The Shape of Water

Ammetto che molte cose me le ha fatte notare lei…

Del Toro, nell’intro, cita un classico misconosciuto e molto imperfetto (è un baraccone) del filone Fantasma dell’operaBella e la BestiaThe Phantom of the Paradise di Brian De Palma e Paul Williams del 1974…

L’intro di del Toro è: «Or perhaps I would just warn you, about the truth of these facts. And the tale of love and loss. And the monster, who tried to destroy it all…»

Quello di De Palma era: «This film is the story of that search, of that sound, of the man who made it, the girl who sang it, and the monster who stole it…»

Ovviamente il circuito delle citazioni va molto al di là di questo…

Del Toro butta tutto su un miscuglio eterogeneo di fantascienza anni ’50 (tanta e tantissima fantascienza anni ’50) e del Favoloso mondo di Amélie

…una cosa che funziona più sulla carta che nel pratico: l’aria stralunata e l’attaccamento ai personaggi in modo “letterario” (si narra le vicende di tutti, si vede dove vivono tutti, si sa cosa pensano tutti: un “tutto tondo personaggesco” molto romanzesco, alla Tolstoj, alla Hugo, però in maniera molto “alla povera”), fatto di quell’amore che aveva Amélie per i derelitti e che del Toro incorpora, inficia assai sul ritmo, specie nella seconda parte, e quel clima di serendipity/stupidity, di “pace e gioia assurda”, di brillantini amorevoli e carezzosi, di buoni sentimenti e di coccoline, di surrealismi ingenui e paciosi, proprio del film di Jeunet, non cessa mai di risultare *antipatico* e *insopportabile* ad animi un po’ più cinici (come il mio)…

Mi spiego: tanto bellino e carino, anche simpatico, ma alla lunga, viene da pensare «ok, ma il film quando comincia a essere un po’ più “adulto”??? — perché del quotidiano ipnagogico-giocoso-ludico s’è visto anche abbastanza, quando si passa al sodo???»

E al “sodo” ci si passa assai difficilmente…

La sceneggiatura è splendida (ha meritato moltissimo la nomination), ma per andare dietro ad Amélie ha concesso troppo a certe sottotrame che alla fin fine risultano solo allungamenti di brodo nudi e crudi: tutti i russi, per esempio, lasciano il tempo che trovano, così come la orribile citazione di Busby Berkeley, che ruba tempo prezioso che avrebbe potuto essere usato per concretizzare il finale… e la carezzevolezza infantiloso-pucciosa “ameliosa” inficia sul messaggio: il mostrillo è così buono e bravo da fare schifo, e la sua dimensione totalmente positiva tarpa le ali a un discorso “serio” sul diverso, e fa ristagnare tutto nella molto più rassicurante e risaputa lezioncina «tutti i mostri sono buoni», di livello davvero “quinta elementare”… Tolto il gatto (Pandora), il mostrillo non fa del male a una mosca, tranne ai cattivoni e fuori campo, risultando così più buono perfino dei mostrilli della Disney! (Quasimodo e la Bestia si incavolano molto di più del mostrillo di del Toro!)

Anche la coalizione di outsiders nel campo dei “buoni” soffre del trattamento infantiloso alla Amélie: gli outsiders (e anche molti cattivi) sono stereotipati, fumettistici, tipizzati, quasi caricaturali (come lo sono le assurdità di Jeunet)… e la loro coalizione, all’apparenza così dolciosa, nasconde una infantile categorizzazione: i buoni sono solo i “discriminati” (la muta, il mostrillo, la nera, il gay, il russo) che si raggruppano per fare del “bene”… facendo così, però, c’è il rischio di palesare in diegesi una sorta di *ghettizzazione*: sarebbe stato molto più “adulto” mettere nella «coalizione della bontà» un anonimo addetto del laboratorio privo di tic e tipizzazioni così da ispirare concordia al di là delle differenze invece di perpetuare la “concordia NELLE differenze” (non so se mi spiego)

prima di arrivare al “sodo”, quindi, c’è da schivare le tante trame inutili, le tante stereotipie, e, soprattutto, le tante insistenze sull’assurdo… fino al piano di fuga la trama regge benissimo, e il piano di fuga è splendido, però poi a del Toro gli ci vuole un’altra ora per concludere, e tutto perché si fissa con le scemenzine dementine: ci tocca vedere le copule improbabili, ci tocca reiterare le pseudo-storie di Guerra Fredda, e pupparsi una seconda parte quasi per niente “in tono”…

Ed eccoci al punto chiave: il TONO

Tutto preso nel citazionismo di genere (fantascienza anni ’50) e nella voglia di bontà alla Amélie, del Toro non inquadra il romanticismo e schematizza troppo il romance e l’assurdità del romance, fin quasi a darli per scontati…

mi spiego:

  1. lei si innamora del mostrillo appena lo vede…
  2. il loro corteggiamento/comunicazione è affidato a una brevissima sequenza graffa, per nulla consistente: nella percezione spettatoriale finisce che una donna si innamora di un pesce come per magia!
  3. questo è statuto di genere fantascientifico, o è solo un passo falso nella pur splendida sceneggiatura?
  4. la donna e il pesce fanno anche l’amore: un adynaton dato per scontato e proprio “sorpassante” qualsiasi linea di sospensione dell’incredulità…

Probabilmente si crede a quell’adynaton grazie all’atmosfera infantiloso-ameliosa, che dà un TONO al film che NON È FANTASCIENZA, ma è PURA FIABA…

e il referente iconografico-narrativo non sarebbe quindi più da ricercare nel Mostro della laguna nera o nel Fantasma del palcoscenico, ma in Splash: una sirena a Manhattan di Ron Howard (1984), di cui si riciclano molte situazioni e “toni fiabeschi”…

ed ecco quindi il dramma: se si voleva fare una fiaba, l’ibrido con la fantascienza anni ’50 regge per davvero???

Il mostrillo buonissimo, i personaggi secondari strabordanti, l’assenza di vero innamoramento ma più “idea assurda di innamoramento”, sarebbero stati forse meglio posizionati in un altro spazio???

negli anni ’50 si sarebbe potuto giocare meglio alla Guerra Fredda con un mostrillo pauroso e più virulento, si sarebbero potute eliminare le sciocchezze di pseudo-innamoramento, e parlare in modo più “complesso” del militarismo???

Forse…

Fatto sta che, oltre a tutti questi difetti, il film ha anche moltissimi pregi…

se presa in sé stessa, e senza ibrido fantascientifico, la fiaba funziona… e questo perché del Toro è un maestro della fiaba…

I simboli archetipici fiabeschi ci sono tutti (l’uovo come vita, l’acqua come inconscio: dell’acqua abbiamo parlato in Gli ultimi Jedi e di uova basta citare quello che svetta all’inizio del Niemals-Gasse di Momo e quello al cui interno giace l’Alte vom Wandernden Berge nella Unendliche Geschichte di Michael Ende: anche se, al di là di metafora, si fa presto a ridere degli effetti che le tante uova mostrate avranno sul colesterolo dei personaggi) e il finale, identico a quello ultrainfantile di Splash, nelle mani di del Toro diventa la chiusura di una Ringkomposition perfetta… e nel finale si riacquista, finalmente, quella “serietà” e quel discorso “adulto” che tanto è mancato durante il film… nel finale del Toro replica il logos del Labirinto del fauno (certamente il suo capolavoro) e come in quel film ci lascia la scelta su cosa credere, se gioire o piangere, ottenendo magnifica malinconia e sana commozione…

Che dire, quindi?

fin qui s’è parlato di trama e sceneggiatura… e fin qui s’è parlato di un film con difetti che sopravanzano i pregi…

è quindi The Shape of Water il capolavoro che tutti decantano?

a livello di sceneggiatura si dovrà dire di no… e se quindi l’Oscar lo vincerà qualcun altro di certo non piangerò…

ma a livello di scrittura visiva???

eh, a livello di scrittura visiva del Toro c’ha le contropalle…

sia a livello di messa in scena (truppo, parrucco e stucco) sia a livello di ripresa “materiale” (frame e lighting) sia a livello di sguardo, di “ripresa artistica”…

Per il “tecnico”:

  1. Le luci di Dan Laustsen, verdine ed espressionistiche, sono pura gioia… e gli imprestiti da Edward Hopper e David La Chapelle (la serie degli Awakened) sono da goduria…
  2. Le scene di Paul Austerberry, tutte stilizzate e pensate, a metà tra Tim Burton, il miglior Alex Proyas e l’immaginazione di Norman Reynolds e Norman Garwood, sono da urlo…

Per l'”artistico”, del Toro ha tirato fuori un sistema di diegesi visiva che esula qualsiasi classificazione:

  1. la macchina non sta mai ferma: si avvicina o si allontana dal centro dell’azione non sbirciando, né curiosando, ma proprio MOSTRANDO quel che c’è di importante da sapere… ce lo mostra quasi casualmente (mentre fa un long take, la macchina si ferma quasi a caso sull’oggetto-chiave della trama), ma “casualmente” non è: è sicurezza narrativa, è ONNISCENZA narrataria… Del Toro sa tutto e sa come mostrarcelo (ricorda quasi Hitchcock)…
  2. nella visione, del Toro si ricollega a Tolstoj e a Hugo molto meglio che nella sceneggiatura: là quei mostri sacri venivano riflessi in modo farlocco, mentre nella scrittura visiva del Toro finalmente rende loro più consoni omaggi… a loro e anche a Henry Fielding: come Fielding, del Toro riesce ad organizzare cosa farci vedere in maniera implacabile, e insieme a rendercelo tutto “non organizzato” e puramente casuale…

Quello di del Toro è un vero e splendido romanzo visivo (e quindi si potrebbe discutere sull’accostamento a Hitchcock fatto poco fa: Hitchcock odiava la letteratura, mentre del Toro sembra amarla), uno storytelling della macchina da presa tutto da studiare e molto al di là delle regie diegetiche classiche e industriali (quelle di Darabont, quelle dei campi/controcampi della Marvel, quelle dei compitini scolastici della major): è come si dovrebbe narrare al cinema: con immagini e movimenti di macchina… una libidine!

Per cui, la media di queste due scritture (narrativa e visiva) che dice?

Quella visiva è da urlo, quella narrativa sarebbe dovuta passare da ben altri scrittori (e del Toro spesso non sa con chi scrivere: la maggior parte dei film li ha scritti con Matthew Robbins, sicuro mestierante ma di certo molto “industriale”) e avrebbe dovuto scegliere un tono più “quadrato” invece di tentare l’impossibile ibridismo tra fantascienza, fiaba ed Amélie: troppa carne al fuoco che ha prodotto 2h esorbitanti: erano meglio 75 minuti messi più a fuoco…

Tra i ringraziamenti figurano James Cameron, Joel & Ethan Coen, Alfonso Cuarón (l’amico fraterno di del Toro), Alejandro Gonzalez Iñárritu ed Edgar Wright… che a del Toro avrebbero dovuto dare più consigli scrittorii che visivi…

Bellissima la musichetta di Alexandre Desplat, e bravissimo Richard Jenkins…

Leggetevi anche il preciso resoconto del Dr. Gonzo

Ho tralasciato, stavolta, le metafore di cinema (mostrillo=cinema) poiché vi ammorbo sempre… e stavolta (dalle citazioni cinematografiche, al mostrillo estatatico davanti allo schermo nel cinema sotto casa) erano davvero palesi…

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