Questo post nasce dalla prima entry di Sam Simon (benché non sia il co-autore dei Simpsons insieme a Matt Groening e James L. Brooks vi assicuro che è ugualmente autorevole) nel blog aperto da EvilAle… Questo qui: Vengonofuoridallefottutepareti
Il post eccolo: Minority Report – non il miglior Spielberg
vi avverto che ne sottintendo la lettura…
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Alle negatività di Simon aggiungo la irritante volontà di Spielberg di rifare Blade Runner…
Siccome si basa su un racconto dello stesso autore (Dick), allora Spielberg fa di tutto per occhieggiare al capolavoro di Ridley Scott…
per esempio:
1) l’inizio, i titoli iniziali con i tonfi sordi nel sonoro e le scritte:
DreamWorks Pictures and Twentieth Century Fox present
Tom Cruise
Minority Report
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così uguale all’inizio di Blade Runner:
Jerry Perenchio and Bud Yorkin present
Harrison Ford
Blade Runner
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2) La voglia di inserire personaggi astruso-strani, misteriosi e spesso complessati: Blade Runner ha Chou, Sebastian, Taffy Louis: figure appena sbalzate, stilose, di cui sappiamo poco e nulla e con cui Deckard ha a che fare per esigenze diegetiche…
In Minority Report ci sono il dottore, la sua assistente con il neo enorme che fa qua-qua, Gideon alla prigione, il tecnichello video ecc., che spesso hanno stranezze assai gratuite (per esempio il qua-qua o il parlare tedesco dell’assistente del dottore, oppure la mammonaggine dell’impiegato alla cura dei precog) che sembrano messe lì solo per scimmiottare le ben motivate “stranezze” proposte da Scott, che non sono stranezze ma particolarità precisissime e non a caso…
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3) la voglia di finale rasserenato: in Blade Runner imposto dalla produzione e invece molto voluto da Spielberg in Minority Report… Come dirò, a mio avviso il finale vero è splendido, ma le implicazione tutte super-positive, le trovo anch’io, come Simon, esagerate…
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Aggiungo anche il problema “politico”, che Spielberg annacqua: in Dick c’è SEMPRE un rapporto di minoranza per tutti gli omicidi [io sono un lettore di Dick sporadico e quindi non ho letto il racconto, ed evinco questa notizia dal Dizionario dei film del vecchio Paolo Mereghetti], segno che la precrimine è “abusiva” e alla ndocojocojo, e strumento decisamente reazionario di controllo… Mentre Spielberg trasforma il rapporto di minoranza in una eventualità rara, segno che la precrimine fa bene e solo ogni tanto sbaglia… una mossa che i detrattori di Spielberg vogliono fatta per compiacere il Patriot Act di George Bush Jr. (l’11 settembre 2001 è appena passato quando Minority Report esce nei cinema, e quindi il controllo, lo spionaggio e la “giustizia preventiva”, come quella della precrimine, deve in qualche modo essere giustificata anche nei media, quel tanto che basta per giustificare il più clamoroso caso di giustizia preventiva degli ultimi 30 anni: la guerra in Iraq del 2003; vedi anche …siamo diventati pazzi per servire Dio…)
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Questi difetti, quelli indicati da Simon e quelli da me aggiunti adesso, Minority Report ce li ha tutti quanti! E quindi non starò qui a dire che Minority Report è un film narrativamente convincente…
Sono qui per ingigantire quei punti forti che perfino Simon riconosce…
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La fotografia è strepitosa (come dice Simon), ma non solo…
Minority Report è una delle metafore visivo-cinematografiche più affascinanti degli ultimi anni… e forse una delle migliori mai fatte da Spielberg…
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Come mai?
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Perché riflette fantasticamente sulla qualità e la “teoria” della visione…
Le immagini che mandano i precog vengono spulciate da Anderton con le dita: a suggerire che, nella civiltà dell’immagine, il flusso visivo è tangibile e concreto…
Le immagini dei precog sono però sconclusionate e fallaci: solo apparentemente dicono la verità, ma invece non fanno che mentire, come tutte le immagini… Ben lo dimostra lo sfruttamento della natura fasulla dell’immagine da parte del cattivone, von Sydow…
Le immagini sembrano affermare certezze e personalità (quello è assassino, quello non lo è), ma invece non ci capiscono nulla… Tutto il racconto che Agatha fa sulla potenziale vita di Sean è risolto con il solo primo piano della Morton: non ci viene “mostrato”, quasi a suggerirci che noi tutti e tutti i personaggi viviamo vite basate sulle blaterazioni di questi precog (o su racconti qualsiasi o su regole di vita qualsiasi) che però non hanno alcuna verità, o, ancora peggio, comunque non nascondono la realtà, che comunque arriva, e tu che ti sei lasciato abbindolare dalle blaterazioni ci rimani anche male! – Anche nel racconto di Agatha Sean comunque muore, e nonostante le scelte tanto pubblicizzate da Agatha davanti alla stanza di Leo Crow, e spacciate come risolutorie, Leo Crow viene ammazzato lo stesso: tra l’altro con immagini che, nonostante le cose siano andate diversamente, CONFERMANO le immagini dei precog, coincidono con quelle dei precog…
La morale è che la realtà frega: e che le immagini sono, meschinamente, sia strumento della realtà sia strumento di inganno, ma comunque sempre soggette al fluire del caso… E quindi tentare di irreggimentarle a fini precisi è dannoso…
E questa è una cosa che Dick afferma pienamente, anche in altri romanzi. In The Man in the High Castle si capisce che la realtà ucronica in cui l’asse Roma-Berlino-Tokyo vince la Seconda Guerra Mondiale è fallace, poiché esiste un “romanzo” in cui si narra che la guerra la vinse l’America… Tutto sembra normale, ma si vede che nel “romanzo”, che dovrebbe rappresentare la realtà da contrapporre all’ucronia, non c’è la realtà effettiva, la realtà storica: nel “romanzo” si narrano fatti storici che non sono mai accaduti e si presenta una successione di eventi che non si è mai effettivamente verificata!
Dick ci suggerisce che perfino la nostra realtà potrebbe essere essa stessa un’ucronia e che forse viviamo in un “romanzo” capriccioso qualsiasi, forse anche illogico! E quindi usare le immagini e le “storie” (le fiction) per scopi di potere altro non produce che delirio e distopia…
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Minority Report, con le sue fascinose inquadrature, illustra questo pensiero di Dick alla perfezione, e ci invita a GUARDARE bene, con occhi nuovi (quelli nuovi di Anderton ovviamente) e sempre vigili, la realtà… E di guardarla per scoprirla e riconoscerla al di là delle imposizioni e delle fiction, delle masterfiction (le masterfiction dei precog e della pubblicità della civiltà dell’immagine)!
Spielberg ci invita a spulciare sempre meglio le immagini dei precog (delle istituzioni, dei sogni, dei racconti, della masterfiction, del gran récit ecc. ecc.) per trovarci le contraddizioni più che le consonanze, per trovarci le illogicità più che le consolazioni… E se impareremo a guardare bene le immagini, allora questo mondo potrà essere migliore, come migliore è il finale di Minority Report, che è anche esagerato nella sua solarità, ma è solare perché è METAFORA di una raggiunta consapevolezza VISIVA, e quindi TANGIBILE (ricordiamoci le dita che vedono di Anderton) della realtà…
Il finale di Minority Report è come il finale di una fiaba: nella fiaba sono tutti contenti perché tutte le parti in causa, entità metaforiche della mente (Io, Super-Io, Es), hanno trovato una quadra (vedi anche A mille ce n’è…)… In Minority Report sono tutti contenti perché finalmente hanno imparato a *vedere* (la domanda «can you see?» che viene ripetuta miliardi di volte, proprio dalla ambigua Agatha, che quasi ci intima di imparare a vedere le immagini proprio per fare a meno delle *sue* immagini, di quelle dei precog-masterfiction)
E il finale contiene anche una frecciatina massima: contiene proprio la fine della civiltà dell’immagine! I precog sono nel fienile di zio Booper: un fienile certamente ridicolo, ma molto inquietante, perché completamente isolato dal mondo, in una palude che sembra ai confini della civiltà, e in esso i precog non vedono nulla: nel fienile non ci sono immagini, per niente: i precog LEGGONO e basta, anche se un’immagine c’è: la mamma morta di Agatha, il ricordo, l’esperienza, il vissuto, l’Erlebnis!
L’immagine che, nel finale, finalmente è tornata ad accompagnarci e ha smesso di ingannarci… l’immagine che è tornata a “servirci” davvero e non ad aggredirci… e un’immagini ricordosa che sì, davvero contribuisce alla nostra identità e non ce la impone (come le immagini precog imponevano la condizione di “assassino” sul qualcuno), poiché è un’immagine che rappresenta noi stessi e il nostro vissuto… E, guarda caso, è un’immagine di ricordo, quel ricordo che tanto cercano e vogliono i poveri replicanti di Blade Runner, poiché senza ricordi non siamo che violenti cretini terrorizzati dalla morte…
L’immagine che adesso non inganna perché supportata dalla letteratura, cioè dalla conoscenza non ingannevole, e da una società più in contatto con la natura, simboleggiata dalla bellissima palude fluviare dove sta il granaio, che addita, forse, anche il finale di Mars Attacks! di Tim Burton, in cui si concludeva di tornare a vivere nelle capanne «che sono migliori per tante ragioni»
Un finale di utopia (un mondo senza la violenza delle masterfiction imposte da un qualsiasi regime, sia esso politico o economico-pubblicitario) che, a mio avviso, contraddice la natura pro-Bush della contingenza di uscita: Spielberg sembra invitarci a “guardare meglio” soprattutto nelle immagini bugiarde del potente!
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Che questo *invito a imparare a guardare* giunga da un film, beh, a mio avviso è salutare! Poiché è proprio il cinema il mezzo preposto a narrare per immagini e quindi il mezzo migliore per metterci in guardia dalle bugie: il mezzo migliore, cioè, per farci distinguere narrazione da bugia (che è il discrimine che crea il Nulla nella Storia infinita di Ende)
Spielberg è stato bravissimo nel dispiegare questa metafora, a usare il cinema per farci capire e comprendere l’immagine, per riflettere sull’immagine stessa, e quindi sulla società concreta!
E in Minority Report è stato anche più smaliziato che in altri suoi film, che, però, spesso parlano del cinema:
- Close Encounters non è altro che una metafora della messa in scena di un regista (Truffaut) e dell’eletto narratore (Dreyfuss) che riesce ad andare oltre;
- ET, se si riesce ad andare oltre lo zucchero, dimostra come ET sia in effetti una storia, una entità narrativa da seguire (fa muovere i bimbi come gli attori dei film che vede in TV), anche se nessuno riesce stavolta ad andare con lui (segno che, nei 5 anni che separano Close Encounters da ET, Spielberg si è già rassegnato alla civiltà dell’immagine?);
- Empire of the Sun è tutta una metafora sulla masterfiction così come la percepisce un bambino…
- Jurassic Park fa vistose metafore sulla impossibilità di imbrigliare la realtà con il cinema: il parco è tutto un cinema le cui immagini (i dinosauri) non si lasciano certo addomesticare;
- Saving Private Ryan, pur nella retorica imperante, ha ridimensionato il concetto teorico dell’inquadratura “oggettiva” (quella che dovrebbe inquadrare quello che il personaggio vede);
- Catch Me, If You Can è tutto sulla menzogna dell’apparire…
Ma certamente, nel periodo immediatamente precedente a Minority Report, i film di Spielberg erano un po’ delle minchiatelle (Lost World, Amistad, AI)… con Minority Report cominciava uno Spielberg Renaissance, che, però, in qualche modo non è più continuato, visto gli esiti altalenanti di The Terminal, War of Worlds, Kingdom of Skulls, Tin Tin, War Horse, Lincoln e Bridge of Spies (che io demolisco in Biancalana e i sette gnomi, parte I, secondo film; e in Jiminy Cricket, numero 18)…
Per cui, si può quasi dire che Minority Report è uno degli ultimi film “veri” di Spielberg, e che Catch Me, If You Can e Munich lo seguono con stanchezza in mezzo a tanta altra merda…
Ma su tutto questo rimando al mio speciale onnicomprensivo su Spielberg in 7 puntate, che trovare qui…
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Diversamente da Simon io ritengo A New Beginning uno dei temi migliori dell’ultimo Williams (quello post 1997)… molto più compatto del pur notevole Across the Stars, che pecca, a mio avviso, di una tonitruante ripetitività…
e difatti ve lo posto!
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
•su Spielberg e Hollywood:
Paolo Bertetto, Lo specchio e il simulacro. Il cinema nel mondo diventato favola, Milano, Bompiani, 2007-2008
Gianni Canova, L’alieno e il pipistrello. La crisi della forma nel cinema contemporaneo, Milano, Bompiani, 2000 (quarta edizione 2009) – importante!
Simone Emiliani, Carlo Altinier, Fughe da Hollywood. I dieci anni che sconvolsero il cinema americano, Recco (GE), Le Mani/Microart’s, 2009
Geoff King, New Hollywood Cinema. An Introduction, London, Tauris, 2002, traduzione italiana di Paola Pace: La Nuova Hollywood. Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster, Torino, Einaudi, 2004
Franco La Polla, Steven Spielberg, Milano, Il Castoro, 1995 (la nuova edizione del 2014 è di Mauro Resmini, La Polla è morto nel 2009) – importante!
Franco La Polla, Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood, Milano, Il Castoro, 2004 (prima versione: Roma-Bari, Laterza, 1987)
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•supporti per l’analisi:
Rudolf Arnheim, Film als Kunst, Berlin, Ernst Rowohlt, 1932, traduzione italiana di Paolo Gobetti: Film come arte, Milano, Il Saggiatore, 1960. Ristampato a Milano da Abscondita nel 2015-2016
David Bordwell, Kristin Thompson, Film Art: An Introduction, New York, McGraw-Hill, 1979, sesta edizione 2001, poi continuamente aggiornato; traduzione italiana della sesta edizione (a cura di Paola Bonini e altri): Cinema come arte. Teoria e prassi del film, Milano, Il Castoro, 2003 – importante!
Noël Burch, Praxis du cinéma, Paris, Gallimard, 1969, traduzione italiana di Cristina Bragaglia e Roberto Provenzano: Prassi del cinema, Parma, Pratiche, 1980, poi Milano, Il Castoro, 2000
Arcangelo Mazzoleni, L’ABC del linguaggio cinematografico, Roma, Dino Audino, 2002
Gianni Rondolino, Dario Tomasi, Manuale del film. Linguaggio, racconto, analisi, Torino, UTET, 1995, seconda edizione aggiornata 2011
Dario Tomasi, Lezioni di regia. Modelli e forme della messinscena cinematografica, Torino, UTET, 2004
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•supporti per la storia e la nascita del linguaggio:
Sandro Bernardi, L’avventura del cinematografo. Storia di un’arte e di un linguaggio, Venezia, Marsilio, 2007-2008 – importante!
Paolo Bertetto, La macchina del cinema, Roma-Bari, Laterza, 2010
Gian Piero Brunetta, Il viaggio dell’icononauta. Dalla camera oscura di Leonardo alla luce dei Lumière, Venezia, Marsilio, 1997
Manlio Brusatin, Storia delle immagini, Torino, Einaudi, 1989
Noël Burch, La lucarne de l’infini. Naissance du langage cinématographique, Paris, Nathan, 1991, traduzione italiana di Paola Cristalli: Il lucernario dell’infinito. Nascita del linguaggio cinematografico, Parma, Pratiche, 1994, poi Milano, Il Castoro, 2000-2001 – importante!
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•per comprendere teoria e semiologia delle immagini:
Lucilla Albano, Lo schermo dei sogni. Chiavi psicoanalitiche del cinema, Venezia, Marsilio, 2004
Gianfranco Bettetini, Tempo del senso. La logica temporale dei testi audiovisivi, Milano, Bompiani, 1979 (terza edizione 2000)
Gianfranco Bettetini, La conversazione audiovisiva. Problemi dell’enunciazione filmica e televisiva, Milano, Bompiani, 1984 (quarta edizione 2002)
Francesco Casetti, Teorie del cinema 1945-1990, Milano, Bompiani, 1993-1994
Francesco Casetti, L’occhio del Novecento. Cinema, esperienza, modernità, Milano, Bompiani, 2005 (quinta edizione: 2009)
Christian Metz, Le signifiant imaginaire. Psychanalyse et cinéma, Paris, Christian Bourgois, 1977 (poi 1980), traduzione italiana di Daniela Orati: Cinema e psicanalisi, Venezia, Marsilio, 1980 (poi 2002 e 2006)
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•delle buone storie del cinema super generali:
Paolo Bertetto (a cura di), Introduzione alla storia del cinema. Autori, film, correnti, Torino, UTET, 2002, poi ristampato più volte
David Bordwell, Kristin Thompson, Film History: An Introduction, New York, McGraw-Hill, 1994, e innumerevoli altre edizioni, traduzione italiana di Alberto Farina e Riccardo Centola: Storia del cinema e dei film, Milano, Il Castoro, 1998 poi 2005
Gian Piero Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale, 6 voll., Torino, Einaudi, 1999-2001, poi hanno fatto il Dizionario nel 2005-2006
Fernaldo Di Giammatteo, Storia del cinema, Venezia, Marsilio, 1998 e successive edizioni
Gianni Rondolino, Storia del cinema, Torino, UTET, 1977, e innumerevoli altre edizioni
E’ verissimo, Blade Runner è un autentico capolavoro. Di Ridley Scott ho amato molto anche quest’altro film: https://wwayne.wordpress.com/2014/01/23/si-salvi-chi-puo/. L’hai visto?
Guarda, ne parlo qui: https://matavitatau.wordpress.com/2014/07/26/il-conte-di-palomino/ (numero 18)… Di Scott parlo anche di The Martian qua: https://matavitatau.wordpress.com/2015/10/28/lets-go-get-some-payback/… Di Exodus qui: https://matavitatau.wordpress.com/2015/07/31/psych/ (numero 19), e partendo da Exodus parlo in generale di Scott qua: https://matavitatau.wordpress.com/2015/01/16/cabbages-and-kings/
Il tuo commento su The Counselor rende giustizia alla bellezza di questo film, sulle quali esprimi anche delle considerazioni molto acute: penso ad esempio al collegamento con le vicende personali di Ridley Scott.
Anch’io colgo l’occasione per segnalarti questo mio vecchio post: https://wwayne.wordpress.com/2016/01/14/attori-che-mi-porto-dentro/. E’ un appassionato omaggio ad alcuni dei miei attori preferiti. Grazie per la risposta! :)
Lo Rebloggo Nikke!
L’ha ribloggato su vengonofuoridallefottutepareti.
Yeah! — Ma quando io linko il tuo ti viene una notifica o no?
La notifica mi pare non sia venuta, controllo meglio.
Maremma ciuca!