Mi hanno accusato di essere prevenuto su Aronofsky, poiché ho giudicato mother! una cacca, e benché di Aronofsky trovi bellissimo The Fountain, commovente The Wrestler e capolavoro immenso Black Swan…
E certamente mi accusano di non apprezzare i cinecomics, perché non amo molto identificarmi “realisticamente” con esseri “soprannaturali”… ma è l’amarli proprio perché sono soprannaturali che mi disturba… — quando parlo con un appassionato di cinecomics spesso mi sento dire
- che il supereroe con più superpoteri è meglio,
- che i film di Batman, se finiscono con Batman che “smette” di essere Batman, allora sono mediocri film di Batman
- che i supereroi più giocattolosi e ninnolosi sono (con anellini magici, con spadone sfarfugliose, con sganassoni potentoni) meglio è…
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Essendo, per me i supereroi, mere metafore
- della crescita [i poteri sono simbolo dei problemi che si incontrano entrando nell’età adulta, e, ovviamente, simbolo dello sviluppo sessuale: SpiderMan si arrampica sui muri al momento della muta della voce esattamente come Yu Morisawa diventa l’Incantevole Creamy all’arrivo del ciclo mestruale… però quando dici «se ti piace SpiderMan, a logica, dovrebbe piacerti anche L’Incantevole Creamy» si incazzano tutti],
- della Guerra Fredda [Magneto è un extraparlamentare, Xavier è un socialdemocratico; Capitan America e Superman lottano contro i comunisti],
- della più stupida divinità [Thor e di nuovo Superman hanno le pose di Mosè e Gesù, e sono quindi metafore di rigenerazione planetaria primaverile impersonificata in una entità “umana”],
- della lotta eterna contro il lato oscuro della personalità [tale è Batman: film e fumetti che lo vogliono diversamente, sia esso un vigilante salviniano che aiuta la polizia come nel serial del 1940s, o un martire del trionfo della borghesia contro i barbari proletati come l’ha visto Nolan, a mio avviso falliscono]
allora l’amarli è difficile perché
- data la mia età, è molto più facile per me identificarmi con la carinissima e bambolosissima Incantevole Creamy che con l’impudente, impertinente e spesso sputa-sentenze SpiderMan
- mi risulta molto più facile amare opere analoghe, foriere delle stesse metafore, piuttosto che amare i supereroi, che molto spesso sono opere “deteriori” rispetto ad altre (non so se gli X-Men possano davvero parlare della Guerra Fredda meglio dell’Insostenibile leggerezza dell’essere, e se voglio leggere di dio, cosa assai rara, vado a leggere direttamente la Bibbia o il Catechismo invece di sorbirmelo metaforizzato)
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Tutto questo per dire che?
Nulla!
Tutto per introdurre il perché, dopo uno stroncamento così tranciante della Justice League e di mother!, sia qui a parlare benissimo dell’Assassinio sull’Orient Express di Branagh!
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Aronofsky ha fatto film che non mi sono piaciuti, alcuni di loro proprio mi hanno fatto schifo, quindi si può parlare di un mio interesse neutro per Aronofsky (non certo di un odio), ma per Branagh, in effetti, si potrebbe parlare davvero di un incondizionato e ingiustificato amore, che rasenta quello del fan più ebete… Ho infatti adorato perfino Thor, per me uno dei cinecomics più belli, capace di schivare le riserve elencate sopra (ovviamente, per il fandom dei cinecomics, il Thor di Branagh fa schifo: proprio ci sono diversità di vedute immense tra me e loro…)
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Sicché, con Branagh, ci sono delle riserve al contrario: c’è proprio felicità di vedere un suo film…
una felicità che si trasmette a Murder on the Orient Express, alla cui recensione finalmente giungiamo…
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Vedendolo ci accorgiamo di un paio di questioni:
- è fintoso… — la scenografia di Jim Clay è molto plasticosa e gli effetti speciali disegnano città e paesaggi in maniera davvero grossolana: tutto appare fintissimo, e anche i costumi, nuovissimi e sgargianti (come fin troppe volte sono quelli di Alexandra Byrne), sanno di artefatto…
- il “cinema”, nel senso di macchina da presa, si fa vedere spesso e volentieri… — Branagh guarda in macchina molte volte; è girato nel 65 mm dell’epica anni ’50; molte sono le inquadrature dall’alto “demiurgiche”; la macchina si muove anche senza motivo quasi solo per far vedere che c’è, e i personaggi (Branagh/Poirot in particolare) sembrano voler osservare dove va… sembra un cinema al contrario, in cui i personaggi guardano la macchina e non è la macchina a guardare i personaggi… — piani sequenza incredibili (Branagh ne è un maestro, al pari di Brian De Palma e Rainer Werner Fassbinder, altro che Iñárritu: la presentazione del personaggio della Pfeiffer è tutta in long take tra i finestrini del treno), fluttuazioni impervie dall’alto in basso, giochesse di ripresa da dietro specchi i cui vetri sdoppiano i personaggi bugiardi, composizioni di inquadratura con il personaggio relegato all’estremo destro o sinistro per privilegiare l’antica orizzontalità dei film d’avventura (e il 2.20:1 del 70 mm, pur proiettato in digitale come nel cinema dove l’ho visto io, è immenso, e il relegare il personaggio al margine fa apparire il frame ancora più grande, altro che Hoytema e Nolan): tutto questo fa irrompere il “cinema”, il “finto”, ancora di più nella diegesi… [un uso analogo del cinema, applicato a un’altra storia fatta di bugie, lo fece Robert Zemeckis in Allied]
- ci sono citazioni iconografiche famose… — alla fine i personaggi sono schierati come nel cenacolo di Leonardo Da Vinci… una cosa che contribuisce a rendere “costruita” e quindi “finta” l’immagine…
- si racconta una vicenda che parla di “messe in scena” e bugie, con una ATTRICE a tirare le fila, che alla fine si toglie la parrucca con gesto scenografico… tutto finto!
come mai tutta questa fintaggine?
a mio avviso per sottolineare la potenza e l’importanza della FICTION, delle STORIE, del NARRATO, nell’esistenza di tutti i giorni; per sottolineare la necessità della matafora “letterario-immaginosa” per comprendere la realtà…
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vediamo di chiarirci:
il film è una storia… e Branagh l’ha disegnato perché fosse una STORIA CHE PARLASSE DI STORIE…
indizi a conferma:
- i ricordi sono trattati come film in bianco e nero: sono storie nella storia del film;
- nella rivelazione finale (essendo il romanzo del 1934 e il famoso film di Lumet del 1974 credo non ci siano rischi di spoiler) si vedono i personaggi coinvolti tutti schierati in un salottino a vedere UN FILMINO PROIETTATO: nel film ci sono film!
- lo stesso omicidio è rivelato come una pellicola in bianco e nero: è come i ricordi…
implicazioni:
- l’omicidio c’è stato o è solo un ricordo?
- l’omicidio c’è stato o è solo una storia?
- storia inventata e ricordo coincidono?
- storia e ricordo si fondono?
- i ricordi sono alimentati dalle storie?
- o le storie dai ricordi?
- e il film che vediamo, così inequivocabilmente film perché così finto, è una storia o è un campionario di storie/ricordo composte per suscitare una reazione/riflessione che a sua volta farà parte di altri ricordi/storie nella mente degli spettatori?
e se il film è un capionario di storie per suscitare riflessioni, che riflessioni suscita?
- che le storie incidono nelle vite (il ricordo della bambina uccisa, anch’esso storia/ricordo, tormenta i personaggi), e che hanno bisogno di altre storie per essere comprese?
- è quindi giusto scacciare una storia/ricordo con un’altra storia/ricordo?
- e poi farci un’ulteriore storia/ricordo (il film che vediamo) a suggellare una nuova metafora cosa comporta?
A mio avviso il film di Branagh fa una metafora filmica e rappresentativa per farci capire quanto nel caos del mondo tutto quanto sia filmico e rappresetativo, perfino i cocenti e atroci dolori… e per farci capire quanto la somatizzazione/comprensione dei cocenti e atroci dolori debba per forza passare da altre “rappresentazioni” e da altre storie: senza le storie non possiamo capire il dolore…
e alla fine della storia un manicheo Poirot riesce a comprendere le zone grigie dell’esistenza e della giustizia… zone grigie necessarie per vivere nel mondo che sta per arrivare, costantemente evocato nella diegesi, un mondo fatto di razzismo e nazismo, di per sé, quindi, già troppo manicheo di suo…
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e la giustizia? per la giustizia la metafora rappresentativa che dice?
alla fine della storia, già nel romanzo, sembra paradossale che i colpevoli restino impuniti, e sembra valere poco la giustificazione che hanno ucciso per dolore… Sia Detective Conan sia Anna Karenina puniscono i colpevoli anche quando sono poveracci…
Ma Detective Conan e Anna Karenina hanno a che fare con un colpevole poveraccio unico, la Christie (e Branagh) hanno a che fare con un eterogeneo e multiplo colpevole, fatto da più persone…
ed eccoci alla metafora della rappresentazione:
la vicenda sembra metaforizzare il rigetto del male da parte della collettività: una collettività multirazziale e multiculturale, tutta offesa da un delitto atroce, che quindi reagisce coalizzandosi e creandosi come comunità appunto (comunità, quindi, creatasi nel dolore della perdita: perdita e morte come patrimonio/lutto comune su cui fondare una società e non come accidente a causa del quale distruggere una società), e applicando quindi come comunità una *giustizia* a sé confacente, come fanno tutte le comunità… e se il male è stato sconfitto dalla comunità, quella sconfitta non può essere considerata vendetta, ma può essere considerata *legge*…
ma se è così, allora Christie (e Branagh) giustificano la pena di morte?
potrebbe essere… ma a mio avviso, la natura fintosa del film e della rappresentazione dell’omicidio, suggeriscono proprio il fatto che non si tratta di qualcosa di veramente successo, ma solo di una riflessione al riguardo!
Johnny Depp potrebbe non essere morto, il suo omicidio potrebbe soltanto essere deduzione o addirittura ricordo, o addirittura IMMAGINAZIONE, o addiruttura MESSA IN SCENA… anche perché Depp è FINTO, come è finto tutto il film, visto che c’è una macchina da presa che si aggira inequivocabile tra i personaggi, che tutti sono vestiti come in un cosplay e che le montagne hanno la verosimiglianza di quelle del presepe… e se tutto è FINTO allora tutto è METAFORA, e se è metafora allora tutto è riflessione, che dice: «ma in casi come questo, quando la comunità è offesa da un mostro, un mostro simile al nazismo tanto evocato, sarebbe giusto che quella comunità si mettesse insieme, con tutte le differenze razziali che il nazismo vorrà annullare, e insieme sconfiggesse quel mostro?»
Questo fa Branagh… costruisce una storia/metafora/riflessione al fine di suscitare altrettante storie/metafore/riflessioni nello spettatore…
e se Depp fosse il lato oscuro di tutti noi?
quel lato oscuro che perfino Poirot ha in sé, nel suo eterno rimpianto di Katherine?
e il nazismo stesso cos’è se non il male interiore dell’umanità che viene fuori?
e come si sconfigge se non rimanendo insieme, coesi e fraterni, come comunità/società forte proprio perché multipla e multirazziale?
Il film rappresenta questo: una IPOTESI NARRATIVA su queste eventualità… la rappresenta e insieme ci riflette, mai scordandosi che si sta parlando di ipotesi, e che quindi possa sussistere sia un dibattito successivo sia una “non soluzione” o una “soluzione provvisoria”…
Infatti, Branagh non sceglie il finale alla leggera: il finale del film non è trionfalistico né salviniano: siccome c’è un morto, sia esso metaforico o meno, non si finisce nel trionfalismo, col «per fortuna s’è ammazzato, ci sarebbe da ammazzarne altri 300, e per averne ammazzato uno datemi una medaglia» proferito dai leghisti a Vaprio d’Adda… il finale del film è triste, suggellato dalla magnifica canzoncina malinconica cantata dalla Pfeiffer, fatta solo di un arpeggino semplicissimo, ma comunque struggentissimo!
un finale triste che APRE a nuove proposte, ad altre proposte, e non chiude la questione, bensì la rende parte integrante della vita: la vita è tutta uno scegliere caso per caso e un venire a patti con quanto di brutto noi stessi abbiamo subito e perpetrato di conseguenza…
un film che è quindi una STORIA NARRATIVO-RAPPRESENTATIVA di tutte queste questioni… questioni grosse che possono essere digerite meglio proprio perché vengono presentate in forma ipotetico-finta dal film…
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In soldoni?
In soldoni il mondo, quindi, fa schifo, è finto e rappresentativo, e pieno di casini… ma le storie possono aiutarci a comprenderlo!
Questo, secondo me, dice Branagh…
e, coi soldi di Ridley Scott, l’ha detto benissimo…
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certamente i miei amici cinefumettari hanno notato che questo è un film che parla di metafore, ed è strafintoso e con gli effetti speciali plasticosi… e quindi è esattamente come un cinecomics!
solo che questo sa di esserlo, e gioca con l’esserlo (con la macchina da presa entrante), e questo ISPIRA ulteriori riflessioni… mentre i cinecomics non fanno niente di tutto questo (la macchina da presa è anonima e lo scopo del cinefumetto è puramente evasivo, tanto che le metafore dette su sono annacquate)
è questione di gusti, quindi… e a me piace di più questo…
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concludo su una nota sugli attori (avendolo visto in inglese, la loro prova è giudicabile)…
Depp mi è piaciuto tantissimo, la Pfeiffer anche (sarebbe da nomination come non protagonista agli Oscar), Dafoe pure, e mi hanno sorpreso davvero moltissimo Daisy Ridley e la giovane Lucy Boynton: inquadrate benissimo e truccate meglio (Branagh spesso inquadra la Ridley da un piano leggermente alto, che fa risaltare tutto il suo viso)… sorpreso perché la Ridley m’aveva detto poco e niente nel Risveglio della Forza, in cui, sì, era bravina, ma niente di che… se qui è brava è segno che registi e direttori della fotografia sono determinanti nella resa finale di un attore, c’è poco da fare…
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e tutto questo peana lo voglio comunque ridiminsionare confessando, in conclusione, che la parte centrale è ben lungi dall’essere al top in quanto a ritmo! — da segnalare anche più di una somiglianza con la saga di Sherlock Holmes di Guy Ritchie (anche se, per fortuna, con molta meno picchiarolaggine)
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Constato con grande rammarico che di questo film parla male tutta la blogosfera a me vicina (Madame Verdurin, Tony e altri)
mi riservo di leggere la recensione di Assassinio… dopo la visione del film (se tutto va bene, la settimana prossima)… però ho trovato interessante (ed esilarante) la tua introduzione sui cine-comics, un genere rispetto al quale coltivo una discreta ignoranza (l’unico supereroe di cui ho visto un po’ di film è Batman) e per il quale dunque mi piace sempre leggere qualcosa per colmare le mie lacune, almeno a livello nozionistico…
verissimo peraltro che questo genere vede spesso una sorta di cieco fanatismo del fandom…
io l’unico guilty pleasure che mi concedo, avvicinandomi a tali atteggiamenti e portando a livelli estremi la sospensione dell’incredulità, è quello di Star Wars, ma a mio avviso è un qualcosa che si discosta parecchio (non solo ontologicamente, ma anche per i contenuti) dal filone cinecomic…
A me piace Guerre Stellari, ma anche in quel caso ho difficoltà a capire i gusti del fandom. Originai una disputa accesa tra i miei amici quando dissi di preferire il Risveglio della Forza a Rogue One… una disputa che so si ripeterà con episodio VIII. — in questi casi, più opinioni circostanziate si hanno, più si riesce a comprendere gusti e tendenze, per cui sarò molto felice di leggere qualunque opinione riguardante episodio VIII dopo che l’avrò visto (spero nel fine settimana: anche se la tentazione di aspettare la settimana successiva per guardarlo direttamente in inglese è forte)
Abbiamo INTERVISTATO un maestro del disegno Disney, il mitico LUCIO LEONI, sul nostro sito 😆 vieni a vedere supportaci con like e commento
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Oh, grazie!
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