s Day Off, 1986)…
Il pianto di Sally sul non essere «the one», è una delle più tragiche lamentazioni simboliste dell’esistenza, molto più commoventi di qualsiasi Debussy o Sibelius…

GLI EMO
Il rovescio della medaglia su Nightmare Before Christmas comincia a sentirsi intorno ai 10 anni dalla sua uscita, quando, lo abbiamo già detto a proposito di Edward, dalla superficie di film di Burton nasce un “movimento” di sottocultura molto sciropposo: l’emo
Jack quasi più di Edward attira, con il suo espressionismo fiabesco, tutto uno stuolo di giovinastri che, invece dell’essenziale di liberazione psichica e di conquista della routine promossa dal film, si affezionano al suo puro ninnolo cartapestoso, al fenomenico, appunto alla superficie: gli emo vanno in giro come esagitati cosplay dei film di Burton, causando una reazione viscerale di odio istintivo che coinvolge anche chi ama Burton… A dieci anni da Nightmare Before Christmas, Burton comincia a essere tacciato come il responsabile dell’invasione dei ragazzini clueless disagiati e disadattati che scambiano la tragedia della società di Burton con la glorificazione della loro condizione disagiata… Se Burton fa film per riflettere sulle storture di un mondo che crea disagiati, i disagiati si glorificano grazie a lui perché si sentono quasi riscattati e giustificati nell’essere disagiati, intendendo il disagio, grazie ai mal interpretati film di Burton, un *valore* da coltivare invece che una condizione da sublimare in pacificazione psichica (come effettivamente Burton si augura che avvenga, o piange proprio perché ciò non avviene)… questo malinteso per molto tempo “brucia” i film di Burton, e crea verso di lui un serio pregiudizio…
La cosa si cementifica soprattutto nel 2008, al 15esimo anniversario di Nightmare Before Christmas, quando Amy Lee, cantante degli Evanescence, promuove con Danny Elfman un album di cover delle canzoni di Nightmare Before Christmas (Nightmare Revisited) cantate da una serie di esponenti di musica goth, dark ecc., dichiarando come tutta la sua poetica patetico-iperbolico-espressinista (che, in quegli anni, aveva precipitati miserrimi e in piccolo, quali i Tokio Hotel di Bill Kaulitz, un pochino scomparsi dopo il 2011) fosse stata originata dal film… Tutti i problemi di pregiudizio in cui Burton incorre oggi partono in qualche modo anche da questa vicinanza con gli emo, oltre che dal suo patto di sangue con i remake live action di Disney del 2010…

Continua in Burton III

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5 risposte a "Burton II (dal 1989 al 1993)"

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  1. Fantastico come sempre Nick, finalmente ho trovato il tempo di leggere almeno questa seconda parte! Non sapevo un sacco di cose e mi hanno sorpreso per esempio il ruolo di “chioccia” di Nicholson in Batman e il litigio con Danny Elfman!

    E hai ragionissima sul pregiudizio verso Burton e la sua estetica, purtroppo adesso parlarne è come parlare di un regista ormai bollito e che ha creato mostri, mentre invece secondo me (e, credo, secondo te!) siamo di fronte a un maestro, uno dei migliori cineasti di questi ultimi decenni!!!

    Grazie!

    1. Io sono ancora convinto che Burton ci stupirà in vecchiaia! — guarda anche George Miller: con Happy Feet e Babe io lo davo per lesso, poi ha tirato fuori Fury Road a più di 70 anni… — o guarda anche Malick: fa sbomballate ma di gran lusso! — e Burton ha ancora qualche diritto di sfruttamento di qualche libro interessante e potrebbe comprarne altri: basta che un reboot live-action disneyano gli vada strabene e potrebbe davvero tirare fuori un asso nella manica!

      1. Sì, sì, anche io continuo ad avere fiducia in lui, per questo sono pure andato al cine a vedermi Dumbo e mi sono comprato tutti i DVD degli ultimi film che ha fatto (Sweeney todd no, i musical non sono my cup of tea)… Dark shadows mi ha divertito e secondo me è quello che più è andato vicino al suo spirito di un tempo. Ma devo ancora leggere le tue parti IV, V e VI, quindi scoprirò presto che ne pensi! :–D

        (il tempo è limitato ultimamente perché 13 giorni fa è nato mio figlio, mio e di Xenia, qui a Sevilla… ecco, così ti ho dato la notizia! :–)

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